“Avere il sangue cocciuto. Ed io mi ero chiesta che cosa significasse avere il sangue cocciuto e avevo dedotto che fosse qualcosa che aveva a che fare con la voglia incrollabile di stare al mondo, di piantare le radici nella terra e rimanerci ancorate”
Bologna.
Serena è la Cantastorie che ci conduce negli anni novanta, 1997, quando era una bambina di 7 anni, con codini colorati, curiosa, vivace, arguta e una sorella di nome Corinna, capelli rossi che stonavano con quelli scuri della famiglia.
Corinna, fragile e introversa, chiusa nella sua bolla adolescenziale fatta di musica, libri e un vuoto troppo grande da sostenere da quando è venuta al mondo. Serena decide di racchiudere, pagina dopo pagina, dopo aver trovato una macchina da scrivere abbandonata, la storia di una famiglia composta da mamma Bruna, papà Salvatore, la Nonna e otto zie defunte dal sangue “cocciuto” che si incontrano nella cappella di famiglia per raccontarsi pettegolezzi con un buon thè al mirtillo, Donna Marzia che aveva fatto da madre a Bruna, Serena e Corinna, una sorella che non aveva mai conosciuto il suo vero padre, un assenza che ha sempre pesato come un macigno sul cuore.
Ci sono persone che ci mancheranno sempre e la cui “assenza” è capace di creare vuoti difficili da colmare, è come sentirsi abbandonati e non voluti al tempo stesso. Serena, così invisibile agli occhi troppo truccati della sorella diventerà sua complice il giorno in cui arriverà una scatola di scarpe, sigillata che avrebbe fatto scoppiare ben presto la sua bolla. Ogni oggetto, era un tassello di un puzzle difficile da terminare perché mancava sempre quello definitivo che avrebbe portato tutto a galla. Come diceva la Nonna, è necessario “lasciare andare le cose come dovevano andare”.
Corinna farà una scelta, conseguenza di un passato che la investe e di cui subisce gli effetti con troppo ritardo. Corinna sceglie di essere libera e chissà trovare il suo posto nel mondo. Serena la Cantastorie, così definita dal suo compagno Dario, sarà in grado di ricucire ricordi, legami, storie di una famiglia dal sangue cocciuto e a “lanciare la sua bottiglia di liquore nel lago”.
Tocca a voi lettori, afferrare quella bottiglia e scoprire il suo contenuto.
Lo stile di Bianca Cataldi è una finestra aperta sul mondo, a 360 gradi nel suo campo visivo, coglie ogni dettaglio con cura e quel pizzico di ironia che rende tremendamente vera e sincera ogni parola, ogni riflessione, ogni pensiero, un perfetto connubio di leggerezza e minuziosa attenzione.
Occhi chiari e limpidi, osservano, indagano, scrutano la vita di ciascun protagonista, passeggia a braccetto per le strade di Bologna, non tralasciando nulla al caso, ognuno ha il suo posticino, ognuno stringe tra le mani il suo tassello da incastonare bene come in un puzzle. C’è armonia, c’è la giusta musicalità nelle pieghe del romanzo, il ritmo fluido, diretto segue il suo percorso senza ostacoli, ci si sente trasportati, cullati, ammaliati, toccati dalle parole di Bianca Cataldi.
Parole che si intrecciano, si sfiorano, sono capaci di darti una lieve carezza al tempo stesso sono forti e potenti come uno schiaffo inaspettato.
“I fiori non hanno paura del temporale” ed è proprio così. I fiori, anche quelli più delicati e fragili hanno un gran dono, abbassano la testa se incombe un temporale, per paura, per proteggersi quando non c’è un riparo sicuro. Poi il temporale passa e al primo raggio di sole guardano verso l’alto, chiedono al sole un po’ di calore per non spezzarsi dopo tanta pioggia, perchè asciughi le ultime gocce e doni loro nuova luce e nuova vita. Grazie Bianca, per questa storia dolceamara, commovente e vera in tutte le sue sfumature, ho volutamente accennato alla storia perché è giusto che chi legge la recensione possa poi scoprire il tuo romanzo senza troppi particolari.
Sei una perfetta Cantastorie, ti immagino ad un tavolino con un immancabile caffè bollente e mani snelle e curate che sfiorano i tasti del pc portatile e una nuova storia venire al mondo. Hai un gran talento e un gran dono, soprattutto di aver guardato per pochi minuti una ragazza che stringeva il tuo romanzo al petto, aspettando la sua dedica e ritrovare sé stessa nelle tue parole rigorosamente scritte con una penna rosa. Complimenti.
Buona Lettura
Ilaria Grossi per Les fleurs du mal blog letterario