Durante la mia carriera universitaria, oltre a lanciare palline di carta ai banchi dei secchioni, assistevo alle intriganti lezioni di storia delle dottrine politiche, portata avanti da una pomposa marchesa. (il secondo modulo, invece ebbe come protagonista un conte. E giuro studiavo a Roma non al Trinity college). Fu in questi giubilanti giorni che incontrai e mi scontrai con un famoso filosofo della politica di nome Thomas Hobbes autore di un libro straordinario e fastidioso il leviatano.
E sapete cosa sosteneva il perfido Hobbes?
Leggete voi:
Ogni uomo è affetto da una bramosia naturale che lo porta a voler godere da solo di quei beni che dovrebbero essere comuni. Per Hobbes, quindi, l’uomo è un animale mosso meccanicisticamente da pulsioni egoistiche.
– Ogni uomo per natura ritiene la morte violenta il peggior male possibile e la sfugge in ogni modo; ovvero, in ogni uomo, sin dallo stato di natura, è insito l’impulso all’autoconservazione.
In pratica, il nostro eclettico britannico, sosteneva un’amara verità, da me odiata ma impossibile da contestare ossia la natura primordiale e bestiale di un uomo, il cui unico intento era la soddisfazione di istinti e impulsi. In pratica, l’essere umano originario, non era un “animale” sociale, ma un vero e proprio predatore, che si necessitava dell’altro, ma che in fondo, nel suo profondo io, non lo amava affatto. Lo temeva, lo disprezzava, odiava aver bisogno di lui, non provava empatia ed era fortemente egoista. L’associazione in gruppi nasceva così da un timore verso l’ignoto presente nell’universo materiale e dal mero bisogno. Del resto se ogni uomo era ossessivamente portato alla ricerca del proprio benessere personale, ciò aveva come conseguenza un radicato antagonismo, un contrasto perenne pericoloso di esseri che bramano, in fondo, la stessa cosa, che tentano di soddisfare il medesimo bisogno. Bisogni che, dato la scarsità di materie prime o di possibilità, crea e deve creare caos, disordini e guerre.
bellum omnium contra omnes
Ed è per controbattere a questo stato naturale che nasce lo stato e la società.
Ma è un artificio che resta in contrasto con quell’anima fondamentalmente brutale, violenta, dominata dal puro istinto di sopravvivenza e che porta alla sopraffazione e che non sempre riesce a essere plasmato dalla ragione.
Per l’uomo sociale esiste la volontà ferrea di dividere il mondo in giusto e ingiusto, per l’uomo naturale questa distinzione NON può esistere e spesso si manifesta in quei comportamenti considerati devianti, osceni ma che in fondo in fondo ammiriamo. Perché ci ricordano tristemente chi siamo.
Pur sfuggendo il male più grande la distruzione totale dell’esistenza, ne siamo tuttavia, terribilmente attratti. Lo sfavillio del successo, il primeggiare sugli altri a scapito dell’eticità della vita, porta a sostituire valori universali con una morale costruita ad hoc. Sant’Agostino parlava di verità eterne convinto come molti adepti del sacro che in fondo, nonostante il pessimismo materialista di Hobbes, una scintilla divina, (a culo proprio) fosse discesa in questa strana creatura chiamata uomo.
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi
Insomma, se siamo un gradino superiore persino agli angeli, se abbiamo la possibilità di diventare dio o abbracciare la parte divina presente in noi, forse qualcosa che ci ricordi la nostra arcana origine dobbiamo pur trovarla. Ed ecco spuntare i valori come amore, famiglia, rispetto, empatia comprensione, compassione raccontati da tanti miti. Ed ecco nascere una società livellata a questa illusione, in cui gli uomini cercano disperatamente a volte di combattere la natura bestiale in favore di una ricerca iniziatica del loro vero sé, perduto o rapito da un’entità aliena crudele e beffarda. E quest’entità ha tanti nomi Demiurgo, Arconte o semplicemente Re di Denari.
E leggete un estratto di Carriero:
Veniamo al mondo per vivere un’esistenza che ci porta alla morte. Prima o poi dobbiamo abbandonare questo mondo.
Viviamo e ci affanniamo aspettando la fine. Come un conto alla rovescia, un lungo percorso che ha la stessa meta per tutti.
Accumuliamo ricchezza, consumiamo risorse, ci vendiamo l’anima. Per niente.»
Lo disse con una lucidità quasi disarmante.
«Ti sembra il caso di metterti a fare il filosofo?» gli chiesi un po’
incazzato.
«Ma ti sei guardato allo specchio? Scarpe firmate, camicia firmata, mutande firmate. Sei omologato, sei uguale agli altri. Ti vesti, pensi, parli come tutti gli altri. Sei un prodotto. Tu non sei più umano. Non lo sei neanche nato, umano.»
Carriero inizia laddove Hobbes tace (o non riesce a proseguire) chiedendosi: sì ok abbiamo uno stato di natura di uomini lupo, ma cosa accade quando, la vita societaria, pallida imitazione del regno celeste, ti mette di fronte tante prove, stuzzica quel lato bestiale e ti porta a abbracciare totalmente il disordine?
Quel fragile equilibrio umano e etico viene messo a dura prova. Se un solo uomo cade, cadono tutti assieme a lui. Perché in questo strano marchingegno societario o materiale, in questo mondo che molti sperano sia illusione, siamo tutti totalmente interconnessi. Abbiamo creato noi questa rete di interdipendenza per poter sopravvivere. abbiamo creato leggi umane sperando di imitare quelle spirituali, abbiamo costruito una morale, sperando di raccontare con i nostri frivoli sensi l’etica profonda che intuiamo o ci vogliamo convincere che esista.
Quindi un solo uomo cade e un solo uomo mette a repentaglio tutta la baracca. E questo solo uomo per poter riparare quegli strappi deve percorrere un cammino irto di difficoltà, di mostri, di orrori per poter giungere alla comprensione totale del perché rubare, uccidere, sopraffare, mentire è sbagliato. E deve necessariamente trovare l’altra parte di sé, quella pura, non toccata dal mondo corrotto, dalla delusione e dalla frustrazione di una vita che alla fine si divide in bellezza e schifo. Chissà perché noi tendiamo a sottovalutare sempre la meraviglia?
Ecco che come Dante prima di lui, come ogni eroe graaliano, come il protagonista di tanti libri in cui la colpa diviene un marchio indelebile quasi una maledizione, il nostro protagonista si trova a dover percorrere una strada di redenzione. O di caduta. O di entrambe perché l’una non esclude l’altra. E deve farlo trovando la parte del sé che ha abortito o che la società, madre amorevole (e inquietante), ha deciso di abortire, creando un’immagine di un uomo a metà, creativo e caotico, soprattutto sordo a sé stesso, e cieco davanti alle innumerevoli verità che la vita gli pone davanti.
Perché il protagonista inizia questo viaggio straordinario e mostruoso?
Perché rischia di diventare bestia perdendo l’umanità tanto faticosamente costruita?
Sono quelle mattine senza senso, quelle in cui la rabbia di una vita che avverti come fallimentare spadroneggia ridendo malefica e oscura talmente tanto la tua visuale da farti notare solo il lato negativo di un’esistenze che è e sarà sempre più vasta. Davanti a tante piccole sconfitte, il protagonista non si rende conto di essere vincente per un solo straordinario motivo: è vivo.
È vivo e può creare, può prendere l’ombra che lo minaccia e renderla poesia grazie all’immaginazione. Può strozzare il dolore con l’ironia che è insita in ogni dialetto, un dialetto che sa di saggezza e profuma di secoli. Può combattere l’orrore con l’amore. E queste cose deve riscoprirle mettendo a rischio la sua intera esistenza.
Attraverso incontri, attraverso la morte che lo sfida, attraverso un incontro triste e poetico al tempo stesso, e grazie alla vista del degrado che minaccia da sempre l’uomo, attraverso la consapevolezza che l’uomo è da sempre un equilibrista precario sul filo sopra l’abisso, DEVE ritrovare l’uomo dietro al burattino. Scegliere la strada e rischiare anche di morire. Del resto senza la morte, senza qualcosa di orrifico che ci ingloba, ci mastica e ci riassembla (la morte sciamanica) continueremo a essere terribilmente ciechi.
Cos’è una giornata bestiale?
Una giornata bestiale è:
quando ti svegli senza un motivo per cui sorridere, quando vivi senza riuscire nemmeno a dire un grazie, quando non hai qualcuno a cui importa veramente di te.
Una giornata bestiale è:
quando te la prendi con chi sta peggio di te,
quando l’altro è una minaccia,
quando esisti solo tu.
Da uomo a bestia il passo è breve, l’umanità è a rischio, solo la solidarietà la può salvare, il “prendersi cura”, l’accoglienza.
L’uomo, la scintilla divina che ha dentro di sé,
la creatività che imita Dio e quasi lo raggiunge.
Una giornata bestiale è quella passata senza essere curiosi di scoprire un talento nuovo, folle, imprevedibile
Una giornata bestiale, ve lo dico io, è quella in cui la convinzione che quella di Hobbes sia l’unica percezione possibile, sottovalutando altre sfumatura, che so, la cooperazione di Sant Simon, o la capacità di uscire dal proprio centro egoistico e divenire volontà generale. Quella in cui non si comprende come l’ombra sia necessaria e vada abbracciata e mai temuta. Quella in cui si vede sempre la tragedia e mai la poeticità di un fiore che sboccia in mezzo all’asfalto
È il giorno in cui si può scegliere chi essere se uomo mansueto o ribelle:
La strada per gli uomini ribelli è spesso in salita e lastricata di merda. Ci sono fossi, insidie, belve feroci che ti fanno agguati mortali. È un percorso tortuoso e pericoloso. La strada dei mansueti invece è in discesa, pulita, asfaltata. In cambio di un pezzo di libertà l’uomo mansueto ha la facoltà di lavorare tutto il giorno per pagarsi la pensione che non avrà mai perché quel giorno sarà già morto. In compenso potrà comprarsi l’auto nuova ogni tre anni con rate infinite, piccole piccole, avrà un bel mutuo ipotecario sulla casa, avrà dei bimbi. Andrà in banca, poi in vacanza sempre nello stesso posto, e pagherà una montagna di tasse. L’uomo mansueto non pensa, non vota, non legge i romanzi di Bukowski. L’uomo mansueto vede la televisione, le partite di pallone, le telenovele.
L’uomo mansueto è felice perché non si pone domande e pensa che gli altri prenderanno le decisioni migliori per lui e per i suoi figli.
E voi chi volete essere?
Burattini al servizio del Re di Denari o ribelli che sanno rischiare una volta messi alle strette?
Ribelli che sono coscienti che il mondo li vedrà:
Essere ribelli significa essere dei perdenti. Sempre. È impossibile sfidare il sistema senza perdere qualcosa. C’è chi perde la vita, chi la libertà, chi l’onore, altri gli affetti.
Ma che il solo gesto del contestare, del dire no, dello scoperchiare i vasi di pandora, la loro voce che echeggia nel deserto vale più di mille azioni. Perché è soltanto dicendo no che inizia il cambiamento, perché dire no significa rifiutare dentro sé stesso, il marcio.
È il riconoscere che la propria vita:
la mia vita. Sempre vissuta di corsa, sempre a pensare agli altri. Al lavoro, alle bollette. Sempre a pensare alle tasse, alla necessità di guadagnare tanto. L’assicurazione, la Tarsu, l’energia elettrica, il cambio d’olio, la retta della scuola di mia figlia. Il frigo vuoto, la spesa al supermercato, lo scontrino fiscale, il verbale per divieto di sosta. Il bollo, la licenza che scade, il conto corrente, l’home banking, la connessione internet, il cellulare, il riscaldamento globale, il prezzo del petrolio che scende ma quello del gasolio è sempre uguale, anzi aumenta. Com’è ‘sta cosa?
L’ansia che cresce. La sento nel petto. Il cuore batte ancora, forte, allegro, intermittente. Sento arrivare il mostro, lo sento crescere dentro. Si alimenta della mia paura, della paura di vivere, della paura della miseria, della paura di non farcela.
E cosa riesce a salvare questo scanzonato guaglione?
L’amore.
Sempre e solo l’amore. Ma non l’amore trito e ritrito dei romance, quello tutto sole cuore e amore. Ma il sentimento che si esprime in meravigliose e intense parole:
Per lei vorrei una vita migliore. Un mondo diverso. Un uomo che le regalasse gioielli fatti di sentimenti e buone intenzioni.
Non gioielli. Non cose materiali. Ma emozioni, paesaggi sconfinati, la capacità di sentire il respiro di un altro, vederlo crescere, evolversi e spronarlo a salire su quella montagna. Perché è solo così che riuscirai a comprendere come:
visti dall’alto i draghi del potere ti accorgi che son draghi di cartone!…
Bennato
E dopo questo sogno tutto acquisterà un sapore diverso e le cose date per scontato diverranno diamanti.
Io spero davvero che si avveri l’avvertenza di Vincenzo:
Una Giornata Bestiale nuoce gravemente alla salute. La sua lettura può provocare benefit ipermanenti quali: sviluppo di senso critico, pensiero indipendente, disprezzo per il denaro, la finanza, il governo, la malavita organizzata e il francazzismo.
C’è tanto bisogno di pensiero. E meno di banalità e ipocrisia.