“Zelda” di Connie Furnari, self publishing. A cura di Alessandra Micheli

 

Di libri sulla stregoneria ne ho letti a migliaia Del resto, è un argomento che da sempre affascina e che ultimamente sembra essere stato sdoganato dalle nebbie fitte della storia, foriero com’è di molteplici possibilità creative di vario livello; dalle più banali alle più originali.

Quello di Connie Furnari, rappresenta però un eccezione interessante. E’ diverso per molteplici aspetti dalla produzione consueta. Prima di tutto, non è un romanzo ma un racconto. Questa scelta, comporta due conseguenze; prima di tutto la trama è concentrata, poiché il racconto è una produzione letteraria di minor ampiezza rispetto al romanzo classico. In secondo luogo, proprio per questa sua caratteristica di estensione moderata, la sua trama va concentrata in un punto focale preciso; esaltando o dedicandosi a un determinato aspetto della vicenda che si va a narrare. Ed è questa la sua maggiore difficoltà. Se il romanzo può agevolmente spaziare toccando più aspetti della trama o dei personaggi, il racconto, essendo più breve e quindi più raccolto, deve avere immediatezza e concentrare il succo del discorso in poche righe ben delineate e non disperdili in elucubrazioni prolisse.

La Furnari, riesce benissimo a non uscire dalle linea rigide tracciate dalle convenzioni letterarie ( necessarie per poter dare luce a una produzione credibile) scegliendo di porre l’accento non sul percorso di consapevolezza della strega che è immediato, quanto sulla capacità o meno di usare questa consapevolezza e le sue potenzialità nell’affrontare il normale percorso della prova suprema. Come racconta Joseph Campbell nel suo saggio “I mille volti dell’eroe” ( saggio che pongo sempre come riferimento nelle mie recensioni sui fantasy) il viaggio del protagonista passa attraverso varie fasi: ingenuità consapevolezza, prove, scoperte di se, accettazione del suo ruolo mitico e scontro finale.

La bellezza del racconto e la sua originalità, è quello di evidenziare gli ultimi due aspetti: Zelda è una donna consapevole che si trova nell’immediatezza a porsi di fronte all’ultimo guardiano della soglia: il suo alter ego. Perché in fondo ogni nemico, di ogni fantasy non è altro che la forma psicologica e speculare del suo inconscio, dei demoni, delle tentazioni e delle perversioni che, l’eroe per essere eroe, e riportare ordine nel caos deve sconfiggere. Lo ritroviamo in ogni storia Mordred e Artù ad esempio, fino al più recente Harry Potter e Voldemort. Lo scontro bene e male non è soltanto uno scontro ontologico tra caos e disordine ma anche e sopratutto, tra conscio e inconscio, tra impulsi e ragione, perchè il vincente è colui che affronta l’abisso, scende in esso, indossa i suoi panni e lo sconfigge riportando la luce nel buio, non soltanto del suo mondo ma della sua anima.

E Zelda non fa altro che, affrontare in maniera sicuramente originale, (visto l’intelligentissima scelta stilistica dell’autrice) quello che ogni prescelto prima di lei affronta, l’abisso. E questa voragine immensa, fatta di tentazioni, di cadute dallo stato originario, è sempre collegato alla vera malattia dell’uomo: la finalità cosciente che si manifesta nella sete di potere. Essere diversi, speciali, significa non soltanto responsabilità ma anche rischio di onnipotenza. Essere strega può risolversi in due strade. La prima è quella di accettare la natura altra della chiamata, ossia quella che collega la figura della sacerdotessa al paganesimo, a quel vivere in interconnessione con il mondo e l’universo, in cui oltre alla magnificenza di una sensazione di totale appartenenza si accompagna il senso enorme di responsabilità di ogni azione e pensiero. Ma può altresì risolversi nella completa distorsione mentale che vede la chiamata come un mezzo per elevarsi sugli altri, per rivendicare i torti subiti e riscattarsi dall’anonimato. Come si può ben comprendere, usare il potere personale in ogni sua sfaccettatura non è e non può essere un mezzo per redimersi o per vendicarsi dei torni o dell’invisibilità sociale. Come ci dice Samuel Taylor Coleridge nella bellissima poesia la ballata del vecchio marinaio:

“O felici creature viventi!
Nessuna lingua può esprimere la loro bellezza:
e una sorgente d’amore scaturì dal mio cuore,
e istintivamente li benedissi.
Certo il mio buon Santo ebbe allora pietà di me,
e io inconsciamente li benedissi.”

Soltanto un cuore puro può, infatti, vedere la meraviglia e l’incanto dell’universo, sollevando il velo senza avere un fine o un utilità immediata se non quello di sentirsi parte del tutto. E Zelda si sente parte del mondo perchè i suoi poteri si sviluppano accanto a un’empatia necessaria.

Ma come in ogni storia di crescita evolutiva, questa purezza di cuore va sacrificata. Per un bene supremo. L’eroe deve uscire dalla condizione infantile di innocenza, di perfezione per entrare nel mondo della coscienza. Zelda deve cogliere il frutto proibito e capire, sollevando il velo, che la realtà è fatta anche di scelte terribili, di dolore e di devastazione. Il sacrifico è necessario in quanto, lei strega, deve poter vedere il mondo in ogni sua componente senza crogiolarsi soltanto nell’armonia

.Lei è padrona dell’ordine e come padrona dell’ordine deve venire a contatto diretto con il caos, ucciderlo e vincerlo per poter ristabilire l’equilibrio. In quanto figlia di Ecate, colei che tutto racchiude deve poter essa stessa racchiudere gli opposti in se stessi. Ed è un racconto che, oltre alla bellezza del diletto e della narrazione pure, si accompagna a una sottile ma non superficiale metafora psicologica: il passaggio da una psiche infantile a una adulta.

Per questo la Furnari è un’autrice perfettamente inserita tra transizione e innovazione. La sua Zelda, è donna forte, capace di assumersi in maniera rapida le responsabilità facendosi guidare dall’istinto ma anche dalla necessità, perfettamente estranea a puerili esempi di eroine lacrimose e incapaci di affrontare a testa alta le prove che la vita le pone davanti. E’ una donna che sa dove si trova, che sa che essere strega comporta dei ruoli stabiliti e che il suo unico cruccio reale e concreto è di inserire questi ruoli nella sua peculiare personalità. Zelda non si dilunga tra elucubrazioni mentali inutili, ma tra reali problemi di come agire, se è in grado di agire, di prendersi le responsabilità richieste non solo dalla sua origine sovrannaturale, ma anche dai bisogni che la comunità riversa su di lei.

Ben scritto, non primo del necessario ritmo, spesso mancante nei racconti, immediato e apparentemente semplice, una scatola cinese da scoprire piena e ricca di significati. La Furnari non si auto glorifica, non si auto esalta, trascurando la forma anzi, in maniera quasi maniacale, è attenta a ogni dettaglio sia stilistico che sintattico, donando ai lettori in brano scorrevole e di notevole impatto scenico. Perfette le descrizioni, corpose senza essere eccessivamente lunghe e pompose, senza fuorvianti inserimenti di dettagli che appartengono a altre trame e senza cedere alla tentazione del romance.

Da leggere e da assaporare in ogni frase. Davvero un lavoro notevole.

 

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