“Il senso della colpa” di Daniel Di Benedetto, dark Zone editore. A cura di Vito Ditaranto. Introduzione a cura di Alessandra Micheli

 

Ultimamente scrivere una recensione, una premessa o un’analisi critica a un libro è diventata un’impresa titanica. Neanche Giasone alla ricerca del vello d’oro ha faticato cosi, per raccontare qualcosa sulla scia soltanto dell’unica sensazione che dovrebbe dominare il panorama letterario, ossia la bellezza. Sicuramente di bellezza oggi ne siamo scarsi. Anzi, ancor più terribile è la consapevolezza che non vogliamo proprio vederla. Troppo presi da noi stessi, troppo sordi alle mille voci dell’immenso che ci circonda. Figurarsi se possiamo perdere tempo a far parlare un libro. E allora, quella magica creatura che ha coccolato adolescenti e bambini, combattuto stereotipi, sconvolto, emozionato e commosso resta muto. E non c’è cosa più triste, che renda più affranti, di un libro che ha paura di raccontarsi. Nonostante io sia un’idiosincrasia vivente, però, quella voce la voglio ancora ascoltare, senza farmi distrarre dal rumore che inficia il messaggio. Vendite, invidie, personalismi, davanti a un testo DEVONO sparire.

Quindi la mia introduzione sarà da voi contestata, ma ve lo garantisco non sono io che la scrivo. È il libro di Daniel che parlerà attraverso di me. E lo farò perché io mi annullerò fino a essere tramite.

Daniel scrive un noir. Questo è da premettere. Gli elementi ci sono tutti, c’è una città raccontata come perduta, come il fallimento di un sogno di uguaglianza e di democrazia. Eppure non se ne può negare lo splendore antico, che la fa sopravvivere nonostante cada a pezzi. Ma a cadere non è la città nel senso fisico quanto simbolico: Torino, come Roma, come Milano, come Napoli, perde sé stessa, la sua anima, il suo spazio sociale, la sua solidarietà e la capacità di raccogliere le singole identità e renderle una voce comune. La città perde la volontà generale, che in passato era l’unione di mille, piccoli frammenti individuali con un sogno comune: il bene superiore, la capacità di accontentare i bisogni, di far uscire i talenti, allontanando da sé l’orrore della sopraffazione.

Oggi, specie oggi, questo non esiste. Esiste un senso di atavica colpa che attraversa strade lastricate da millenni di storia. Che colpa sia non è dato forse, da sapere. Possiamo però fare delle ipotesi e queste ipotesi sono evidenziate proprio dalle storie che parlano, insinuandosi tra le pieghe di un semplice giallo rendendolo un atto di denuncia. In tutto il libro ci sono sogni stracciati, creatività bloccata e spontaneità sacrificata sull’altare dell’ebbrezza. Occhipinti non può oltrepassare i limiti del suo ruolo. Anna che era fuori da ogni cliché, ci viene infilata a forza, rea di essere semplicemente una ragazza il cui sorriso è stato disegnato dalla natura. Il nerd sarà sedotto da un oscuro demone: l’onnipotenza della droga.

E queste voci ci raccontano la loro colpa, con voci piene di dolore, con un urlo che ci rimanda a altri ragazzi, a altri uomini, a altre storie sempre le stesse, sempre inascoltate, sempre raccontate nella loro oscura estremità, avvolta dalle ombre.

Mai cambia la conclusione, ultima spiaggia inondata di lacrime, un finale che non tentiamo mai di correggere.

Ma c’è un altro dato che vorrei evidenziare.

Spesso il giallo, il thriller, il noir si occupa di un preciso segmento dell’atto brutale per eccellenza: quello che va dal fatto compiuto alla sua risoluzione. Ma tra questi due segmenti esiste un intero mondo inesplorato. Ce lo racconta perfettamente il grande Maurizio de Giovanni:

In ogni delitto la Verità può avere una duplice lettura quella della giustizia e quella della realtà dei fatti….ma tra realtà verità giudiziaria ci sarà sempre una zona d’ombra…..perché anche se individuati omicida. Movente e arma resterebbero sempre nel campo delle ipotesi le emozioni, le sensazioni di chi è stato brutalmente ucciso e di chi ha commesso il fatto.

Daniel entra in punta di piedi, con la sua delicatezza, in quella zona proibita, ci impianta un immaginario colloquio con le vittime e i carnefici, grazie una sottile ma profonda capacità di analisi psicologica. Prova a rendere meno grigio, meno lontano da noi e tenta di chiedersi perché. Questo perché rende giustizia non solo alla razionalità (è impossibile pensare che un uomo diventi improvvisamente assetato di sangue, la follia in questo senso è un comodo alibi per sfuggire alle proprie responsabilità alla propria incapacità di gestire i propri demoni interiori) ma anche alla vittima, che diventa meno spersonalizzata, meno irreale e più concreta protagonista di un evento in cui le azioni combinate, le emozioni indesiderate portate fino all’acme sfociano nella crudele violenza. Un rapporto interpersonale si instaura sempre tra vittima e carnefice, una comunicazione distorta piena di stridenti note ma pur sempre comunicazione. Individuarla ci permette di dare un senso all’insensato, di rendere meno orrorifico quell’evanescente mistero che, se non compreso a dovere, diviene minaccia per tutti.

In questo caso il mistero è qualcosa di peggiore: l’indifferenza.

Ma ora farò tacere la mia voce pomposa e prolissa (come mi è stato spesso rimproverato)e lascio il posto a una più autorevole, un grande recensore che entrerà nel cuore del testo, e soprattutto nella mente di Daniel, aprendo la porta serrata e permettendo a voi tutti di entrare nel senso profondo del libro. Però mi raccomando, entrate con soave gentilezza affinché la storia di Anna sia rispettata.

Perché Anna è ognuno dei nostri ragazzi.

Buona lettura.

Alessandra Micheli

Ho smesso di dormire.

Esistono sicuramente mille modi per prendere sonno, ma io non ne conosco neppure uno.

Un tempo dormivo un sonno immobile e profondissimo.

Le mie notti sono state un buco nero di tenebre, un pozzo di incoscienza dal quale solo una persona armata di molta pazienza poteva strapparmi.

Tutto questo ieri, come oggi.

Ho tanto freddo. Con le braccia conserte sul petto, dondolo appena.

Forse giù nel magazzino fa più caldo? Mi dileguo giù per le scale. Trovo il solito sgabello e appoggio la testa all’indietro, contro una mensola: qui ci sono libri più grandi rispetto a quelli del mio rifugio abituale. Ne tiro giù qualcuno per sfogliarlo.

Leggo.

“Il senso della colpa”,

Non dormo.

“…Sei partita, improvvisa come la notte e luccicante come la scia di una cometa. Sei una stella nel cielo infinito ora, Anna. E mi succede da sempre una cosa strana, quando vinco la mia ritrosia e mi lascio convincere a guardare le stelle. Fin da quando ero solo un bambino, ricco di sogni e di progetti da realizzare, ogni volta che la notte si presenta al gran completo e si lascia guardare, inizio a piangere. Commosso dalla bellezza del firmamento e dall’immensità del contrasto meraviglioso tra buio e luce, la vergogna nel lasciare trasparire le emozioni che ho dentro diventa uno sfogo che mi dà forza, linfa nuova.

«Papà, come nascono le stelle?» chiedevo spesso allora…”

Il corpo avvolto tra le lenzuola, le mutandine sfilate e il sorriso di Anna che non tornerà più.

Anna, tra le pagine di questo libro comincerai a conoscere questa donna.

Una donna completamente differente da quella che Il maresciallo Giuseppe Occhipinti immaginava. La storia di Anna è un universo parallelo in cui le voci dell’universo si perdono.

Un lungo Flashback in cui ripercorrere una vita intera tra le strade della magica e misteriosa Torino. “Il senso della colpa” è un noir che si differenzia dal modello classico per il senso di morte incombente che si percepisce in ogni pagina, in ogni situazione, una sfida alla vita.

Sembrerà strano ma la sensazione che ho avuto leggendo questo libro è che l’autore voglia a suo modo veder sorridere la gente, sembrerà strano ma è quella che io chiamo la legge del contrappasso.

Il senso della colpa è una condizione comune che può diventare l’unico riferimento del proprio agire.

Il male compiuto spiega i fallimenti attraversati e ne anticipa di nuovi.

I panni sporchi si lavano in famiglia. Ma a volte gli scrittori li lavano scrivendo, soprattutto nel tentativo di purificare se stessi, di togliersi di dosso rimpianti e sensi di colpa, o almeno questo è forse quello che succede a me.

I protagonisti sono tutti ben delineati, li conosci subito, poche righe e sai tutto di loro, dei loro pensieri, delle loro famiglie.

La narrazione non banalizza mai situazioni e stati d’animo, ma sembra delineare con cura lo sfiorarsi e lo scontrarsi del pianeta ”infanzia” con quello “età adulta”, mettendo in risalto i numerosi punti di divergenza; intense e profonde le analisi sull’io, un mondo che anela ad essere riempito di sole tra le strade buie di Torino.

Appositamente in questo racconto l’autore fa albergare tanto buio, tanti fantasmi, tanta notte.

Si coglie forte un monito per il pubblico, affinché possa assumere consapevolezza delle conseguenze del suo agire, su coloro che si apprestano a divenire gli uomini del futuro.

Lo stile narrativo di Di Benedetto denota già un carattere personale, una predilezione per toni secchi e taglienti, senza togliere il dovuto spazio a momenti di riflessione accompagnati da una penna più morbida e levigata; una voce dosata in maniera appropriata nel calibrare il flusso narrativo, un’ottima promessa per il nostro panorama letterario.

E’ senza dubbio un bel libro noir ad altissima tensione con una trama gelida, inquietante che ti avvolge in ogni pagina, i protagonisti sono le persone che ci circondano ogni giorno e che di notte vivono il loro alter ego. L’autore aiuta il lettore a capire le abitudini e i costumi della vita notturna di Torino.

La lettura del testo risulta molto scorrevole e piacevole per gli amanti di questo genere.

La trama è intricata, complessa; ci sono vari flashback, si ha la sensazione di ascoltare delle voci fuori campo abbastanza confuse, ma quando si arriva alla fine … ecco che compare la verità. Insomma, “Il senso della colpa” è un libro enigmatico, complesso, per cervelli sopraffini. Una lettura che con un po’ di coraggio potremmo definire impegnata, nel senso che si propone di far riflettere.

Non è un libro fatto solo per piacere al lettore, ma per farlo immergere nell’oscurità.

Attenzione quando leggete: niente è come sembra.

“…E quello splendido sorriso disegnato dalla Natura in persona, nuovamente era apparso sulle labbra di Anna…”

La scrittura di Di Benedetto è degna di nota: il suo stile è elegante eppure semplice descrivendo situazioni che lasciano spesso basito il lettore per l’emozione che regalano.

Un emozione forte e intensa.

Una prosa fluida.

Lo stile è unico, essenziale, istruttivo e meticoloso.

L’autore ha saputo ben dosare ogni elemento.

La trama è ben costruita, intricata e appassionante, con gli eventi che si susseguono secondo un disegno preciso, in cui nessun dettaglio è lasciato al caso.

Drammatico, feroce e istintivo questo romanzo vi lascerà senza fiato.

Da leggere assolutamente.

In un attimo sono divenuto un uomo che nessuno conosce, forse sono solo un fantasma, un vuoto a perdere che nessuno conosce

Forse sono sull’orlo del precipizio, oppure non sono nemmeno qui.

Ora “Sorridi”. E quando avrai un momento di smarrimento o indecisione, fermati, aspetta e senti il tuo cuore.

…a mia figlia Miriam con infinito amore…vito ditaranto.

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