“L’evocazione” di Marco Garinei, Il Terebinto editore. A cura di Alessandra Micheli

 

L’evocazione di marco Garinei è un libro che, nonostante la sua brevità, è dotato dell’aspetto necessario a ogni fantasy: ossia la possibilità di essere letto a più livelli. Quindi avremo un senso letterale l’avventura, uno simbolico l’evoluzione dell’eroe in questo caso della maga Luvie e esoterico ossia il significato più profondo, quello che può invadere sia la sfera sociale che privata, divenendo rappresentazione a volte critica della polis intesa come compagine sociale dotata di bisogni, di convenzioni, di personalità individuali spesso troppo incentrate sul mero interesse personale.

Ed è su questo ultimo aspetto che intendo soffermarmi: l’evocazione come fantasy che pone l’accento su un intricato e annoso problema di gestione del potere, dei suoi limiti e della sua eticità perfettamente rappresentato dallo scontro da due diverse concezioni della magia.

Ed è essenziale per comprendere le intenzioni dell’autore, soffermarsi sulla modalità strutturale con cui ha deciso di introdurre l’argomento: il testo, infatti, non si apre con prologhi o con una lunga premessa ma con il fatto nudo e crudo che è essenzialmente l’intenzione di un divieto, di un tabù. Questa tecnica permette di piombare direttamente in un’atmosfera di profonda tensione, in cui si percepisce istantaneamente il dramma in atto, e ci si concentra non solo sull’infrazione vera e propria ma sui motivi per cui essa è stata compiuta. E il tabù è quello, come dice il titolo, dell’evocazione di un tremendo potere chiamato Elementale. Questi poteri o questi esseri dimensionali hanno una diversa concezione del tempo, dello spazio ma soprattutto delle regole. Il nome stesso li denota come pure forze naturali non limitate o controllate dalla ragione. Da sempre l’elementale è stato percepito come un’entità a se stante, oserei dire inerte che si attiva tra le mani del mago che ha finalità di servirsene. Essendo però, una forza “neutra” essa è dotata di potenzialità illimitata ma anche profondamente dipendente dalle disegni dell’evocatore.

Vediamo cosa dice la semantica.

Di elementale la mia venerata Treccani sentenzia:

[der. di elemento]. – 1. agg. a. ant. Elementare, che ha cioè carattere di elemento o è costituito di elementi

b. Che riguarda gli elementi o la loro natura; è forma usata talora (invece di elementare) nel linguaggio scient.: analisi e. di una roccia. 

2. s. m. Entità di ordine extra-umano (detta anche elementino) che, secondo l’interpretazione teosofica, si manifesterebbe nelle sedute spiritiche al posto delle anime dei defunti, e il cui intervento sarebbe sempre a danno di coloro che la evocano.

 

E se andiamo a fondo scavando nel senso della parola troviamo:

Un elementale è un essere mitologico presente in diverse tradizioni spirituali e animistiche. La parola è un aggettivo nato nell’ambito teosofico, indicante la peculiare caratteristica di tale creatura di appartenere ad uno solo dei quattro elementi classici: acqua, aria,terra e fuoco.

Pertanto un evocatore è colui che compie l’atto di evocare ossia

 L’atto di evocare.

a.Rito diretto a chiamare, per virtù magica, un’anima dall’oltretomba, per lo più a scopo divinatorio, quale fu in uso specialmente presso gli antichi Caldei, Ebrei, Ittiti, Greci, Romani. 

E questo atto lo possiamo meglio comprendere se analizziamo la tradizione dei popoli sopracitati in particolare i romani

Nella religione romana, l’azione rituale con la quale, in prossimità della fine di un assedio, quando l’esercito romano stava per conquistare una città nemica, le divinità tutelari di questa erano invitate ad abbandonare la loro sede di culto, con la promessa di onori uguali o maggiori nell’ambito del culto romano. 

Quindi il fulcro centrale del testo non è soltanto l’uso, oserei dire perfetto, delle credenze popolari e magiche proprie del paganesimo, dei riti animisti, o dell’antica Grecia a dei tentativi magici del medioevo e del rinascimento, ma qua rappresenta un atto peggiore, ossia il tentativo di rovesciare semplicemente, un regime.

E, infatti, è subito chiaro fin dalle prime pagine che tale atto, è essenzialmente contro le convenzioni sociali stabilite da un nuovo ordine che ha messo da parte, o meglio surclassato le vecchie divinità. Il paese di Brask è un avamposto di questo rifiuto del nuovo culto, arroccato in una valle circondata da montagne decisa a opporsi strenuamente e in modo altamente trasgressivo (nel senso di disubbidire le regole) all’avanzata della nuova dominazione del consiglio. Questa violazione ha, ovviamente, conseguenze molto disastrose (non vi svelerò nulla) ma come in ogni storia che si rispetti genera dubbi nei suoi esecutori.

È giusto sottomettere, distruggere e annullare qualcosa o qualcuno solo per delle idee?

Lazard, il mago si trova di nuovo a dubitare della liceità o meglio dell’eticità di un atto che dovrebbe avere come suo obiettivo la difesa dell’equilibrio.

Ma di quale equilibrio?

Quello naturale o si tratta di un mero equilibrio politico?

Le due fazioni in guerra hanno la loro ragione di esistere o entrambe sono frutto di una distorsione del pensiero?

Il richiamo che questa scena ha avuto nella mia psiche è di tipo storico. Non posso non leggere tra le righe del racconto un’altra atroce pagina di storia, quella che vide la nuova religione il cristianesimo, scagliarsi con ferocia sul catarismo, reo di violare le nuove regole di convivenza. O come le definisco io, di natura gerarchica.

E non posso non ricordare la Linguadoca nella descrizione della toponomastica del luogo raccontato da Garinei, montagne, e grotte in cui si consumano riti innominabili e non paragonarli con la regione dell’Aude. Anche in quelle regioni come nella città di Brask la resistenza al cambiamento era connessa con la convinzione che, perdere i propri dei avrebbe condannato alla povertà e alla decadenza.

 

Noi non riconosciamo la giustizia dei maghi, ma soltanto quelle dei nostri dei

 

E qua presente la stretta unione tra religione e giustizia come se il sistema di credenze fosse il primo responsabile dell’evoluzione di un paese. Un’idea che frulla nella mente di studiosi da secoli, e che produsse il bellissimo saggio di Max Weber ‘Etica protestante e lo spirito del capitalismo”. Questo saggio assume come concezione che sia proprio il sistema valoriale della religione (ossia del legame tra noi e la divinità, ma anche la concezione stessa dell’universo) a determinare la ricchezza o meno di un paese, di una nazione o di un clan.

Nonostante la mia noiosa digressione a voi la scelta, Potrete leggere il testo solo come un racconto fantasy fatto di battaglie e di magia. Oppure potrete lasciare spazio alla domanda che fa da sfondo all’intera vicenda:

 

Qual’era il confine tra ciò che era o non era accettabile?

Gli dei?

Gli uomini?

 

È da questa risposta che nasce la società che sogniamo, quella che abbiamo o quella che vorremmo.

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