Ci sono momenti in cui alla nostra mente accade qualcosa di molto particolare. È una sorta di black out: la perfetta macchina si inceppa e il mondo che prima sembrava un film in technicolor diventa semplicemente in bianco e nero. È un rumore sordo, un crack profondo nell’anima.
Ti guardi dentro e trovi che il perfetto mosaico che formava la tua perfetta sfavillante anima è frantumata in mille infiniti pezzi che tenti invano di raccogliere. Ma un vento dispettoso e bastardo li fa volare ogni volta dalle tue mani.
Non so se avete mai provato uno di questi terrificanti istanti, ma sono più spaventosi di ogni horror che la Dark Zone partorisce da menti fervide. In quel mondo non c’è nulla. Non c’è un demone ghignante, non ci sono mostri con i loro prodigi, non ci sono streghe né licantropi affamati.
C’è solamente un eterno, silenzioso inerte nero.
Calzi lo descrive benissimo e chi lo ha provato anche solo per un tremendo istante, legge il libro e si terrorizza. Ma la paura non è rivolta al mistero che circonda i ricordi perduti, e che avvolge in una strana spirale di coincidenze il protagonista, si spaventa perché conosce quel fangoso unto e vischioso e immobile.
È quel silenzio che non sa né di morte, né di vita che paralizza l’anima. Che rende la vita un immenso binario morto. Non c’è movimento, non c’è emozione non c’è nulla. In un giorno qualunque il tuo perfetto meccanismo mentale semplicemente si ferma come un orologio vecchio. Tutta la vita, seppur banale ma piena di intrinseca magia, è solo la tediosa ripetizione di movimenti senza senso e senza bellezza. Non c’è forse un motivo o forse semplicemente non riesci a capire perché il sole non ti scalda più, perché non trovi più la forza di sorridere davvero. C’è solo terrore strisciante che ti arresta.
Ecco il segreto.
Vedete, in ogni momento del nostro esistere, che sia dolore, amore, delusione, orrore, rabbia noi abbiamo il movimento. È sempre un qualcosa che fa balzare il cuore nel petto, che ti spinge a urlare, a correre, a scappare. Nei peggiori horror non sei assolutamente inerte. Sei vivo e l’adrenalina ti spinge a reagire a demoni e esseri di un’altra dimensione.
Anzi ne hai bisogno.
Hai dannatamente necessità di ombre e di monstrum, di quella parte oscura dell’esistenza che è in fondo nata nella magia e nei sogni. Persino se essi diventano incubi. Non potete capire l’immensa forza, l’immensa spinta che un incubo dà al nostro organismo. Ossigeno puro che spinge il cuore a pompare sangue nelle vene, a toccare il numinoso e la sua spaventosa parte nera. Mostro non è che un termine a indicare la meraviglia terribile ossia piena di riverenza davanti al prodigio. Demone non è altro che l’incontro con il sovrumano, con il grandioso, con la divinità.
In questo libro non ci sono loro.
C’è nero, c’è vuoto ma non il vuoto da cui si rinasce:
Di nuovo lui solo. E il nero e il silenzio
Immaginare di essere in una specie di nero liquido,
dove non ci sono rumori… niente di niente… trovarsi
avvolto senza limiti di tempo… Insomma, credo che in quel buio
e in quel silenzio non esista un tempo. Ma averne coscienza,
avere ancora qualcosa che rimane intrappolato, essere coscienti di tutto ciò… è questo che ti frigge il cervello. »
È un senso di angoscia soffocante, di una strada senza via d’uscita. È un terrore che resiste contro la volontà pazzesca di immergersi in quel nero, da cui non riesci a scappare. È un immaginario di pensieri vorticosi, descritti perfettamente da Gerardina trovato in Gechi e Vampiri:
Trasgressioni solo routine
Stavo sempre uno schifo
Con la gente sbagliata
In un mondo che nel mondo non c’è
E col tempo anche i sogni si fanno i bagagli
E un bel giorno non li cerchi più
Ma chi sei, ma chi sei
Specchio specchio delle mie brame
Cosa vuoi, cosa vuoi
Sono la strega di Biancaneve
Dimmi che, dimmi che
Non tornerò mai com’ero prima
Dimmelo perché
Perché voglio di nuovo trovare la strada
Che tu avevi scelto per me
Gerardina Trovato
Parole che si sposano con il senso di un libro che colpisce nel profondo.
È cosi.
Per colpa di eventi traumatici, o solo della nostra stupidità a continuare sulla strada di una pallida delittuosa routine, i sogni fanno i bagagli e un giorno sai di non trovarli mai più.
E senza sogni non risuoni di vibrazioni, sei uno strumento scordato. E quella vita che accetta di essere adulta e matura si ritrova a non sognare mai più.
Il tuo sonno è senza sogni
e forse la tua vita è senza sogni
Ed è su quelle parole che il cuore si scioglie e si piange.
È su questa frase che chi come me ha resistito al vuoto si sente compresa, capita e in fondo coccolata. Perché Giuseppe sa, e lo scrive quanta forza serve per resistere a quell’orrore, per resistere alla voglia di cedere le armi e di prendere il treno dell’ultima stazione.
Sa che in fondo Greg sono io, siete voi, siamo tutti. Perché quel blackout tutti noi, almeno una volta nella vita l’abbiamo provato
E col tempo anche i sogni si fanno i bagagli
E un bel giorno non li cerchi più
Gerardina Trovato
E mentre l’orrore si insinuava nelle mie vene, ghiacciandole, molto più in profondità di qualsiasi horror, ho capito quanto sono le piccole cose che in fondo ci salvano e lottano contro la bestia, quella che non riusciamo a guardare negli occhi.
E sapete cosa la sconfigge?
Perché un cuore che parte
Può fare più luce del sole anche stando quaggiù
Gerardina Trovato
Un cuore e un ritrovato sentimento fanciullesco, quando ridevi per poco. Quando il destino bussa alla tua porta e ti sceglie, sarà sempre il cuore a salvarti.
E lottare fino alla fine per la tua sopravvivenza.
Mi spiace se la mia recensione non sarà come a solito pomposa e analitica.
Ma davanti a un libro come questo è l’emozione che parla attraverso attimi di speranza, quando tra le parole di un giovane autore tutto il tuo, il nostro passato viene abbracciato, raccontato con un rispetto raro e compreso. Ed è quest’empatia che ti fa sentire davvero il senso profondo di quel brutto libro che hai dovuto chiudere a forza, quelle pagine ancora oggi vergognose, nascoste e chiuse a chiave dentro di te, come se cadere in quel buio fosse un anatema, una blasfemia.
Grazie a te Calzi che invece lo raccoglie dall’immondizia in cui noi lo gettiamo per paura, e lo stringi a te, con delicatezza e amore, e lo racconti a tutti coloro che non lo hanno mai provato e lo fai ricordare invece a tutti coloro che come me, quel crack all’anima l’hanno provato e ne portano le cicatrici.
A tutti quelli che
hanno vinto ma anche, e soprattutto, a chi purtroppo ha gettato la spugna.
È dedicato a coloro che vivono con la speranza rinchiusa
in un angolo buio e lontano, sigillata in un vecchio scatolone
logoro, da qualche parte della propria mente.
Io sono tra chi ha vinto.
Ma il mio rispetto e le mie lacrime vanno a chi invece non ce l’ha fatta ed è caduto. Ed è per loro che dovete leggere questo romanzo, per ricordarli con empatia e compassione.
Grazie Giuseppe
Grazie di cuore Alessandra, hai colto ogni minima sfumatura di quello che “Mai più senza” vuole essere. Emozione, prima di tutto, ecco il vero contenuto del mio romanzo, e tu hai letto non solo il libro, ma dentro il libro. Grazie davvero!
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Quando il libro parla e si racconta, allora è arte
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