La narrativa dell’orrore è da sempre un abile espediente terapeutico. riesce cioè a dare voce all’ombra presente in ciascuno di noi che nasconde, dietro alla logicità di tante nostre azioni e di tante nostri interventi in quello strano scenario chiamato vita, motivazioni più profonde, forse meno nobili e meno alte, che però aiutano il corretto funzionamento della nostra mente. E sono e restano illogiche. Senza questi inconsci orrori, la nostra mente privata del suo sfogo penderebbe costantemente nella rovinosa caduta verso l’abisso. L’abisso ci chiama, ci attrae proprio perché siamo esseri in bilico tra sogno e incubo, tra acuta consapevolezza e la follia più caotica. Ecco che l’incapacità di gestire due ambiti o due emisferi considerati nemici e mai cooperativi, ci porta a una costante ricerca dell’equilibrio cercando di nutrire spesso uno a scapito dell’altro. Due lupi convivono in noi, uno mansueto e uno selvaggio e vince quello che riesce a assorbire più energia. Come dire bene e male adorano rincorrersi ma chi arriva al traguardo lo decidiamo noi. E’ sicuramente buon senso portarli entrambi alla vittoria, pari e fratelli, e non lasciare che essi di nutrano di noi e dei nostri talenti, ma piuttosto usare loro stessi come nutrimento costante di un ‘anima complessa ma terribilmente ricca di fascino. Ma non è possibili. La società ce lo vieta, ci vuole addomesticati e addomesticabili, pucciosi e coccolosi, mai deve emergere l’idea della complessità e mai dobbiamo mostrare i nostri denti acuminati e la nostra folta coda di fiere selvatiche. Ecco perché l’horror ci aiuta a dare voce e questo nostro alter ego che deve e può impadronirsi di questa spontaneità avvertita come pericolosa, questo caotico avvicendarsi di passioni e perché no grettezze, proprio perché la loro negazione, la loro invisibilità lo alimentano. E far vincere un lupo o un drago famelico non è mai una buona cosa. Né una scelta saggia.
Mostri, demoni, atti di crudeltà estrema è il nostro modo di esorcizzare in un rito ancestrale apotropaico, questo agglomerato di emozioni scomode che Pareto definì i residui non logici di tutte le nostre azioni, da quelle più elevate e quelle banali e ovvie. E in questo libro, perfetto, a volte stridente come un’unghia sui vetri, scomodo e ingombrante troviamo tutti questi piccoli e fastidiosi rumori che danneggiano il nostro volto abbellito dal termine civiltà. Non siamo totalmente civili. Non siamo così bene incastrati nel mosaico della moralità o della convenzione sociale. Ne siamo estranei pur avendone bisogno. Abbelliamo gli orrori e le blasfemie con parole eleganti e raffinate, con altisonanti aggettivi che sanno di pulito e di leggerezza, con ideali assoluti presi a prestito dal mondo perfetto delle idee. Eppure, non possiamo non colorali di quest’ombra furtiva, perfida, disgustosa e quasi famelica. E proprio nella nostra tendenza a rifiutarla, a non vederla a considerarla fantasia l’alimentiamo. Fino a conseguenze estreme. Siamo tutti vittime delle ombre. Siamo tutti noi stessi ombre ammantate di umanità. E finché non racconteremo come fa Nora, la nostra storia fatta di sangue e dolore, dietro alla finestra qualcosa striscerà sempre, resa potente dalla nostra stupidità…
Se avete coraggio avventuratevi nel racconto di Nora, ascoltatelo. E spero per voi che riuscirete e salvarvi…altrimenti la fine sarà terribile.
Buon Viaggio
Alessandra Micheli
L’orrore nascosto. Quando la parola è tagliente come lama. di Natascia Lucchetti
Quando sono andata a Roma, ho incontrato Giacomo di persona. Un autore di quelli che se ne trovano pochi: umile, gentile, molto sensibile e queste caratteristiche mi hanno ben disposta a scoprire il suo ultimo lavoro.
Ho sospeso la lettura del libro dei King per iniziare Nora, perché da come me ne avevano parlato, doveva essere un buon testo. Mi avevano detto che era molto ben scritto e a lettura finita posso dirvi che “ben scritto” è una definizione riduttiva per questa perla dell’horror tutta italiana.
La storia vede come centrale la figura di Nora, che in seguito a una furibonda lite uccide sua figlia Claudia e, dopo l’arrivo di forze dell’ordine e paramedici, finisce in manicomio.
L’autore ci presenta Nora sia dal punto di vista delle persone che la guardano da lontano, sia da quello di lei, disegnando un confronto tra sostanza e apparenza.
E proprio l’apparenza è uno dei temi che mi hanno fatto pensare. Le vicine di Nora sono il ritratto dell’italiana dei paesi che ha ormai superato la cinquantina. Donne che vivono a casa e guardano alla vita degli altri perché la loro è soltanto una vuota routine senza stimoli. Si cibano di chiacchiere e supposizioni, solo per ammazzare il tempo e non pensare al poco che sono. Guardano le tragedie e le usano per dire: qualcuno sta peggio di me. Sono le tragedie a movimentare la loro esistenza, una sorta di film horror nella vita reale dove si cerca di essere comparse. Emblematica è la parte delle interviste, dove le vicine fanno a gara per raccontare la loro e fingere costernazione per la situazione di Nora.
Si chiacchiera tanto di lei, si parla dei suoi facili costumi, di come abbia fatto ammattire il marito, un rispettabile poliziotto e come abbia rovinato la vita della figlia, ma nessuno si permette di chiedersi perché. Nessuno pensa alla sensibilità di Nora, di ciò che lei è, delle sue paure, delle sue insicurezze figlie di un’educazione sbagliata, della violenza psicologica di un padre sbagliato. Lei è nel torto, perché non è come dovrebbe essere, come tutte le altre. Per questa sua diversità, Nora viene isolata, abbandonata da tutti, lasciata sola con le ombre dei suoi errori che nel tempo la divorano, le strappano pezzi. Il racconto di Nora parla della solitudine di una donna incompresa, incapace di essere moglie e madre.
L’orrore è proprio la solitudine di Nora, le ombre che prendono vita dalle sue paure, dalle sue mancanze, e lo fanno con violenza brutale. Sono proprio queste ombre a dare a ciascuno il suo, punendo chi ha sbagliato.
E noi lettori, finito il libro rimaniamo a guardare le ultime righe con una domanda in testa. Ci chiediamo incessantemente: chi ha sbagliato? Chi va punito? La risposta che ho dato io è: tutti. Ognuno ha pensato per sé e si è smarrito, perché non ha saputo vedere niente oltre se stesso.
Come ho detto all’inizio della recensione, questo libro è una perla. Ben fatto sotto ogni aspetto. Le tematiche sono profonde e toccano il nostro quotidiano: l’indifferenza, l’abbandono di una società che guarda tutto da fuori senza sporgersi a capire. Lo stile è impeccabile, coinvolgente. Le descrizioni sono fantastiche, hanno il sapore di una cruda e macabra poesia. Il ritmo è veloce, non si perde mai in deviazioni inutili, regressioni superflue. A Ferraiuolo non servono che poche parole per raccontarci un personaggio nel dettaglio, attraverso dei flash molto efficaci. Non c’è niente di casuale nel suo libro e alla fine il cerchio si chiude perfettamente su un numero abbastanza alto di personaggi.
In conclusione tengo a dire che Giacomo Ferraiuolo ha saputo scuotermi e segnarmi come pochi autori di uno dei miei generi preferiti.
Consiglio pertanto questo libro agli amanti del genere horror. Non fatevelo scappare per nessuna ragione. C’è veramente tanto in questo romanzo.