Quelle di oggi sono interviste un po’ diverse. Non soltanto doppie. Sono libere, sono sfoghi, sono a volte al vetriolo. Sono le voci di talentuosi autori che con le unghie e con i denti si ritagliano un posto in un ambiente a volte ostico e difficile. Sono le voci dei talenti che hanno ereditato il dono dai grandi della letteratura. Che hanno rimestato nel calderone della sapienza antica. E che oggi hanno il coraggio di mostrarsi nudi a voi
Buona lettura
Con noi oggi abbiamo Claudio Massimo ( autore di Aaron e gli dei combattenti) e Cecilia K Script ( autrice di Chained soul)
Il vero obiettivo di scrivere romanzi:
Claudio:
Per chi ama la scrittura, il vero obiettivo è quello di poter vivere scrivendo. Molti ambiscono al successo, alla ricchezza, alla notorietà, mentre io credo che già il fatto di fare una cosa che ami,anche senza raggiungere picchi elevati di notorietà e ricchezza, sia già di per sé un grande successo. Vivere facendo quello che più ci appassiona è la massima aspirazione delle persone. Spesso i sognatori vengono visti come visionari; ma chi ha un sogno non è un illuso, ma un lottatore.
Cecilia:
Non c’è un vero obiettivo, credo, ma tanti e sono tutti soggettivi. Io scrivo perché da sempre la mia mente crea delle storie che nascono da un pensiero fugace o da una situazione o qualcosa che ho letto, e poi si trasformano. Ogni volta che la mia testa ripensa alla trama, questa cambia e si arricchisce. È così che è nato il mio primo romanzo. All’inizio era completamente diverso ma quando ho deciso che dovevo scriverlo ha mantenuto la sua forma, come se avesse finalmente trovato la sua identità. Come se mi avesse perseguitata e si fosse manifestato in tanti modi diversi per convincermi a scriverlo, a dargli vita.
Scrivo perché entro in un mondo parallelo, il mio, dove posso decidere il destino di chi voglio… perché è vero che molto spesso sono i personaggi a condurre la loro storia e tu ti riduci a mero scribacchino, ma è altrettanto vero che io sono una cocciuta e, se una scena l’ho immaginata in un modo, niente e nessuno mi farà cambiare idea.
Scrivo perché di secondo nome faccio procrastinazione e riuscire a finire un romanzo è un’immensa soddisfazione personale.
Scrivo per lo stupore che si rinnova ogni volta che le dita volano sulla tastiera e creano qualcosa che prima era solo un abbozzo, una scena parziale o un’unica frase e alla fine diventa un intero capitolo, o più di uno, e io mi chiedo: da dove salti fuori?
È davvero strabiliante.
Si scrive per se stessi, dunque, e questa è una verità parziale perché dopo la scrittura inevitabilmente arriva la pubblicazione, e quella non è più una faccenda intima ma una finestra spalancata sul nostro mondo interiore, attraverso cui tutti possono dare una sbirciata.
Perché si pubblica? (La domanda me la faccio da sola!)
Per il confronto con i lettori e gli altri autori.
Perché non ci si ferma alla scrittura? In fondo una volta dato corpo alla nostra fantasia dovremmo esserne appagati. Qual è quel quid che ci fa fare il passo successivo?
Anche qui non c’è una sola verità.
Io ho pubblicato perché volevo vedere nero su bianco la mia prima storia, volevo darle un titolo e una copertina e volevo vedere se ciò che avevo scritto poteva suscitare negli altri quello che alcuni libri avevano suscitato in me.
È una forma di narcisismo, non è possibile dire il contrario, altrimenti lasceremmo tutto nel cassetto e saremmo felici così.
Serve più arte o più seguito
Claudio:
Allo stato attuale sembra che la risposta giusta sia: più seguito.
Cecilia:
Ah! Sono mesi che discuto con una mia amica di questa faccenda e ancora non abbiamo trovato la risposta definitiva.
Innanzitutto, dipende da quello che vuoi.
Per un equilibrio perfetto servono entrambi ma è una risposta troppo facile.
Un buon libro, scritto bene e con una trama interessante, che però non legge nessuno… è davvero buono?
Perché, teoricamente, sono i lettori a stabilire, seppur con i logici limiti dovuti al gusto personale, quale è bello e quale no. Quindi se un libro vende molto è sicuramente bello?
Assolutamente no!
Ho letto romanzi osannati e, onestamente, sono rimasta sconvolta.
Lasciamo stare gli errori dovuti a un editing mancante o fatto da chi non è capace.
Spesso ho trovato una scrittura veramente banale a cui faceva concorrenza una trama letta e straletta.
Si dice che non è tanto la storia in sé a fare la differenza quanto il modo in cui è stata raccontata ed è sicuramente vero, ma non è il caso di ogni libro che è finito sulla bocca di tutti.
Quindi perché vendono tanto?
Per il seguito che molti autori hanno, composto da amici ma anche da blogger.
E va benissimo, perché non c’è niente di male in questo, solo che può capitare che si inneschi un perverso meccanismo di passaparola che porta alla consacrazione di testi davvero banali. A volte ho avuto l’impressione, ben prima di diventare autrice io stessa, che se non parlavi bene di un determinato libro eri una voce fuori dal coro che non capiva niente.
È un po’ la logica del gregge, dove va una vanno tutte.
Comunque, ci tengo a sottolineare che non solo gli autori hanno il loro seguito ma anche i blog.
La mia esperienza personale mi ha portato a proibire a chiunque conosco di rispondere a una recensione negativa.
Purtroppo mi è capitato, con il primo romanzo, che un blog me ne abbia fatta una complessivamente piuttosto positiva, ma pessima nel modo in cui sono state evidenziate le note che non sono piaciute all’autore della recensione stessa. Due persone che conosco hanno risposto dicendo la loro, giuro con molta educazione, ma a qualcuno non è andato giù e io mi sono ritrovata su Amazon una recensione brutta scritta da chi non aveva letto il libro. Con delle parole che, inequivocabilmente, riportavano al blog in questione.
Questo per dire che i fan club ci sono ovunque, anche dove ti aspetti un po’ di professionalità in più.
Altre volte invece, ci tengo assolutamente a specificarlo, il passaparola ti porta a conoscere autori che sono veramente bravi… persone che sanno davvero raccontare le storie, che intrecciano fantasia e parole in una rete che ti intrappola nel libro e ti fa venire voglia di uscirne il più tardi possibile.
Per questi autori ho fatto mattina, per dire.
Ci sono autrici italiane che adoro e di cui aspetto sempre con ansia le nuove uscite, e che ho conosciuto solo grazie ai social. Probabilmente proprio grazie a un membro di questo famoso seguito, e che ringrazio con tutto il cuore.
Perché mai con una CE
Claudio
Le grandi case editrici sono piuttosto disattente nei confronti degli esordienti, questo perché una CE è a tutti gli effetti un’azienda, che come tale deve ottenere profitti. Per cui la prima mossa, dopo aver valutato un manoscritto, è quello di vedere quale potenziale abbia l’autore, e lo fa scandagliando il web, controllando il seguito che lo stesso ha sui social. Molte/i yuotuber e influencer non legate/i al mondo della letteratura ma con decine di migliaia di seguaci, vengono continuamente contattati dalle grandi case editrici e invitati a scrivere un libro anche senza esperienza, tanto poi gli editor aggiustano tutto.
La tendenza dei grandi gruppi editoriali è quella di seguire l’orientamento generale, che si rivolge in maggioranza verso i personaggi famosi. Ne sono l’esempio le biografie di calciatori, vip e le opere di grandi autori. Questi ultimi però dimostrano che non è impossibile emergere, perché ogni autore famoso è stato comunque un emergente, ma le difficoltà sono talmente tante, che molti autori, magari validissimi, si perdono per strada; e questo è un gran peccato. Fortunatamente esistono ancora la media e la piccola editoria, ed è grazie a queste ultime (se lavorano seriamente) che a volte capita di scoprire il nuovo King o Follet.
Per quanto mi riguarda, preferisco che il mio lavoro venga valutato da esperti del settore anche a rischio di incappare in un diniego. Ci sono stati casi clamorosi di capolavori cassati inizialmente da direttori editoriali. Mi viene in mente Tomaso di Lampedusa con il suo Gattopardo, che venne bocciato da Elio Vittorini allora in Mondadori. La stessa mamma di Harry Potter si vide chiudere molte porte in faccia. Nonostante ciò, preferisco sottoporre la mia opera a una CE, perché aggiunge peso specifico al tuo lavoro. Naturalmente questo è il mio pensiero e non una regola certa. Molti autori e autrici sono riusciti a emergere anche con l’auto pubblicazione. In questi casi, oltre a scrivere devi occuparti di tutte quelle mansioni che sono tipiche del lavoro di un editore che abbia un minimo di serietà. Non tutti però sono in grado di farlo, bisogna spendere molte energie oltre a quelle che già si spendono per scrivere un libro. Come spesso dico, è una libera scelta; (a volte forzata dal fatto che non si riesce a pubblicare con una c.e) e ognuno è libero di scegliere la strada che più gli si confà per realizzare il proprio sogno. Quello che non si dovrebbe fare mai, e rivolgersi all’editoria a pagamento; ma spesso, la smania di vedere il proprio libro pubblicato, porta a questo forma di editoria che io non approvo. La fretta non è mai una buona consigliera e non di rado porta in un vicolo cieco.
Cecilia
E chi l’ha detto?
Se una Casa Editrice mi portasse in libreria, credo che accetterei tranquillamente.
Solo ed esclusivamente per vanagloria, per vedere una mia opera sugli scaffali in mezzo a tanti altri libri.
Ma sono self e amo la mia scelta perché voglio decidere io quali parti pubblicare e quali omettere nel mio romanzo, che titolo dargli, come fare la copertina. Il libro è mio e posso accettare dei consigli ma l’ultima parola sta a me e, da quel che ho capito, con una CE non funziona così.
Ecco, magari lascerei volentieri nelle mani di qualcun altro la promozione perché io sono pessima e mi scoccio in fretta!
Il peggior difetto del mondo selfpubblishing
Claudio
Non essendo addentro per scelta, non ho gli strumenti per poter valutare la cosa. È un mondo che non conosco, ma che un giorno potrei conoscere. Nella vita, se si vuole realizzare qualcosa, bisogna essere aperti a qualsiasi esperienza.
Cecilia
Il peggior difetto del self publishing è anche il suo miglior pregio: tutti possono pubblicare un libro.
Indubbiamente senza questo mondo io non avrei mai pubblicato nemmeno un titolo dei miei, quindi sempre grazie self publishing!
Però… quanta robaccia c’è in giro!
Chiunque pensi di avere una storia carina in testa crede di poterla anche pubblicare.
Tralascerò il discorso sul gusto personale per concentrami su un altro aspetto per me fondamentale, e cioè la qualità di quello che viene pubblicato.
Non basta il contenuto se la forma è vergognosa.
Se i congiuntivi sono un oggetto volante non identificato, se i refusi sono come la pioggia a Londra, se le parole vengono utilizzate non per il loro vero significato ma per quello che l’autore crede che abbiano. Se le virgole svolazzano qua e là tra le parole come farfalle impertinenti.
Quando si pubblica un libro lo si vende, ma credo che in molti facciano finta di dimenticare questo “particolare”.
Si intascano soldi veri, mica quelli del Monopoli!
E allora non sarebbe il caso, come minimo, di mettere sul mercato un prodotto il più possibile curato?
Si cerca il titolo più accattivante, la copertina più intrigante e poi… il tutto è scritto in “itagliano”.
Bisognerebbe spiegare a queste persone che esistono figure professionali che si occupano di sistemare il testo e che non è una giustificazione non avere soldi per pagare un editing accurato.
Per ben due motivi: il primo è che ormai si trovano in giro persone capaci, davvero capaci, che si fanno pagare una cifra ragionevole che vale la pena spendere per qualcosa che porta il nostro nome.
Il secondo motivo è che se non posso offrire a chi acquista un prodotto quantomeno decente, allora me lo tengo nel cassetto.
Pubblicare non è un obbligo.
Ci vuole rispetto per chi investe soldi nel nostro lavoro, fossero anche 99 centesimi.
Nessuno di noi raggiungerà mai la perfezione, e a questo mondo non è nemmeno richiesta, qualche refuso può scappare e non è quello che determina la cura che si è messa nel confezionare il proprio romanzo.
Però l’italiano che diventa presunto tale non è accettabile.
Ma anche qui c’ è il rovescio della medaglia, perché se proliferano i romanzi scritti alla comevipare è colpa dei lettori che accettano questo compromesso pur di avere sempre qualcosa da leggere.
Alziamo il livello della qualità e non della quantità perché tanto, a dispetto di tutte le battaglie patetiche tra autrici, c’è posto per tutti ma è giusto che sia occupato da chi ama il lettore così come ama il proprio romanzo e non solo il guadagno che può riceverne.
Cosa pensi davvero delle recensioni e cosa non sopporti in queste
Claudio
Per quanto mi riguarda esse sono necessarie per far conoscere il proprio libro ai potenziali lettori. A chi recensisce libri si affidano un po’ tutti: case editrici, agenti letterari e gli stessi autori. Quello che non sopporto è la disonestà intellettuale. Ho avuto modo di vedere autori che hanno cominciato ad avere un certo successo, con recensioni a una stella. Non credo che possano esistere libri scritti così male. Molto spesso, dietro a queste figure che il più delle volte usano pseudonimi, si nascondono altri scrittori che, non essendo riusciti a emergere come si aspettavano, recensiscono con la penna intrisa nel veleno. E questa è una cosa che molto spesso si rivela un boomerang. Non sempre screditare il lavoro altrui porta dei vantaggi. Io credo che per criticare qualcuno bisogna essere in grado di fare meglio, e che se proprio una critica bisogna farla, che sia costruttiva e non demolitrice. Spiace vedere che il mondo della letteratura, sia anch’esso schiavo dei tempi oscuri in cui viviamo, dove l’individualismo e la competizione sfrenata, ci stanno rendendo simili alle fredde macchine che produciamo. Ma alla fine, come spesso capita, il bene trionfa sul male. Prova ne è, che l’autore in questione, oggi è tradotto in Francia, Belgio e Canada, menzionato dal Sunday dove il suo libro è stato citato come il miglio thriller non inglese e La Nazione descrive l’autore come il King italiano. Quindi, recensione si, soprattutto dagli addetti ai lavori, ma che sia onesta, perché la poca onestà prima o poi viene a galla e si ritorce contro, con perdita di credibilità.
Cecilia
Adoro le recensioni, ma preferisco quelle del lettore a quelle dei blog, perché le seconde le richiedo io e vivo nell’ansia fino a che non vengono pubblicate! È una cosa comune a tutti gli autori, credo, almeno a quelli con un minimo di umiltà.
Quelle dei lettori arrivano come un fulmine a ciel sereno e, se positive, danno una bella scarica di adrenalina.
Se hai un tentennamento lo scaraventano lontano da te, ti mostrano quello che è stato recepito, quali parti sono piaciute di più e quali di meno. A volte scopri che in quello che hai detto c’era un altro significato che ha colpito la persona giusta.
Ed è bellissimo.
Certamente sono frutto del gusto di chi le scrive, o così è nella grande maggioranza dei casi, per cui sono fallibili ma, nel momento in cui metti il tuo racconto nelle mani di chiunque voglia leggerlo, devi anche essere pronto al fatto che, semplicemente, può non piacere.
E fa male, io non credo a chi dice che con le critiche si può migliorare e che sono felici di riceverle per potersi correggere.
Perché non sono critiche oggettive, perché quello che non è piaciuto a un lettore può essere stato adorato da un altro. Le critiche costruttive sono quelle sull’uso dell’italiano, sulla costruzione errata di una trama.
Ma come posso migliorare se mi viene detto che il libro non è piaciuto?
Per il mio ultimo romanzo un blog ha scritto che la crescita della protagonista è stata troppo repentina, ed è vero, ne sono assolutamente consapevole, ma so anche perché ho fatto questa scelta. È una critica che accetto non solo perché è un difetto che vedo io stessa, ma perché è evidenziato con garbo e professionalità e perché non è un parere personale ma un dato di fatto.
Parliamo delle recensioni false? Fino a poco tempo fa sembrava incredibile eppure esistono davvero!
E sono facilmente riconoscibili perché sono scritte non con inchiostro ma con veleno di vipera.
Peccato che chi non ha ancora letto il romanzo non le possa capire e questo può danneggiarti.
Facendo un po’ di attenzione, però, si può notare che chi le lascia sembra utilizzare frasi preconfezionate che puoi trovare anche relativamente ad altri romanzi, e poi ci sono le dive della recensione astiosa che ne scrivono a iosa. A quel punto lo sai e ci fai una croce sopra ma il danno arriva lo stesso, perché chi non fa caso a queste cose, e ammetto che prima ci credevo anche io quando leggevo che il testo era pieno di errori o la storia non stava in piedi, si fida e non compra il tuo romanzo.
Non so quanto incidano veramente sul gradimento del libro ma so che quando le ricevi, e sei assolutamente impotente perché non c’è tutela in questo senso, ti sale l’istinto omicida.
Fai il tuo sfogo personale
Claudio
Più che uno sfogo, la mia è una costatazione dei fatti per quella che è la mia personale esperienza. Il mondo dell’editoria, segue le stesse regole di una qualsiasi impresa. Essere riusciti a pubblicare un libro è solo il primo step, ma per poter restare legati a questa realtà, molti sono gli ostacoli da superare. Un autore oggi non deve solo saper scrivere; soprattutto se è un emergente, ma deve impegnarsi costantemente per farsi conoscere. Farsi conoscere diventa un vero e proprio lavoro che assorbe molte energie, e la concorrenza è spietata. Non tutti riescono a reggere tale peso, solo i più intraprendenti alla fine emergono. Questo non significa che emergono sempre i migliori, ma i più forti, quelli capaci di superare qualsiasi difficoltà. Non possiamo sapere quanti ottimi scrittori si sono persi per strada, e non sapremo mai quanti capolavori sono andati perduti. Il talento da solo non basta. Ci vuole costanza, impegno, coraggio e anche una buona dose di fortuna. A volte basta che il tuo libro finisca nelle mani delle persone giuste. Ma questa è la vita e per realizzare il proprio sogno non bisogna essere solo bravi, ma dei veri guerrieri, e si sa che la fortuna aiuta gli audaci.
Cecilia
Credo di essermi sfogata abbastanza!
Ringrazio il blog Les fleurs du mal e Alessandra Micheli per avermi dato l’opportunità di dire la mia in merito ad argomenti che mi riguardano sia come autrice che come lettrice, che mi appassionano, mi fanno innervosire, mi lasciano senza parole.
Argomenti di cui, forse, si parla solo quando c’è il caso del plagio o delle guerre tra autrici, ma che poi finiscono nel dimenticatoio.
Grazie a voi due e continuate cosi. Perché è la vostra forza interiore che aiuta nella costruzione di un romanzo
“Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve.”
Anais Nin