Introduzione.
Perché leggere il libro Blade Runner 1971: Il Prequel di Tessa B. Dick?
I motivi sono molteplici. Tessa tenta di farci entrare ne delirante mondo del mitico Philip cercando di farci comprendere come sono nati i suoi incommensurabili capolavori. E lo fa con uno stile originale e coraggioso che riesce a trasportarci in un universo onirico e psichedelico, ricco di creatività come di ossessive paranoie. Si scopre un uomo tormentato ma in cerca di costanti stimoli intellettuali, dalle idee discordanti e a volte inquietanti che daranno vita a capolavori come La svastica sul sole, Ubik e il famosissimo Il cacciatore di androidi da cui è stato tratto Blade Runner, capolavoro assoluto di fantascienza. Caratteristica di Dick è stato sempre il suo stile particolare, definito cyberpunk e, per certi versi, antesignano dell’avantpop.
E sono questi due dettagli a inquadrare il testo scritto da Tessa e a farci comprendere come, plasmata dalla vita non facile ma sicuramente stimolante, con un genio di questo calibro, l’ha influenzata confondendo la sua voce con quella del marito, una voce fuori dal coro, una voce capace di insinuarsi nei meandri di quei punti di contatto tra la nostra percezione della realtà e le altre dimensioni. Il cyberpunk, infatti, caratteristica di tanti suoi libri, è una corrente letteraria e artistica nata nella prima metà degli anni ottanta del XX secolo, nell’ambito prettamente fantascientifico di cui è divenuto un sottogenere. Il nome lo si fa derivare da cibernetica e punk, coniato da un certo Bruce Bethke come titolo per il suo racconto Cyberpunk appunto del 1938
Ed è la cibernetica la chiave per interpretare in modo ottimale il testo di °Tessa Van Dick. Essa infatti coniuga le antiche conoscenze amate da Philip come lo gnosticismo, le dottrine manichee e neoplatoniche, con la moderna visione dell’universo senziente.
La cibernetica, infatti, raggruppa un vasto programma di ricerca interdisciplinare rivolto allo studio matematico degli organismi viventi, dei sistemi naturali e artificiali. La cibernetica nacque durante gli anni della seconda guerra mondiale su uno stimolo di un gruppo di ricercatori tra i quali spicca il mitico matematico Norbert Wiener. In sostanza si cercò di studiare la vita e le sue manifestazioni principali tramite gli strumenti concettuali sviluppati dalle nuove tecnologica come autoregolazione, comunicazione e calcolo automatico. Questa nuova frontiera scientifica cambiò del tutto il paradigma della percezione del reale, non più considerato monistico ma eterogeneo e multiforme.
Pertanto, il cyberpunk di Philips affronta da una diversa prospettiva epistemologica le scienze avanzate con una naturale propensione alla ribellione nei confronti dei sistemi ontologici di pensiero ormai superati e un cambiamento radicale nell’ordine sociale.
E non a caso Tessa ci racconta di un Dick al limite dell’accettabilità sociale, immerso in un mondo multiforme dalle numerose ramificazioni che oscillano tra incubi e sogni. Dick fu capace di anticipare i tempi, di esplorare mondi alternativi, di evidenziare come la realtà non sia univoca ma sfaccettata. Rappresentante migliore della fattibilità della teoria delle stringhe il Dick raccontato da Tessa è una figura evanescente, fragile eppure potente, capace di conoscere e sperimentare proprio quegli strappi nell’universo einsteiniano che oggi tanto ci affascinano.
Non entrerete in un mondo coerente. Anzi. A volte risulterà disturbante e fastidioso. Attaccherà il rigoroso metodo di logicità lineare a cui la società occidentale ci ha abituato. Ma sarà un viaggio indimenticabile, ricco di meraviglie e orrori che renderà l’uomo Dick ancor più vicino alle nostre fantasie nascoste.
Lascio ora la parola a Aurora che ci accompagnerà in questo viaggio allucinatorio e intrigante. Sedete comodi e allacciate le cinture!
Alessandra Micheli
« Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire. »Rutger Hauer/Roy Batty
Chi, ascoltando o leggendo queste parole, non rammenta Blade Runner? Nel 1982, anno di uscita del film, poche persone (almeno in Italia) sapevano che quella pellicola, a tratti un po’ lenta e oscura, fosse l’adattamento cinematografico di un libro intitolato “Anche gli androidi sognano pecore elettriche?”. Pur apprezzato dallo stesso Dick, libro e film presentano (non che sia una novità) delle differenze, ma non è questa la sede per discutere l’ovvio.
Prima di fare ciò che consiglia l’autrice di questo libro cioè:
Prendete tutte queste parole e fatele vostre. Accomodatevi sul divano accanto a Philip Dick e ascoltatelo raccontare. Non prendete per oro colato le sue descrizioni del tappeto che tenta di vendervi: ascoltate con orecchio critico, poi portatevi a casa le idee che vi funzioneranno meglio. Disegnate il vostro arazzo personale usando le parole di lui e i vostri stessi pensieri
vi consiglio di puntare l’attenzione su alcuni aspetti che le opere vanno a toccare. Primo tra tutti il “mondo dei robot”. Nel film vengono chiamati replicanti, mentre nel libro sono androidi, ma il loro essere altro da noi, non cambia.
Quella che oggi chiamiamo IA (intelligenza artificiale) e che ci segue sempre più da vicino sotto forma di cellulari, elettrodomestici “intelligenti” , ma anche in veri e propri prodotti robotici, è sempre stato un chiodo fisso dell’uomo. Riuscire a creare qualcosa che lo portasse sempre più vicino all’idea di Dio. A sentirsi cioè creatore. Non padre, non generatore di vita, di una continuità genetica o come risposta al più puro “istinto di conservazione”, ma un atto di volontà da cui scaturisca la vita. E se pensate che la robotica abbia conosciuto il suo acme con Asimov o Dick vi state sbagliando. Loro hanno semplicemente modernizzato e reso più “macchinologico” ( averi potuto dire elettronico ma preferisco un neologismo) l’idea primordiale dell’uomo.
Se facciamo un salto indietro nella storia, difatti la prima creatura artificiale di cui abbiamo notizia è il Golem.
Vi starete chiedendo quale possa essere l’attinenza di una creatura di argilla con un robot.
Seguitemi nell’equivalenza.
Un robot è una creatura creata dall’uomo, come il golem
il robot possiede una programmazione a cui non può sfuggire e seguirà il diktat imposto. Così come il golem che eredita in tutto e per tutto il “carattere “ di chi lo ha plasmato.
Un robot può essere fermato. Con un tasto “off”, con una programmazione, con una password. Così come il golem al quale, cancellando la lettera “e” dal quintetto “emeth=verità”, diviene “meth= morto” e cessa la sua attività.
Niente di nuovo sotto il sole dunque, per quel che riguarda desideri e presunzioni dell’uomo. Ma essendo avvezzi a considerarci creatura e sapendo come siamo stati banditi dall’Eden ( o forse ci siamo semplicemente ribellati a una programmazione?) temiamo questo comportamento nelle nostre creazioni.
Un vecchio proverbio recita: il gatto nella credenza, male fa e male pensa.
Noi, in effetti, siamo quel gatto. Ed ecco che creiamo (Ringraziamo Asimov) le tre leggi della robotrica, il cerchio di protezione perfetta, la nostra via di fuga. Ai nostri robot noi non diamo un libero arbitrio. Non facciamo l’errore che è stato fatto con noi.
Ma si sa, il diavolo fa le pentole e non i coperchi, (tanto per restare in tema) quindi anche le tre leggi ci sembrano insufficienti. Perchè qualcosa può sempre sfuggire e può rivoltarsi contro di noi.
Ed ecco qui i nostri replicanti o androidi che dir si voglia in cerca, attinenti con il pensiero dei loro creatori, di prolungare la loro esistenza, di andare oltre la loro programmazione, di non vedere i loro ricordi, le loro esperienze ( un frammento di ciò che noi potremmo definire anima) perdute come lacrime nella pioggia.
In letteratura essi risentono, come gli extraterrestri d’altra parte, dell’influsso del periodo storico in cui l’autore vive: sono buoni o cattivi, ribelli o pacifici secondo il momento.
Ma se gli extraterrestri possono essere sconfitti o possono rivelarsi amici, così non è per i robot. Anche il sintetico più fedele (pensate a Bishop di Alien o a Data di Star Trek) potrebbe nascondere un piccolo neo, un’imperfezione nella programmazione, un qualcosa che gli faccia comprendere che può ribellarsi, che può sconfiggere o schiavizzare l’uomo (Terminator, Matrix) che può infiltrarsi (il mondo dei robot) tra noi senza che riusciamo a distinguerli. Perchè il nostro desiderio di emulare il Creatore è sconfinato quanto la nostra ambizione. E se da un lato il voler creare a tutti i costi la perfezione (pensate a quanto possa essere crudele impiantare dei ricordi di un’infanzia fittizia in un essere creato in laboratorio), dall’altro sappiamo che il prezzo dell’ambizione spesso è la caduta.
Potrai davvero mai distinguere un replicante , un terminator, un robot da un essere umano?
Ma cosa passa nella testa di uno scrittore di fantascienza quando si cimenta con i robot?
Leggendo questo libro e sedendovi accanto a Philip Dick, scoprirete attraverso una visone “psichedelica” cosa ha portato l’autore a creare le sue opere.
Ma non pensiate di farlo in tranquillità. Leggendo questo libro sarà come sedersi sulla plancia dell’Enterprise e arrivare a WARP 10 (curvatura per gli amanti dell’italiano) ed essere a velocità infinita (non quella smodata di Balle spaziali) trovandoci contemporaneamente in ogni luogo e in tutti i tempi.
Se oltre ad essere lettori e manti di quel genere di nicchia che è la fantascienza, per puro caso foste anche scrittori di questo genere letterario e vi sentiste poco compresi o apprezzati, sappiate che, anche i grandi maestri come lui, hanno dovuto ingoiare rospi grandi come portaerei. Ve lo racconterà l’autrice in persona
Ben presto la scuola di critica letteraria post-moderna renderà accettabile al lettore l’idea di poter dissentire con l’autore sui temi delle sue opere. Phil si troverà davanti a professori universitari che gli spiegano di che cosa parlano i suoi libri, pure scaldandosi se lui non è d’accordo. Dichiarano di saperla più lunga di lui.