“Teresa Filangieri. Una duchessa contro un mondo di uomini” di Carla Marcone, Scrittura & Scritture edizioni. A cura di Alessandra Micheli

 

Non è semplice parlare del bellissimo libro di Carla Marcone. Non soltanto per lo stile che si pone a cavallo tra ricercatezza e immediatezza poetica, ricco musicale e estremamente evocativo, ma per i messaggi che la deliziosa mano di questa strabiliante autrice riesce a infondere in ogni frase, riuscendo a donare quella forza fragile tipica di ogni donna.

Ed è questo che in primo luogo colpisce. La Marcone nasce come ognuna di noi in un particolare momento storico, quello delle lotte femministe cominciate con la scandalosa Simon de Beavouir. Attenzione. Il femminismo iniziò davvero, non tanto con la data storicamente accertata, quella delle suffragette (che sicuramente incisero sulla legislazione politica contribuendo a rendere, piano piano le donne degne anche di votare) ma con la pubblicazione di un saggio, la mia bibbia personale,  intitolato il secondo sesso. Quello fu il vero passo del femminismo, in quanto iniziò a incidere davvero sulla cultura machista e maschilista a cui per millenni la femminilità ha dovuto, fintamente a volte chinare il capo. E tutto questo partendo da una storica frase: donne non si nasce ma si diventa.

E cosa significherà mai?

Questa frase non parla della necessaria formazione evolutiva umana, ma di un preciso intento, scandaloso oserei dire che pone la nascita di un essere vivente, colpevole e reo di non avere testosterone ma soltanto fragili ovaie, che le costringe a camminare su binari prestabiliti, con idee da acquisire mano a man che svilupperà la sua coscienza, da comportamenti standardizzati, persino da giochi precisi che la prepareranno al suo ruolo di madre e sposa. Una creatura etere fragile che nel momento in cui, accetterà di dialogare con la curiosità, con la volontà di emergere sarà colpita dall’anatema dell’esclusione sociale. Ma anche quella sarà standardizzata e andrà a sollazzare le vili voglie del riccone di turno. Una donna è seno e utero, raramente cervello, purché sia brutta e poco appetibile. Basti pensare all’oscenità delle prese in giro rivolte al ministro Rosi Bindi. O al silenzioso complice oblio in cui è caduta una cazzuta (mi si perdoni il termine scurrile) Tina Anselmi, unica donna che prese di petto il fallimento delle istituzioni indagando, senza timore e con pugno di ferro, sull’eclatante e vergognoso caso P2. (a questo proposito vi consiglio di leggere la P2 nei dieri segreti di Tina Anselmi)

 Eh sì care mie lettrici. Anche se siamo nel 2017 ci sarà ancora chi vi sussurrerà per frenarvi che femminismo è una parolaccia vi renderete conto di quanto, in realtà esso sia semplicemente la volontà incrollabile di ognuna di noi di avere pari diritti e pari opportunità. E non per via di stupide quote rosa ma sulla scia della presa di coscienza che essere donna, che il genere non compromette assolutamente le facoltà mentali. Non è nascere uomo o donna che inciderà sull’attività delle nostre sinapsi o sulla nostra capacità cognitiva. non sarà il genere femminile che è solo un fatto biologico a dover gestire e plasmare la nostra anima. Non sarà l’esser donna a costringerci più un tedioso corsetti, in falsi stereotipi, in grette moralità spesso derise dal profondo della nostra anima. Non dovremmo essere più divise in categorie stabilite da un maschio pavido e indifeso e cosi insicuro da aver costantemente paura dell’altra sua metà del cielo.  E quando vi dicono sei femminista?

 ODDIO che orrore!

Rispondete con le parole di Caitlin Moran

è da quando ho capito che è tecnicamente impossibile per una donna

non dirsi femminista. Senza il femminismo non avreste il permesso di dibattere su quale sia il posto della donna nella società, perché sareste troppo impegnate a partorire sul pavimento della cucina mordendo un cucchiaio di legno per non   disturbare la partita a carte degli uomini in salotto, per poi tornare a sturare il water.

E tutto questo ce lo racconta la Marcone in Teresa Filangeri. Nel momento in cui leggevo il testo mi veniva in mente la strepitosa canzone di Fiorella Mannoia, Quello che le donne non dicono.

 Cosa non dicono mai le donne?

Mi sono sempre chiesta il profondo senso della canzone della nostra Fiorella, quando piccola rivendicavo davanti a un papà orgoglioso il mio diritto a giocare anche con le macchinine. E grazia a te babbo, se oggi leggendo il libro di Carla alzo la testa fiera e sussurro al suo fantasma: Teresa io ce l’ho fatta. È grazie alla tua forza se oggi leggo e penso e davanti a un uomo fiero con gli occhi che brillano tengo testa a milioni di idioti, e rivendico il mio diritto a votare, conoscere e pensare. E mi chiedo davvero se è anche merito di Teresa di donne come lei se la mia adorata Simon riuscì a sfidare i benpensanti con i suoi libri. Mi chiedo se il progetto di Teresa non sia fluito nel latte materno di alcune di noi per portarlo avanti, per creare non femmine ma donne.

Ma dopo questo mio femminista vaneggiare vi chiederete si ma sta Teresa chi era?

Teresa Filangeri Fieschi Ravaschieri, nipote di un celebre filosofo, figlia del generale Carlo Filangeri fu una donna di nobili natali, molto nobili in quanto il nonno era il principe di Satriano, che dedicò la sua vita ai poveri. Direte voi e quindi?

vi ricordo l’epoca in cui essa agì: ossia ‘ultima decade del 1800.

Ricordate no?

nel 1870 fu un avvenimento epocale che mise le basi per quella compagine politica di cui facciamo ancora parte, l’unità di Italia. Cavour, i Savoia, i governi del neo stato italiano, le sue contraddizioni e quel tentativo mai riuscito di creare non solo uno stato ma un popolo.  Ma quel popolo che appoggio l’unità per trovare un po’ di sollievo dalle dure e precarie condizioni di vita si trovarono a far parte dell’Italia meridionale, l’Italia che stentava a crescere, l’Italia che non fu mai e non è ancora totalmente Italia.

E Teresa, nonostante donna disse semplicemente no. Raccolse per la strada numerosi indigenti, assumendoli in casa come domestici o mantenendoli economicamente, organizzò spettacoli teatrali devolvendo il ricavato in beneficenza. E nel 1880 fondò un ospedale per malattie infantili in onore di Lina la figlia morta in giovane età. A differenza di tante eroine romantiche non si consumò di dolore sfiorando o stordendosi di balli, ninnoli o amanti, ma sublimò il dolore dandosi da fare. Muovendo la sua anima già ribelle in cerca di un senso più profondo da dare a una vita già segnata: ricca rampolla, donna, poco utile al pensiero, ma tanto necessaria per abbellire quel tetro teatro dell’arte in cui ancor ‘oggi ci muoviamo escludendo l’altro dai nostri pensieri. cosa migliore per sopravvivere è attutire la voce della coscienza e non guardare oltre il proprio naso. Ma per Teresa quei poveri non erano solo lo svago di una donna viziata, troppo felice della sua austera condizione di privilegiata, né un modo per sentirsi bene in un egoistico effluivo di compassione. A Teresa quel modo di vivere, pensare, quei valori, quel sistema culturale non le va proprio giù. È come un amaro boccone che la costringono a ingoiare, tanto prima o poi ci si abitua. E invece no. Teresa lo sputa e sceglie di affrontare la vita, pararglisi di fronte, fissarla negli occhi e rimodellarla non solo con il pensiero ma con le azioni. Teresa è più rivoluzionaria di tanti che brandendo un fucile si sono ribellati contro il sistema. Teresa lo fa partendo non da sé stessa ma dalla gente, dimostrando che il mondo, si può cambiare, nonostante gli ostacoli, nonostante i vizi di forma, nonostante lei sia soltanto una donna.

Io non ho l’abilità pazzesca della penna magica di Carla. Ho solo qualche conoscenza di testi e di musica e allora trovandomi incapace di dirvi come Teresa viene qua descritta, passo la parola a un poeta Enrico Ruggeri:

 

Ogni donna ha un paio d’ali

Chiuse dentro sé

Pronta a certe ascese sconfinate

La notte delle fate

 

Ogni donna ha un paio d’ali

E sogna ancora vette inesplorate

La notte delle fate.

Ecco come è descritta Teresa. Una donna capace di volare, di sognare e scalare vette proibite. E’ cosi forte anche in un dolore dignitoso, oscuro male che invece di divorarle l’anima la fa espandere così tanto, che la sua fine è solamente il ricongiungimento con quel cielo immenso di cui fa parte. O per dirla con Platone, Teresa torna nell’iperuranio, luogo da cui provengono le idee alte per scendere a illuminare chi essa sceglierà per portare alta la bandiera dell’essere davvero donna.

Nello sfondo di un Italia che piange lacrima amare, che crede nella redenzione ma che in fondo cambia solo suonatore e mai musica, ferita, prostrata abbattuta, dimenticata, mai davvero sentita ma voluta dall’alto da interessi che non hanno la voce del popolo Teresa è la musica più pura che possa mai essere stata intonata, e che di fronte alla nostra vigliacca miseria ci racconta di come, dalle cenere un cambiamento è sempre possibile siamo noi a fare la differenza.

Dammi solo un motivo

Solo uno e basta

Solo un secondo in cui non siamo rotti ma piegati

E possiamo imparare ad amare ancora

E’ nelle stelle

E’ stato scritto nelle cicatrici dei nostri cuori

 

Non siamo rotti ma piegati

E possiamo imparare ad amare di nuovo

 

Pink

 

Dedicata a mio padre, che osservava con un luccichio negli occhi, la sua figlia ribelle leggere e crescere, domandarsi e osare. E ancora oggi vedo quel luccichio orgoglioso, mentre parla di me. Grazie papà per avermi dato la possibilità di essere donna prima che femmina. E di avermi sempre trattato da persona. Solo i grandi uomini sanno essere come te.