La prima cosa che colpisce del libro di Ela Zanel è il sottotiolo: benvenuti a Bulloland.
E questo evoca i moderni scenari, atroci, della piaga sociale per eccellenza, ossia il fenomeno del bullismo. E infatti nel testo troveremo parecchi esempi di questa penosa manifestazione di debolezza, spesso associata alla teoria del branco.
Ora se in ambito etologico il branco è interessante e degno di studi, con la sua enorme simbologia della perfetta socialità degli individui, spesso usata per spiegare la nascita dello stato, nel contesto moderno o come amo dire io postmoderno, è privato di questo aspetto di coesione e si rivolge ai triti e patetici escamotage per sfuggire alle proprie banalità.
Il branco inteso oggi dalla sociologia e dalla psicologia, è il modo non per trovare soddisfazione dei bisogni primari, per proteggersi e sopravvivere, per creare interazioni prive di picchi di violenza e di disordine ( basti pensare all’insegnamento fortemente educativo dei lupi, organizzati in branchi che condividono basilari ma fondamentali norme di rispetto, di integrazione e di primitive forme di sostegno ai bisognosi. Basti pensare all’organizzazione della caccia, in cui il più debole è posizionato a metà della catena e protetto dai maschi più forti. Nel caso voleste approfondire quest’aspetto sociale dei lupi, consiglio i libri Assieme ai lupi e il branco della rosa canina).
Il branco, quello di cui parlano oggi i giornali, è semplicemente l’agglomerato umano con cui perpetuare la sopraffazione dell’altro, compiuta di solito grazie alla spinta del maschio alfa, per sentirsi forti e meno fragili davanti a un mondo e una società che sembra oggi, negare certezze, sicurezze e diritti.
In questo senso l’individuo del branco sceglie di appartenervi perché è il modo migliore per mascherare non solo la sua fragilità, ma la sua incapacità a integrarsi e trovare un posto nel contesto sociale.
Privi di riferimenti concreti, di esempi positivi di interazione con l’altro, in preda alla sofferenza più atroce, quella di non poter mai pienamente sviluppare se stesso e le proprie capacità, vittima di pregiudizi e di carenze di affetto, spesso compensate da fallaci e stantii beni materiali, che, privi di una sorta di bellezza interna, derivata dalla conquista e non dalla compassionevole elargizione del genitore assente di turno, tentano di compensate un vuoto nell’anima che, lungi dallo scomparire si amplifica e diviene un pozzo profondo.
E come ho sempre affermato coloro che dentro nella loro psiche hanno queste profonde cesure, spesso non sono in grado di colmarle con sensazioni positive, ma con le scorie della mente rappresentate, appunto dal potere, dall’incomprensione e dai residui di una violenza scaturita dalla rabbia.
E’ la rabbia che guida i futuro bulli, la rabbia di non essere che pedine in una scacchiera fatta di interessi alti, di coercizione, di una pedissequa intenzione di frantumare, uccidere e demolire l’antica solidarietà sociale che rendeva una comunità un organismo complesso, sfaccettato e sicuro.
Perdute le certezze antiche, demoliti i valori fondanti una società, non si è mai pensato di crearne di nuovi, cosicché la cittadinanza ,quel senso di appartenere a qualcosa è stato spazzato via, rendendo il nostro spazio sociale non già un qualcosa in cui crescere, apprendere, in cui sentirsi tutelati, ma una sorta di giungla piena di oscure e spaventose minacce.
E’ a queste che il bullo tenta di reagire riprendendo l’atavica legge della giungla o il mantra biblico di dente per dente.
Mors tua vita mea è l’unica regola esistente in un mondo in cui tutti sono nemici, e tutti servono alla soddisfazione di bisogni primari NEGATI.
E qua entriamo in un altro campo che sfocia nella politica e in una sociologia molto più profonda: quella che si occupa appunto della famosa polis.
Cos’è la polis?
E’ tutto ciò che deriva dalla costruzione di uno stato, inteso come organismo atto a proteggere il cittadino, a far sbocciare la persona affinché contribuisca alla crescita di questo stesso organismo. Lo stato nasce predisponendo un territorio, una serie di esercizi di potere perché la persona possa prosperare e realizzarsi in perpetua pace. Non a caso Thomas Hobbes parlava di uomo lupo, dotato di una sorta di follia distruttiva che, rinuncia alla sua libertà in favore di uno specifico agglomerato che ne garantisca la sicurezza, la sopravvivenza e l’esercizio protetto dei piaceri.
Protetto sapete perché?
Perché quando si cerca il piacere ossia la soddisfazione mentale e fisica di un necessità, il confine con il rispetto dell’altro è molto labile. La vostra libertà pertanto finisce nel momento in cui la soddisfazione invade la sfera privata, personale e sociale del vostro prossimo. Che sarebbe semplicemente il fruitore della stessa scorciatoia stato, di cui approfittate voi.
Semplice e coerente.
Ma cosa succede quando queste problematiche etiche e politiche nascono in un terreno di degrado?
Vedete il bullismo in un contesto civile permeato di possibilità economiche e di sviluppo delle potenzialità o talenti ha un significato preciso e un altrettanto preciso iter. Quando a soffrire di mancanze è un soggetto che ha carenze umane e non reali, il percorso per la redenzione è molto differente. Si tratta di drammi psicologici, di qualcuno che compensa l’abbandono con la ricchezza. Che sostituisce il talento con la noia. Che è “vittima” del suo ruolo: ad esempio sono nato in una famiglia di avvocati e quello è il mio destino, mentre magari, io vorrei fare che so l’addestratore di cozze.
Ma se la problematica dell’abbandono e della distruzione dei sogni, avviene in un contesto economicamente e psicologicamente degradato, le soluzioni sono molto più difficili da attuare.
Bulloand soffre della sindrome del disimparados, termine sardo che significa abbandonati, coloro che, in seno alla finta società civile, fungono da rifiuti, da deviati e da disarmonici, affinché il probo esca probo da quest’imparziale confronto.
Diciamocelo.
I quartieri di periferia con il loro degrado servono affinché gli altri brillino, spicchino e si conquistino senza merito il posto al sole nel contesto politico di oggi. Servono i delinquenti allo scopo di rendere il cittadino retto e civilizzato. Perché di base sia a Bulloland che al quartiere in manca, e ritorno al punto di partenza, un vero e proprio spazio sociale in cui esercitare l’ardua strada dell’appartenenza e della solidarietà collettiva. Ognuno nemico di se stesso, ognuno pedina di quel gran sistema di puttane che sfruttano l’altro per poter adagiarsi sugli allori.
Bulloand serve al politico per eliminare il problema; è più facile rinchiudere il diverso, il sofferente nel suo circo piuttosto che risolvere la complicazione con atti giuridico-politici mirati a dare una possibilità all’altro. Anzi, usando questa loro marginalità come minaccia per chi non segue il proprio ruolo: sbaglia, ribellati e quello è il tuo posto.
Servono i quartieri senza speranza affinché l’altro stato, quello ufficiale possa prosperare e far crescere i potenti.
Credete davvero che n’drangheta, mafia, camorra siano soggetti parastatali?
Essi sono, e restano, emanazioni di quello stato che, perdendo se stesso e la loro vera natura, abbracciano il potere di stampo macchiavelliano. (Sapete che Macchiavelli affermava che la ragion di stato giustifica ogni mezzo vero?)
E a farne spese sono ragazzi e bambini, costretti a divenire strumenti nelle mani del potere perché possa mantenere uno status quo di indicibile malvagità.
Ecco che il primo obiettivo di questa distruzione è ovviamente, l’istruzione. Renderli fragili, metterli uno contro è l’altro, organizzarli in branco avendo sempre manovalanza facile per loschi obiettivi, questo fa di Bulloland l’emblema più spaventoso della tragicità del nostro vivere. Rende evidente una società al collasso che come uno zombie, non vuole accettare di essere morto. E si nutre di cervelli, di creatività alimentando la rabbia senza che questa, possa essere messa al servizio dell’evoluzione.
Perché la rabbia serve per distruggere e per ricostruire un mondo possibilmente etico.
Ho voluto intenzionalmente recensire il quartiere partendo dalla sua anima di acuta e spaventosa denuncia sociale. Perché Ela divenga davanti a tutti voi la vincente. Colei che, nonostante l’orrore di un quartiere che fagocita l’innocenza, spicchi con la sua voglia di non lasciare che la compassione divenga solo tomba su cui piangere.
Perché Ela è la stella in grado di brillare in un contesto decrepito e di un dolore che si può toccare con mano.
Il dolore di chi, dall’alto, viene condannato A NON ESSERE CHE UNO SCARTO.
Chi è autorizzato a dividere il mondo in buoni e cattivi?
Chi siamo noi per decidere chi può emergere e chi deve essere annientato?
Che questo libro susciti indignazione, voglia di non chiudere occhi e di non cedere.
Voglia di volare ancora e di guardare dall’alto i draghi del potere, che in fondo, sono solo e restano pantomime e patetici draghi di cartone.
Io ho sofferto con Ela.
Riso ma con la malinconica sensazione che siamo tutti complici.
E che, in fondo, finché non si avvereranno le parole di un grande uomo, avremo perso la nostra battaglia contro l’ingiustizia.
Davanti a tutti i pericoli, davanti a tutte le minacce, le aggressioni, i blocchi, i sabotaggi, davanti a tutti i seminatori di discordia, davanti a tutti i poteri che cercano di frenarci, dobbiamo dimostrare, ancora una volta, la capacità del popolo di costruire la sua storia.
Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario
Ernesto Che Guevara
Ela la mia ammirazione per te, va oltre la capacità di scrivere in modo splendido. E’ per la donna che sei, per la tua capacità di aver attraversato l’abisso ma essere stata capace di evitare che l’abisso abbia guardato te.
Grazie per aver interpretato così attentamente il messaggio del libro. Grazie per aver dato voce ai disagi dei ragazzi che crescono nelle periferie. Ela
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Grazie a te per il coraggio e la bravura
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