“Fore morra” di Diego diDio, Time crime editore. A cura di Andrea Venturo

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Che posso dire di un libro perfetto?

Che se comincio così una recensione è evidente che sono di parte.

Oh be’ pazienza, me ne farò una ragione.

Comincio dal titolo: “Fore Morra”. Fondo nero, testo color sangue. Si capisce che è una storia di quelle “brutte e cattive?” Insomma è un titolo onesto, anche per chi non è pratico di dialetti campani. Il sottotitolo, posto in calce alla pistola puntata che dalla cover mira alla faccia del lettore è “senza redenzione” che non è la traduzione di Fore Morra.

Dunque il lettore è avvisato: abbiamo a che fare con una storia di quelle che graffiano, sparano e fanno male, una storia dove c’è l’inferno che aspetta di accogliere tutti.

Il lettore è avvisato, magari a livello subliminale, ma è avvisato. E sei avvisato anche tu che leggi questa recensione: non ci saranno spoiler, ma ti assicuro che intendo essere all’altezza di ciò che ho letto.

L’ambientazione: spazia da Castel Volturno ai Quartieri Spagnoli di Napoli. “La Napoli antica e immortale. Una città nella città, implacabile e millenaria, fatta di spacciatori, ladruncoli, venditori ambulanti.” Non sono parole mie, ma quelle dell’autore quando descrive uno dei volti di Napoli di cui si farebbe volentieri a meno e che, se passeggi per quella città, puoi sperimentare (e raccontare) se e soltanto se qualcuno che è pratico dei luoghi ti accompagna e garantisce per te. Se no… stanne fuori. Se sei fortunato ti senti dire “Evita quella strada” o “non andare” e allora accetta il consiglio. Se non lo fai, non percepisci alcun avviso, o (peggio) decidi di ignorare e andare avanti… ecco, quello che emerge dalla lettura è proprio quell’aspetto di Napoli. Magari qualcuno ti chiede l’ora, tu rispondi e poco dopo “zac” sei a terra dolorante e il tuo smartphone o il tuo rolex è andato. E ti è andata ancora bene. Se qualcuno ti dà l’avviso “ti chiedono l’ora e tu mostra il polso senza orologio e di nu’ lo sacc’ ” scopri che quella Napoli non è solo in certi luoghi, nello spazio. Esiste anche nel tempo e nel pensiero: pensare e quindi agire in modo sbagliato può causarti seri problemi anche se stai attraversando Piazza del Plebiscito nell’ora di punta.

Lo scenario è questo: una tipica “Località di camorra” vale a dire Castel Volturno, rappresentata come una città ferita e assoggettata ad uno stato diverso da quello italiano e la Napoli di cui sopra.

L’impressione per chi non conosce questi luoghi, ma magari ne apprezza le bellezze turistiche, è quello di vedere una cartolina sbrilluccicosa e rutilante, mutare aspetto fino a diventare cupa e sporca e fetida. Per gli altri: è inutile che ne parli io. Per tutti: l’ambientazione è curata molto bene. Un’aspetto in cui molti autori cadono è la percezione dei personaggi. Tutti bravissimi nel raccontare quel che si vede e si ascolta. Le descrizioni visive e auditive sono molto comuni e, tutto sommato, facili da rappresentare. Qui abbiamo un narratore cinestetico. Che vuol dire? Vuol dire che vi sentirete addosso in senso fisico quelle descrizioni. Vuol dire che non vi limiterete a vedere e sentire, ma riceverete addosso il peso di ogni parola. L’ambientazione dunque ha descrizioni che coinvolgono tutti i sensi e in mezzo a questi dettagli si nascondono quelli che i protagonisti dovranno filtrare per capire da dove arriva il pericolo… e non sempre riesce loro.

Protagonisti di questa storia sono Buba, un assassino professionista e Alì una ragazza cui la vita ha tolto tutto e che inizialmente dava il titolo al libro. No non è “Alì” e ci penserà Alisa stessa a dirvelo quando, verso le ultime pagine del libro, dirà di sé stessa “Io sono la…” e non vi dico cosa se no è spoiler.  Belli e pericolosi, ma anche puri: uccidono, ma è “lavoro” e mantengono una certa pulizia rimanendo legati ad un concetto di etica che suona come un cliché “niente bambini e donne incinte”, ma che è usato in modo da dare al lettore la possibilità di immedesimarsi, di provare empatia per le vicende di persone che nella realtà dovrebbero stare in un carcere e pure in isolamento. Chiarisco un concetto: sono due belve. E tuttavia avendo a che fare con altre belve risultano credibili e perfino simpatici. Il loro passato è importante, ma lo vedremo meglio quando parlerò della trama. Di fatto la caratterizzazione dei personaggi è curata in modo superbo: le figure dei due protagonisti emergono in modo limpido e le loro azioni sono perfettamente aderenti, come la pelle coi muscoli sottostanti, al loro background. Non ci sono “attimi di pazzia” in cui un personaggio agisce o pensa cose che non c’entrano un picchio con quanto detto, fatto, pensato… o annusato (il profumo è importante, Diego descrive molte scene in senso cinestetico). Ogni elemento è al posto giusto, ogni parola è stata curata e messa lì con uno scopo e la storia appare come una creatura viva, perfetta nel suo essere brutta e cattiva (sempre di camorra si tratta) e capace di prendere lo spettatore per il collo e tenerlo incollato alle pagine piuttosto che allo schermo del lettore di e-book fino alla pagina dei ringraziamenti.

Gli altri personaggi, tutti secondari tranne uno: l’antagonista, sono caratterizzati altrettanto bene. È raro trovare libri così, almeno per me che mi diverto a fare l’autore sommerso, nel mare magnum degli esordienti. Devo tuttavia ricordarmi che Diego Di Dio non è un esordiente, ha altri lavori all’attivo  e ha molta gavetta sulle spalle. E per “molta” intendo quel che diceva Han Solo circa il fatto che Leila “è molto ricca”.

E se non sai di quale frase sto parlando vai a rivedere Guerre Stellari ep IV “a new hope” e presta attenzione.

La Trama.

Due storie in una, una relativa al passato e narrata al passato, una legata al presente e narrata al presente.

Nel presente si comincia con un omicidio e un tentativo di vendetta. Un simpatico aperitivo rispetto al corposo pranzo luculliano che segue e che comprende antipasto Napoletano, Volturnese, Guaietti in salsa di scampi(a) e molte altre prelibatezze in una girandola di fughe, omicidi, cacce e momenti di relativa calma dove la protagonista Alì riesce a pensare al proprio passato. Inizialmente sembrano momenti di introspezione, ma lentamente prende forma la seconda storia. Il conflitto primario, quello che rappresenta “ ‘o guaio” che ha travolto i due protagonisti, ha radici nel passato di lei.

Chi è stato?

Il volto del nemico pian pianino prende forma e allora anche la girandola di cui sopra comincia ad acquisire un senso, sinistro, mortale, comunque plausibile.

La storia “al passato” che ripercorre la vita di Alì fino all’incontro con Buba è un piccolo capolavoro: detta i tempi della narrazione che si fa via via più concitata man mano che si avvicina al presente creando una sorta di effetto count-down davvero godibile. La tecnica, quella del flashback, è analoga a quella di altri maestri come King e Koontz ad esempio, ma in King il flashback si muove parallelo al presente e proietta su di esso gli effetti provenienti dal passato.
Esempio: nel passato il protagonista fa un buco nel muro, nel presente lo stesso protagonista ritrova il buco e ci vede attraverso.

Qui abbiamo una cosa diversa,  originale… almeno per me che di Noir e Thriller ho letto poche cose rispetto ai miei generi preferiti.

La tecnica.

Diego descrive mostrando molto e racconta per bocca dei suoi personaggi. Alì è una bella ragazza? Non lo dice mai. La descrive anche piuttosto sommariamente, ma quando sono i personaggi a parlare di lei i “sei bella” si sprecano insieme a pezzi con metro variabile dallo scurrile all’aulico, ma comunque capaci di trasmettere in modo chiaro il sentimento provato dal personaggio nei confronti della persona.

Se ci mettiamo la coerenza narrativa di cui sopra ne escono fuori delle descrizioni di grande efficacia e impatto e se poi ci aggiungiamo l’aspetto cinestetico, che coinvolge sensi e percezioni che di cui abbiamo sì esperienza, ma di cui non sempre siamo consapevoli, l’effetto è ancora più coinvolgente.

C’è molto altro: Diego sa servirsi dei colpi di scena e li utilizza in ogni modo possibile, anche per far saltare il lettore sulla sedia quando meno se lo aspetta, fino all’ultima pagina. Non amo lanciarmi in lodi sperticate, ma questo è uno di quei momenti in cui mi vien voglia di farlo.

Trattandosi di camorra ci si trova davanti ad alcuni cliché del criminale di stampo mafioso. Saviano ci ha raccontato di come certi camorristi si rifacessero alle gesta di “eroi di carta” come Scarface, insomma si comportavano proprio loro come quei cliché che cinema e letteratura hanno esportato. Anche Diego ha fatto propri questi elementi e li ha intagliati e incastonati nella storia facendoli risplendere come gioielli… non so se lo ha fatto apposta, o il suo modo di scrivere così coerente e ben strutturato gli ha permesso di sfruttare i “luoghi comuni” del crimine per dare maggior forza alla storia, invece di tramutarla in un qualcosa di “già visto” altrove.

Quale che sia la spiegazione posso solo dire “accipicchia” e “perbaccolina” che siamo in un blog letterario e non posso scrivere l’anagramma di cozza.

Sulla tecnica ci sarebbe ancora molto altro da aggiungere, ma a scrivere troppo rischio di creare aspettative eccessive.

Se fosse solo “tecnica” tuttavia la storia ne uscirebbe fredda, divertente sì, ma senza quella voglia che ti lascia un buon libro: rileggerlo, magari tra qualche tempo, per scoprire quei dettagli che alla prima lettura sono sfuggiti. Invece è proprio così: i personaggi non sono semplicemente ben costruiti, sembrano vivi e si finisce il libro con l’idea di conoscerli da sempre. Quale tipo di musica ascolta Buba o qual è il gruppo musicale preferito di Alì, sono informazioni che si possiedono e magari suggeriscono un’idea per un regalo di Natale se solo si avesse la possibilità di incontrare quei due nella realtà e portarglielo, come a due vecchi amici.

Gli ambienti sanno di vita vissuta, dal buco nel tetto in casa di Alisa e Pavella, alla villa del boss, tutto è plausibile e credibile, fino all’ultimo  pezzetto di calcinaccio staccato dall’impatto di un proiettile. La storia, per quanto possa sembrare incredibile, riesce a farti dire “non è vero, ma ci credo” e restare col fiato sospeso fino all’ultima nota di dopobarba che aleggia nel buio.

E ho usato queste parole con cura. Niente spoiler.

Scheda riassuntiva

Pro

storia credibile e raccontata con grande abilità

personaggi caratterizzati a dovere

ottima coerenza narrativa

thriller ad alta tensione, ma che si può far apprezzare anche da chi non ama il genere

Contro

nulla da segnalare

 

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