Certi libri sono come sogni.
Irrompono nella tua mente quando meno te lo aspetti, quando la mente conscia è addormentata e obnubilata dalla stanchezza. Allora il libro può facilmente far sentire la sua voce, a volte acuta, a volte lieve e dolce, ma sempre capace di lasciare un segno sulla pelle.
Ecco cosa ho provato leggendo il testo di Stefano Caso, libreria Luigi. E’ stato come riconoscere un vecchio amico, che non vedi da anni, e essere accompagnata da lui nelle sue avventure mirabolanti ma profondamente dense di significato per te, che troppo spesso dimentichi il tuo passato, le tue lotte per emergere con fierezza dalla massa, ti scordi che in fondo per ottenere riconoscimenti o semplicemente un’ identità che ti segnali come “diverso” hai dovuto tenere stretta a te una maschera.
Ma sapete qual’è il problema delle maschere?
Che lungi dall’essere solo attimi divengono profondamente parti di te, seconde squamose pelli che si perdono in brandelli lungo la via, ma resistono stoicamente al flusso del tempo, tanto che alla fine ti convinci, e ti convinci cosi profondamente, da farne una realtà, credi davvero che in fondo è quella la tua vera identità. Mentre sotto lo strato intessuto di convenzioni, paure, rabbie, rinunce pulsa la tua vera pelle, quella fatta di cellule e carne.
E non di parole, quelle intessute dai fili bizzarri del tempo.
E allora meglio imparare a conviverci con queste maschere e magari a amarle, affezionarti a quelle viscide squame fino a proteggerle come se fossero il porto solido a cui tornare, la pietra d’angolo su cui impiantare il tempio della tua anima. E l’epidermide reale, quella profondamente tua si stanca, un giorno di pulsare e si addormenta, sognando magari un tempo felice in cui essa sapeva farsi ascoltare.
Luigi è purtroppo l’anima di tutti.
Dotato di potenzialità strabilianti ma troppo legato a una fallace visione del sé, cosi patetica ma cosi rassicurante da impedire ogni altra diversa prospettiva del reale. E così i libri, i nostri amati libri, coloro che in realtà sono chiavi per aprire porte sconosciute di questa nostra dimensione terrena, divengono soltanto dei muri, fantasmi di un tempo felice in cui essi erano armi, erano mattoni con cui sfondare quelle stesse costruzioni murarie che la nostra anima infantile considerava limitazioni. Perché un bambino, un adolescente sa che il mondo è cosi ampio, così ricco di sfaccettatura da non poter essere contenuto in uno scritto. Il libro è la mappa con cui esplorare i territori tangibili e psichici. In Luigi i libri, i nostri fraterni amici, divengono alibi per non muoversi.
E si sa, credo di averlo oramai raccontato come l’incapacità di movimento, la stasi, l’immobilità è la vera, totale, irredente morte.
E in fondo osserviamo un uomo oramai ombra di se stesso, invecchiato, congelato in attimi che hanno perso il sapore della novità, in rituali quotidiani che hanno perduto la magia della meraviglia. Anche i libri sono descritti non come carne viva e pulsante, ma tediosi fantasmi che non hanno più nulla da dire, perché rotto totalmente il patto interpretativo che lega lettore e testo. Che rende eterno e sempre nuovo l’autore, e rende il fruitore di bellezza sempre giovane e immortale. La cultura siffatta è stantia, ammuffita e polverosa, icona di un passato che non cede il passo né al presente, né al futuro. Luigi è l’emblema perfetto della descrizione di Hazlit del mero letterato borghese:
Quando si vede un fannullone con un libro in mano si può essere certi che si tratti di una persona senza né voglia né forza di stare attenta a ciò che le accade attorno o dentro la testa. Di un tal individuo si può dire che porta il suo giudizio ovunque con sé in tasca o che lo lascia a casa sullo scaffale dei libri ha paura di avventurarsi in qualsiasi ragionamento o di fare qualsiasi osservazione per proprio conto che non gli venga suggerita passando meccanicamente lo sguardo su alcuni caratteri leggibili che li ritrae dalla fatica di pensare che per mancanza di esercizio gli è diventata insopportabile e si accontenta di un continuo noioso succedersi di parole e di immagini abbozzate che gli riempiono il vuoto della mente. L’istruzione troppe volte è in contrasto con il senso comune un surrogato di vero sapere i libri non vengono usati come occhiali per vedere la natura ma come imposte per tenere lontana la forte luce e la scena mutevole da occhi deboli e temperamenti apatici. Le facoltà della mente se non vengono esercitate e se vengono paralizzate dalla continua lettura di testi autorevoli divengono svogliate e disadattate dagli scopi del pensiero e dell’azione, il dotto non è che uno schiavo letterario….se gli mettete a scrivere una composizione propria gli gira la testa e non sa dov’è, non riescono a riprodurre le forme viventi della natura e della vita.
Hazlit
La letteratura per Luigi è il simbolo della sua vita, una vita percorsa soltanto lungo i binari precisi e immacolati del ruolo: buon intellettuale, uno padre, buon marito, buon cittadino, probo esemplare di virtù.
Buono.
Ma mai del tutto persona.
E accadrà proprio in quella specie di Tomba (la sua libreria) che come realtà di passaggio non cede a perdere la sua carica di innovazione che avverrà il più terribile degli eventi: il cambiamento. Una modifica tragicomica ma totalizzante di ogni sua convinzione, il crollo devastante della sua vita cosi ordinata. I ruoli si stravolgeranno e uscirà chiaro come un’esistenza senza stimoli ma abbarbicata alle convenzioni al ciò che è giusto è un’esistenza perduta. Basta un taglio di capelli, basta un atto dissonante, basta una minima ribellione o semplicemente basta l’atto fisico del godere del piacere e della bellezza, che i vecchi libri perderanno la loro pomposità intellettualoide per tornare mappe. E in un fuoco liberatorio nasceranno come fenici dalle ceneri, donando al coraggioso cavalieri di ventura nuovi obiettivi e nuove sensazioni.
La libreria non è un luogo fisico ma un posto dell’anima. E’ una grotta in cui le potenzialità vengono coltivate ma devono essere espresse al di fuori, colorando di verità tutto ciò che ci circonda. Cosi il vicino rozzo diviene un concentrato di virtù come l’amicizia, la cognata venduta la sistema, diverrà nemesi di giustizia, la moglie evanescente diverrà Furia e Medea.
E cosi via in un ballo a volte dissacratorio dei valori societari ma estremamente positivo.
Ci sono libri che ti attraggono cosi profondamente da diventare amici silenti e quasi solitari. In quel caso essi possiedono una voce tonante, o un sussurro lieve e ti accompagnano lungo le pagine donandoti la loro eterna storia, presa direttamente a prestito da quell’iperuranio che è la sede e il paradiso delle idee.
Ci sono libri che leggi quasi annoiata ma che ti invitano a bussare timidamente alla porta di quel mondo incantato e si entra, sedendosi su un’antica poltrona in vimini e si assiste alla commedia. E presto è cosi evidente, direi scontato rendersi conto che, quel codice di cui il libro si impossessa, rendendolo suo, parla proprio di te.
Capitemi non a te, ma di te.
Ti racconta laddove tu tenti di nasconderti, ti svela quanto indossi la maschera a cui sei cosi affezionato, si spoglia quando sei bardato di mille abiti variopinti di mille corazze, di mille scuse e di mille non so.
Un sorso di libertà, una ventata di freschezza o solo un rinnovato ma più autentico amore non solo per il vero ruolo della letteratura, ma della vita stessa: renderci eroi del nostro piccolo regno oscurato dal disincanto.
E non smettere mai di credere che il miracolo accada. Anche quando vestirà i panni di una vecchia asfittica e rugosa.