AVVERTENZA
Il tema trattato è sicuramente complesso e per motivi di spazio ho cercato di riassumere, dando per scontato che, alcune informazioni siano già in possesso del lettore. Per lo stesso motivo non ho affrontato la seconda parte del complicato rapporto Gesù/impero romano che vede in Costantino il punto di svolta della sua strana e straordinaria storia.
Da li in poi la storia ebraica si ferma e diventa storia dei giorni nostri con una pace duratura tra potere politico e cristianesimo, non prima del totale rinnegamento dei suoi legami dimostrati e dimostrabili, con il passato ribelle dell’ebraismo messianico.
Fu cosi sancito un nuovo patto di alleanza i cuoi benefici sono tuttora usufruiti dai suoi fedeli.
Il precedente conflitto Roma/Gesù svanisce grazie alla sua “conversione” che portò sia all’Editto di Milano che al famoso concilio di Nicea.
Ma questa è già un’altra storia.
Alessandra Micheli
Perché in quest’era di estremo materialismo un libro deve interessarsi a una figura così controversa?
A meno che non si abbracci la tradizione cristiano cattolica, per tutti i laici la figura del messia è oramai terreno di confronto e di scontro. Attraverso i sostenitori della sua realtà e i detrattori che ne sostengono l’invenzione per fondare e sorpassare una religione (quella ebraica che non riusciva più a dare coesione a un impero in decadenza), Gesù incarna la sua estrema importanza per la comprensione della società, e della sua evoluzione.
Ancor oggi, il cristianesimo è uno degli elementi in grado di definire l’ethos dell’occidente, grazie alla sua forza sincretica capace di abbracciare culti differenti fino a fonderli in qualcosa di unico.
L’unicità non è tanto nelle innovazioni teologiche (sacrificio, trinità e nascite miracolose erano di casa nell’antichità), ma nella sua capacità di inglobare in sé le differenze, che ne decreta il segreto del suo successo. Nonostante le persecuzioni, nonostante l’intervento di Costantino, è innegabile che il cristianesimo attraesse a sé le istanze psicologiche e i bisogni emotivi di molti (dagli ebrei delusi dalle profezie messianiche, ai gentili in cerca di un senso più intimo e personale del loro viaggio umano).
Il cristianesimo rappresenta un interessante campo di studi; soprattutto è importante soffermarsi sulla dialettica che ebbe con una religione in particolare: quella civile, tanto agognata dall’unità di Italia che proprio per la sua incapacità di impiantarla nelle coscienze dei nuovi “italiani” fallì il suo progetto unitario.
Se oramai si può conoscere, grazie anche ai manoscritti del mar morto e agli studi di Morton Smith e di David Donnini, ma anche Corrado Augias e Pier Francesco Zarcone, senza dimenticare Paolo Proietti, i rapporti tra Jesus e l’ebraismo, nelle sue forme anche settarie, andremo oggi a conoscere i rapporti tra Gesù e il fiero e mastodontico Impero Romano.
Buon viaggio!
La Palestina di Gesù
Se i vangeli canonici non ci forniscono informazioni sulle forze di movimenti e sulle tendenze che operavano nel periodo di Gesù, per fortuna abbiamo alcuni studiosi che si sono resi conto dell’importanza indispensabile della loro conoscenza, ai fini di una comprensione più accurata degli eventi relativi alla vita del Messia e della sua figura storica. Inoltre, inquadrare il divino pargolo in un contesto storico e sociale significa anche comprendere appieno il resto degli eventi che ruotano intorno a uno dei fulcri della religione: la morte per mano romana.
La Palestina, a quei tempi, viveva una situazione di dominio esercitata da Roma che, approfittandosi delle controversie interne al regno di Israele aveva dominato l’intera area e inserito alcuni sui fedelissimi nei punti chiave del governo. Sicuramente anche sottovalutando la natura riottosa e turbolenta di questa zona del mediterraneo.
La Palestina era un focolaio di violenza e di integralismo feroce, a differenza delle altre zone sotto il dominio dell’AQUILA che, bene o male, condividevano un’idea assonante di potere politico (venerando non una figura ma l’idea stessa di sovranità). Gli ebrei della tribù di Giuda e Beniamino, che erano tornati in Palestina dopo l’esilio babilonese, erano chiusi mentalmente e più retrogradi rispetto al mondo ebraico della diaspora. Basti pensare alle differenze culturali tra gli ebrei di Alessandria d’Egitto, aperti alla cultura ellenistica, e quelli della Galilea, in cui ribelli intransigenti si contendevano bellicosamente il territorio contro una popolazione pagana. Questo, però, fu anche un elemento utile per i conquistatori, visto che tale convivenza, forzata e diffidente, poteva anche sviluppare una certa tendenza al compromesso sfruttabile dagli abili politici di Roma.
Gli ebrei della Palestina, però, si consideravano i depositari ufficiali dell’ebraismo e, per tutti, il Tempio restava un punto di riferimento identitario, tanto da far ritenere a ogni buon ebreo che fosse d’obbligo recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme almeno una volta nella vita.
Non vi ricorda nulla?
Il rigido ebraismo palestinese si forgiò anche e soprattutto per le vicissitudini successive alla caduta del dominio persiano; alla morte di Alessandro Magno quattro suoi generali si divisero l’impero e la Palestina finì sotto il dominio della Siria con i re Seleucidi. Questi cercarono di imporre il modo di vita alla greca proibendo pratiche ebraiche religiose consolidate come la circoncisione, l’osservanza del sabato e i divieti alimentari.
È con la rivolta dei Maccabei (stirpe sacerdotale che vantava di discendere dal re David) a capo di una fazione messianico) guerrigliera che si propose di liberare la Palestina grazie a giuda Maccabeo. Fu cosi che venne fondata una propria dinastia detta Asmonea. Tuttavia, a lungo andare, anche loro si aprirono agli influssi ellenistici, con tutti i problemi politici che ne derivarono causati dalla sensazione di un tradimento dei valori per cui avevano lottato. Ricordo anche che, a livello sociale, emergeva un sistema di caste e di classe, in cui i centri di produzione erano nelle mani di pochi, evidenziando un ampio e serrato contrasto tra la classe contadina (organizzata in comunità di villaggio, dove i rapporti di parentela svolgevano un ruolo di grande importanza) e la classe dominante identificatasi con le istituzioni pubbliche. Un rapporto che diveniva quasi parassitario per la peculiarità di appropriarsi della produzione, attraverso un prelievo consistente per via fiscale, e il controllo sugli scambi commerciali.
In questo contesto, il Tempio di Gerusalemme e la sua casta sacerdotale erano il centro del potere economico e politico (e qua entra il come protagonista il sinedrio.
E in parte viene così svelata la strabiliante azione di Gesù nel tempio:
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!»
(Vangelo di Giovanni 2, 13-25.
Arrivano i romani.
Nel 63 A.c. Pompeo riuscì a imporre sul regno degli Asmonei il protettorato romano. Il trono di Gerusalemme era conteso da due fratelli della dinastia: Aristobulo II e Ircano II. Chiamato a essere arbitro della contesa, Pompeo favori Ircano scatenando la rivolta armata dei sostenitori dell’altro contendente. Ottima mossa, che gli permise di entrare nel paese con le sue legioni occupando Gerusalemme e profanando il santa Sanctorum del tempio.
Si era assicurato un dominio, è vero, ma anche un feroce e radicato odio.
L’assoggettamento di Roma, però, non scalfì il sistema economico. Anzi, si legò e si collegò con la sua concezione schiavistica attraverso il commercio internazionale.
Sul piano strettamente politico, il dominio romano si manifestò attraverso l’occupazione militare di parte del territorio, l’obbligo di pagare imposte, il potere di nominare e deporre i sommi sacerdoti esercitato attraverso il procuratore romano.
L’autonomia rimasta era relativa all’apparato politico giudaico, che restava subordinato al tempio, a sua volta legato a doppio filo con Roma.
Immaginate questa situazione in questo contesto, in cui le aspirazioni messianiche non si smorzavano, unendosi alla convinzione di essere un popolo eletto, nella terra promessa, infangata dai usurpatori. E per di più, pagani, che non veneravano Dio ma l’imperatore.
Questa miccia esplodeva con ribellioni di acclamati Messia (ossia discendenti delle migliori famiglie nobiliari che di tanto in tanto, rivendicavano il loro ruolo di Rex Deus). A tutto questo si univano le condizioni delle masse popolari schiacciate dalle forti tassazioni e per una concentrazione fondiaria che li costringeva a emigrare in città in cui non era per nulla assicurato il benessere. Anzi. Quindi ad azioni di guerriglia e terrorismo, di lotta contro il potere politico, si univa il rifiuto di pagare tasse e debiti. I contadini oppressi dai grandi proprietari si davano anche al banditismo in attesa del loro salvatore: colui che accanto alla Vera devozione avrebbe restituito anche la giustizia sociale.
La pax romana non rese affatto tranquilla la situazione palestinese, anzi accrebbe l’attesa messianica del compimento della profezia: un discendente della dinastia di Davide capace di risollevare le sorti di un ebraismo caduto sotto il giogo straniero.
L’ethos dei romani.
È oramai acclamato che l’impero romano fu una grande potenza politica e commerciale. Etruschi, latini, volsci, equi, ma anche le popolazioni celtiche, finirono inglobate in questo fantasmagorico agglomerato di provincie.
Roma conquistò subito il Lazio, poi condusse guerre contro i Galli, osco sanniti, la colonia greca di Taranto, conquistando l’Italia centrale fino alla magna Grecia.
Durante il III e il II secolo, il suo dominio si estese al Mediterraneo occidentale con le tre guerre puniche, e alla penisola iberica con la conquista di Numanzia. Dal 200 al 133 a.c. Roma combatté le tre guerre macedoniche conquistando Corinto ed ereditando il regno di Pergamo. Fino alla conquista della Galilea.
Ma come riusciva a tenere assieme provincie così differenti tra loro?
L’organizzazione dei nuovi territori annessi alla res pubblica veniva realizzata dal generale che li aveva conquistati, per mezzo di una lex provincie emanata in base ai poteri a lui delegati con l’elezione alla carica. La legge veniva poi ratificata dal senato che poteva inviare commissioni con poteri consultivi e di controllo.
Ma lo strumento principale che usava Roma era l’integrazione con cui tentava di diffondere i principi cardine che reggevano l’impero stesso. Fu quest’assimilazione che assicurò per secoli stabilità e compattezza, specie nelle città dove risiedevano i ceti privilegiati che permisero la diffusione dei modelli di comportamento della società romana.
E quali erano?
Innanzitutto la proliferazione di scuole dove si poteva imparare il latino e la cultura, e in cui accettavano non solo i figli dei liberti ma anche gli schiavi. La possibilità di carriera offerta da un sistema economico e burocratico aperto, che poteva ispirare anche ai plebei e ai liberti il sogno del self made man (America, impara).
E fondamentale fu anche l’atteggiamento tollerante nei confronti di tutte le religioni. Non dobbiamo dimenticare che c’era una concezione religiosa molto particolare: nella società romana l’imperfezione degli Dei adorati, lasciava molto spazio alle qualità umane. È stata proprio questa peculiarità divina a creare terreno fertile al pensiero filosofico greco. Dove un dio è fallace, il pensiero dell’uomo può proliferare. Ma quanto spazio può avere un uomo imperfetto al cospetto di un dio perfetto?
Alla luce di queste premesse, qual era il vero motivo di contrasto?
Inconciliabilità di Roma e di Israele
Esiste davvero una profonda differenza tra i due mondi?
E questa differenza può essere la responsabile dell’antagonismo storico delle due realtà?
Sono davvero universi separati da un diverso approccio alla realtà sociale politica e valoriale?
Andiamo a scoprirlo.
Israele, come ho cercato di sottolineare, era profondamente immerso in una concezione dello stato divina e di conseguenza la visione del potere politico era permeata da una tendenza eccessivamente autocratica. Loro, gli eletti contro l’altro, il nemico, l’infedele, reo di non essere benedetto dalla salvifica idea dell’alleanza, con un dio profondamente chiuso all’esterno. Insomma, il gentile non era prescelto e non poteva essere, quindi, fruitore degli stessi diritti dell’eletto.
Concezione che vi è familiare, vero?
I romani erano diversi. La loro concezione del mondo valutava gli altri, o l’altro non in termini di predestinazione ma di capacità, tanto da stimolare ogni soggetto a prosperare e evolvere per raggiungere le alte vette della socialità. Questa visione dell’uomo e quindi dello stato come organismo in cui esso doveva crescere, presupponeva anche la tolleranza verso la concezione religiosa che doveva restare intima ricerca dell’assoluto, senza che essa si confondesse, però, con l’idea di stato. Accanto alla vita privata, personale e intima del cittadino, conviveva in perfetta armonia la religiosità pubblica che venerava l’entità stato, come incubatrice e regolatrice di bisogni e aspirazioni. Lo stato diveniva divinità sovrana, che incarnava una regola di vita che venerava la cosa pubblica come primo organismo a cui devolvere la propria fedeltà. Si trattava di una sorta di religione civile, in grado di garantire stabilità, prosperità e opportunità, al cittadino rispettoso e ligio alle regole umane. Quelle divine, semmai, potevano migliorare la personalità rendendola più aperta, malleabile e empatica verso l’altro.
Cos’è la religione civile?
In sociologia, identifica un processo culturale grazie al quale una comunità elabora e crea un patrimonio condiviso di pratiche rituali, valori, simboli e credenze ideologiche attraverso le quali uno stato, una nazione, un potere conferisce un’aura di sacralità alla propria sfera di azione politica.
Il concetto fu delineato e perfezionato da Jean Jaques Rousseau e fu usato per dare legittimità all’idea unitaria. Famosa a tal proposito la frase di Massimo D’Azeglio: “Fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani”.
Che sta a significare che per quanto uno stato sia costruito geograficamente e politicamente, senza una condivisione di intenti, valori e simboli, non risulta possibile né l’integrazione né la coesione.
E questi elementi possono essere ricavati sia da una visione religiosa dello stato, come frutto di un progetto o di un dono divino, o frutto di una concezione laica e civile del potere.
Persino Mussolini si rese conto di quanto una sorta di simbologia fosse necessaria preferendo alla concezione dei Rex deus (propria del nazismo) una visione laica del potere. Quello che pochi sanno è che tale concetto fu mutuato dall’esperienza dell’Impero Romano.
Quindi, il cittadino, il soggetto che accettava volente o nolente (spesso nolente) l’autorità di Roma, doveva prima di tutto accettare la sua visione dello stato. Il testo delle dodici tavole riportato da Cicerone nel suo De Legibus recitava:
“Nessuno abbia per proprio conto Dei né nuovi, né forestieri se non riconosciuti dallo stato”.
E lo stato riconosceva come legittimi e accettabili quelle religiosità e quelle divinità che non presentassero aspetti di eversione politica. Il contrasto tra Roma e Israele, e quindi tra Roma e Gesù (il rappresentante più diretto dell’idea ebraica di potere), fu dunque fondamentalmente politico. I primi cristiani soffrirono una certa diffidenza proprio perché dichiaravano con orgoglio la propria ascendenza in Gesù il Cristo.
Roma era convinta di aver introdotto elementi di civilizzazione nel Lazio arcaico e in tutto il territorio imperiale:
il Senato ha bisogno del nostro intervento. In una terra lontana, oltre le coste dell’Italia, dell’Ellade e dell’Egitto, un popolo barbaro rifiuta il dominio di Roma e tormenta i nostri fratelli romani. Gli portiamo la civiltà, e ci ringraziano sputandoci addosso e insultandoci. Laddove noi portiamo loro la pace, loro ci accusano di essere devastatori. Siamo aperti al dialogo, ma loro non mostrano alcuna umiltà nei nostri riguardi. Credono che noi siamo dei predatori, mentre invece portiamo loro istituzioni e leggi, altrimenti a loro ignote.
La creazione dello Jus, ossia una forma più evoluta di società e del diritto, aveva rappresentato un passo AVANTI rivoluzionario sulla via del progresso umano, è di questo che i romani erano orgogliosi. Liberando l’uomo dalle pastoie e dalle catene della superstizione gli avevano prospettato una via dove l’individualità, e il talento, potevano crescere e favorire l’intero progresso della comunità. Non era un individualismo sfrenato, egoistico, ma un passo per creare, ognuno con un proprio brillante colore, il favoloso mosaico dello stato.
L’uomo trovava la sua divinità dentro, nel profondo di sé, l’accettava e lo spronava a crescere, senza gli ostacoli di una morale eccessiva e limitante. Se il fedele, legato al Dio, era costretto a subire e ad approvare leggi che spesso non consideravano come prioritari i bisogni profondi dell’uomo, lo Jus pensava all’importanza della crescita privata stimolata dallo stato e ne esaltava la personalità. Ecco perché la religiosità romana era uno strabiliante sincretismo tra liberalismo, patriottismo e spirito nazionale e rafforzava il senso di appartenenza a quella civiltà.
L’ebraismo impersonato da Gesù era portatore di una religione estranea ai culti civici tradizionali. La venerazione, e il rispetto, era esclusivamente legata a Javhe e quindi, ogni diritto personale era subordinato all’autorità religiosa del Re dei cieli.
In particolare alcuni movimenti radicalizzati all’interno di Israele avevano una visione politico-religiosa che riguardava non soltanto la liberazione di Israele ma anche la sovranità universale del popolo eletto. Solo esso, infatti poteva avere la pretesa di dominare il mondo, poiché scelti direttamente da Dio.
Queste inconciliabili posizioni furono esacerbate dalla presenza di un Rabbi che incarnava i più profondi bisogni, e le più inconfessabili aspirazioni dei Veri Ebrei.
Roma non poteva che trovarlo un pericoloso sovversivo, un agitatore ebreo capace di destrutturare il loro solido impero, invece che il profeta di una nuova concezione di religiosità.
Un nuovo Gesù?
Si fanno chiamare Giudei, perché appartengono alla stirpe di Yehudah, loro progenitore. Le sponde dei loro lidi sono bagnate dalle onde dello stesso mare che bagna le coste di Rhegium, Syracusae e Brundisium. Credono in un solo dio, disprezzano le nostre divinità, e con molta riluttanza accettano la nostra presenza nelle loro terre. Ci disprezzano, odiano i nostri costumi e hanno in antipatia le nostre usanze.
Ho cercato di sintetizzare un episodio controverso, una vicenda che affonda le radici in un periodo turbolento, e spesso sconosciuto. So che la mia ricostruzione ha molte lacune, che per motivi di spazio non posso colmare. Ma il concetto che è manifesto è una rivisitazione, necessaria, di un passato
che ancor’oggi fa sentire la sua potenza sulla nostra vita.
Attualmente, la visione che abbiamo di Gesù, di Roma e del popolo ebraico è quella classica data dai film e dalla Chiesa: è l’immagine di un pagano con una straordinaria storia di redenzione e conversione, capace di toccare le corde più intime del nostro io. Un bisogno di divino, di sacro, che oggi sentiamo profondamente necessaria per vivere questi tempi bui e controversi.
Però la storia è avulsa dai nostri bisogni e vive di una propria vita, costruita da fonti, da reperti archeologici e da nuovi accattivanti papiri.
Dalla scoperta dei rotoli di Qumran a quella de Nag Hammadi, non possiamo più permetterci di voltare lo sguardo sulla reale natura, sui dubbi sull’esistenza di quel Yeshua Bar Yosèf che tanto oggi coinvolge milioni, miliardi di fedeli. Chissà se il nostro impavido messia (ossia unto, ossia prescelto per il trono di Davide) avesse DAVVERO l’intenzione di creare una religione diversa dalla sua o semplicemente di favorire una delle tante diramazioni dello stesso ebraismo. Che sia stato zelota, nazoreo o adepto dei puri di Qmran, la sua azione, rivista con gli occhi della modernità e del laicismo, non appare così umile, così ultramondana che l’agiografia ci tramanda da sempre. Forse, una rilettura più oggettiva dei vangeli potrebbe ridare spessore e umanità a una figura strana, e spesso controversa, se la si leggesse con oggi meno grondanti di miele e unicorni rosa…
Primo dato: forse Roma non aveva poi tanto torto nel diffidare del Rabbi, visto che tra i suoi discepoli vi erano molti ZELOTI.
E chi erano questi Zeloti?
Presto detto: guerriglieri e terroristi, acerrimi nemici di Roma, portatori della tensione messianica nella lotta armata antiromana.
Alcuni studiosi, poi, hanno ravvisato elementi strani, incongruenti con l’immagine hippie nella sua predicazione, che hanno il sapore del sovversivo più radicale.
Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Pentitevi
Marco 1,17
Ora, se riportato il discorso nel contesto storico del tempo, Regno di Dio significava compimento della tradizione profetica, che considerava Israele come il popolo eletto da Yahwh riscattato per la sua fedeltà davanti alle nazioni del mondo. Era una visione sia interpretabile in modo escatologico sia in senso politico. Perché, per l’ebraismo, politica e religione erano indissolubilmente legati.
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. 35 Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: 36 e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.
Matteo 10,32-11,5
Non credo ci sia bisogno di spiegazione.
E ancora.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;52 ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53 ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi.54 Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia,55 come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».
Non vi sembra un inno rivoluzionario?
Forse i romani, tanto torto nel temerlo non lo avevano.
Concludo questo breve excursus con le parole prese dalla favolosa introduzione al libro:
La storia del rapporto tra cultura cristiana e cultura classica non può che essere oggi di primaria importanza per i cittadini del mondo occidentale. In qualche modo, volenti o nolenti, siamo tutti figli generati da questo sposalizio, che è infatti un rapporto vitale, dinamico e millenario. Nel nostro tempo, forse più che mai ci troviamo impreparati davanti a una delle grandi domande che pone la storia: “Chi siamo?”. Ed è proprio per questo motivo che oggi sarebbe utile tornare alle sorgenti del nostro pensiero, per comprenderle e comprendere allo stesso tempo noi stessi.
Mirko Cipettini
Spero che questo blog tour sia un primo, timido ma coinvolgente passo.
BIBLIOGRAFIA
Gesù E Jahvè di Harold Bloom Bur editore
Gesù, Messia o Mago Morton Smith Gremese Editore.
Gesù profeta rivoluzionario Pier Francesco Zarcone Macroedizioni
Inchiesta sul cristianesimo Corrado Augias e Remo Cacitti Monadori editore
Inchiesta su Gesù Corrado Augias e Mauro Pesce
Vestita di Sole, Paolo Proietti Write up editore
I manoscritti del Mar morto e le origini del cristianesimo Jean Danielou Arkeios editore
Cristo una vicenda da riscoprire Davide Donnini ErreEmme editore
Indagine Critica sulle radici storiche del Vangelo David Donnini Le origini del cristianesimo e la ricerca del gesù storico www.alaterus.it
L’esistenza storica di Gesù detto il cristo gikovanni de sio Cesari cronologia.leonardo.it
Dissertazioni intorno alla figura di Gesù Cristo dott.ssa Laura Scafati www.popobawa.it
A cura di Alessandra Micheli.
Mah, gli unici a temere Gesù erano i suoi compatrioti. I romani non se lo filavano proprio; non sarebbe stato nemmeno arrestato se fosse dipeso dai romani, giacché mai i seguaci di Gesù avevano creato disordini. Se un sanguinario come Pilato si dimostrò tanto restio non solo a condannarlo ma persino a processarlo, significa che le pressioni per metterlo a morte venivano da altrove.
I romani cominciano a preoccuparsi dei Cristiani solo dopo la morte e resurrezione di Gesù. Orecchio tagliato nel Getsemani a parte (al quale Gesù pone rimedio dicendo anche ‘Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada’), non mi pare di ricordare alcun tipo di violenza perpetrata da parte di Cristiani in quel tempo, mentre sono di grande rilevanza le tre (ammirevoli ma inutili) guerre giudaiche.
Quando Pietro dice a Gesù “Signore, ecco due spade”, Gesù risponde: “Basta!”. Per chiarire che Pietro non aveva capito nulla.
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In realtà la ricerca storica, filologica e sociologica inquadra qualcosa di molto diverso. Capisco che per un fedele siano temi ostici ma quando devo scrivere un articolo che parla, appunto, di storia tendo a essere laica. Ho riportato una parte della bibliografia appositamente per date uno spunto e non ho fatto.altro che elaborare ricerche di importanti esperti. Quindi sarebbe da contestate in toto le loro ricerche. I brani esaminati sono esaminati partendo dal contesto storico sociale e politico, non dal punto di vista teologico. Per quanto riguarda sinedrio roma e governatori il.rapporto era molto ambiguo e l’ho potuto soltanto accennare. Magari, un giorno potrò approfondirlo. Però,ripeto, qua parlo da storica laica non da credente. Il credente può accettare l’interpretazione religiosa, lo storico no
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