“Il Burattinaio” di Vito Ditaranto.

 

Nel mezzo dell’incanto dei monti.

Un borgo dalle case di pietra.

Lì in un vicolo empireo, vi era un burattinaio famoso per la sua bravura come per l’umanità.

Dicono che fosse meta di famosi collezionisti di burattini, come pure di poveri disgraziati in cerca di conforto viste le sue doti per alcuni giudicate soprannaturali.

Venne il giorno in cui entrai in possesso in circostanze che non riesco a ricordare, di un burattino antico e di valore.

Era, di bella foggia adatto ad essere posto in bella mostra, solo un po’ rovinato dal tempo, mi decisi a portarlo dal burattinaio tra i monti.

Arrivato nel piccolo borghetto mi persi per quei vicoli scarsamente illuminati, rischiarati appena dal riverbero della neve, finche’ trovai la bottega.

All’interno c’era una bambina e il vecchio burattinaio dagli occhi bianchi.

La bambina pregava che gli si vendesse un burattino in legno di pino.

Il vecchio scuotendo il capo la pregava di rimettere il suo dolore a Dio, ché il suo fratellino, morto il giorno prima, doveva restare in pace tra gli angeli, ma, vinto da tanta insistenza finalmente annuì, entrò dunque nel laboratorio e accesa una candela, si richiuse la porta alle spalle.

La bambina intanto, sembrò voltarsi verso di me, ma non disse nulla che non fosse il gemito di un pianto, quegli occhi non riflettevano neppure la luce del lampione che si gettava, trapassandoci come fossimo di vento, sugli scaffali dei burattini.

Si poteva sentire all’interno della bottega un senso di sospensione dello spirito, quasi che il tempo stesso si dimenticasse di noi avventandosi su tutti i burattini presenti, come vite di viventi, cuori reali, destini custoditi dentro scatole di legno. Gli occhi bianchi del vecchio comparvero assieme allo scricchiolio della porta ed il lento fruscio dei suoi abiti quando depose un burattino sul banco.

Lo sguardo della bambina si riaccese di vita , le labbra si incurvarono in un sorriso.

Non riuscivo a capire in verità cosa potesse rendere a quella bambina tanta pace, ma un sibilo, dapprima accennato, poi più forte e deciso poteva esserne la causa.

Sembrava il pianto di un fratellino che la bambina seguì scomparendo nella neve di quei vicoli e la porta si richiuse.

Il freddo allontanò ben presto la mia mente da quel tono di realtà a cui non credevo e mi affrettai a deporre il mio burattino all’attenzione del vecchio burattinaio.

Quand’ebbe esaminato con attenzione il manufatto di legno sentenziò che non si poteva ristrutturare se non dietro una forte somma di denaro, ma io insistetti e costretto, raccolse il burattino e tornò nel laboratorio.

Non avevo idea del tempo che passava, fuori la notte era avanzata assieme alla neve, pure avrei dovuto allarmarmi per quello strano orario d’apertura, ma non indagai.

Riuscii ad avvertire un nuovo, piccolo suono tra tutti e un altro in meno.

Quando il burattinaio ricomparve con il mio burattino mi accorsi di non sentire il battito del mio cuore, invece potei ascoltere di nuovo quel sibilio infernale seguito da una voce.

Era la voce di mia moglie che mi chiamava piangendo, mi voltai e la vidi dietro di me; non riuscivo a comprendere l’agonia della mia mente che invece sfuggiva perplessa la tremenda realtà.

Ero trapassato ed ora ero rinchiuso in un burattino dal dolore di mia moglie, ero stato proprio io a volerlo riparare, a non voler sentire le grida.

Ero stato io a scoprire il mietitore in quel vecchio dagli occhi bianchi…

 

 

 

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