Questa recensione doppia viene postata, non a caso (nulla accade per coincidenza) in un giorno luttuoso. Nonostante natale sia alle porta, dentro di noi non rinasce la speranza ma si legittima un sistema che ha dimostrato il suo marciume, basato sulla violenza e sulla contrapposizione. Siamo oramai immersi nell’ottica dello scontro di civiltà.
Non ci siamo fermati in tempo.
Siamo letteralmente crollati in un discesa che sembra non avere fine. Abbracciati ai morti, sacrificati per il nostro ego. Immersi nel sangue di fratelli che non avvertiamo più come fratelli.
Ecco questo libro ci racconta qualcosa.
Ci prende a schiaffi e con parole al vetriolo decide di mostrarci, senza veli o orpelli l’assurdità di una “civiltà” che gioca a chi ce l’ha più grosso.
Peccato che in questa adolescenziale idiozia ci siano gli addetti alla nostra socializzazione. Quando non politici e influencer.
E spero davvero che leggendo la nostra rabbia qualcuno dire “mo basta”
e manderà letteralmente affanculo questo sistema disastroso
A furia di tenerci insieme per salvare quel che siamo,
ci mancan, padre, gli altri,
gli altri,quello che noi non siamo;
ci manca, anche se avessimo soltanto noi ragione,
l’umiltà di non vincere che fa eguali le persone.
E invece li strappiamo via in nome del signore,
come sterpaglia e funghi d’acqua,
nati qui per errore, dovesse mai succederci,
ad esser troppo buoni di fare,
chissà poi per chi,
la figura dei coglioni.
Vecchioni
Quando il dominio è legittimato e diviene civiltà. A cura di Aurora Stella
Il primo modo per affrontare una paura, una malattia o la morte è quella di chiamarla con il proprio nome. E Marina Terragni ci insegna un termine: dominio, acciocché prendiamo coscienza che il deliberato sterminio che l’uomo sta compiendo sulla donna è determinato dal dominio.
Con tutto l’orrore di cui è capace, l’uomo si sta prodigando affinché l’eliminazione della donna diventi sempre più efficace, sempre più rapida e coinvolga ogni possibile sfera a patire dalla dignità. Con la stessa freddezza con cui i carcerieri del terzo reich conducevano gli ebrei nei campi di sterminio, così l’uomo si appresta a fare lo stesso di quella che dovrebbe essere la sua compagna.
La spoglia, la marchia, le toglie ogni velleità che la renda umana.
La trasforma in una parodia di sé stessa, la priva di ciò che la rende unica a partire dalla verginità per appropriarsi e denigrare anche la sacralità della gravidanza.
Umiliazione, privazione della dignità, sofferenza e morte.
Questi sono gli strumenti che accompagnano da sempre il dominio.
L’uomo è un animale e gli animali per istinto esercitano il dominio su quello che considerano loro, ma mai nessun animale violenta, ad esempio, una femmina immatura.
L’uomo si.
Eppure la ragione, la cosa che da sempre si vanta lo faccia distinguere dagli animali, dovrebbe suggerirgli che non è sensato.
Di norma una femmina di qualsiasi animale ha un momento ,durante l’anno, (l’estro) in cui per volontà della natura si accoppia con il maschio perché la specie continui.
Nell’uomo questo concetto finì quando, da cacciatore raccoglitore nomade, divenne stanziale e cominciò a scindere l’atto sessuale dalla gravidanza e la donna commise il più grande errore della sua vita: tenere avvinto tramite il sesso l’uomo per evitare di dover crescere da sola i propri piccoli. Niente più estro, niente più scannamenti per la conquista del diritto di accoppiamento, ma un ciclo continuo che rendendo sempre fertile la donna teneva il compagno accanto con la promessa del piacere, ma esigeva un prezzo altissimo: la libertà. Se prima la donna era ritenuta la portatrice di vita, ora diveniva, a seconda delle circostanze, un serbatoio di eventuale vita oppure oggetto e strumento del piacere dell’uomo.
Nella Genesi la donna fu creata da una costola dell’uomo.
Uno stratagemma del Dio-Vasaio che cercò di instillare nel Dominus un senso di rispetto per quella che egli stesso definì“Carne della propria carne”.
Questo perché la prima donna Lilyth , tratta come lui dal fango aveva osato chiedere pari dignità e si era rifiutata di sottostare alle regole di Adamo.
Nelle parole “sarete un’unica carne” Il Dio- Vasaio auspicava un ritorno alla fusione, un modo come un altro per ricordare alla parte maschile che la,donna , pur essendo un essere senziente diverso da sé, proveniva dalla sua stessa materia già trattata e umiliandolo non faceva che umiliare sé stesso. Eppure il messaggio di protezione di una parte così importante del proprio corpo (una costola protegge polmoni e cuore) finì per essere travisato: sei roba mia ne faccio ciò che voglio.
Si dice che siamo tutti figli di Eva, io non ne sono mai stata convinta.
Secondo me su questa terra vagano ancora le figlie di Lilyth.
Sono convinta che ogni donna che alzi la testa dal fango, che lotti senza piagnucolare sulle proprie disgrazie a costo della vita subendo torti ed umiliazioni, spezzandosi ma non piegandosi mai sia una reale figlia di Lilyth in lotta non solo contro l’Adamo ma anche contro la Eva che , pur riconoscendo di essere umiliata e maltrattata anziché ribellarsi non fa che dire “lo amo” perchè ancora ode il richiamo della carne da cui è stata tratta.
Leggete questo libro, riappropriatevi delle vostre radici e se scoprirete di essere figlie di una donna dimenticata abbiate il coraggio di andare fino in fono e non tradire la vostra natura.
Ribellatevi sempre e comunque.
Ribellatevi contro chi impone, sulle vostre spalle, che non porta.
Ribellatevi.
E se non siete certe di avere gli strumenti giusti cominciate con la lettura di questo testo.
Riprendiamoci la vita che ci spetta. A cura di Alessandra Micheli
Non mi è mai piaciuto il dualismo.
Non posso farci nulla, lo rifiuto con tutta me stessa.
E da questo rifiuto mente e corpo, spirito e materia, ho sempre cercato alternative.
Vedete, quando rifiutate o contestate in toto un sistema di pensiero o peggio ancora una civiltà o una società, dopo il vostro rifiuto il passo successivo è cercare di capire se esistono modelli diversi, magari ricchi di quei valori che vi hanno fatto aborrire l’altro modello.
Nel momento in cui il rifiuto, la contestazione è un mero esercizio nichilista, allora vi informo che non siete altro che strumenti ed elementi necessari al mantenimento dello status quo.
Se la critica non si basa su una vera conoscenza di cosa rifiutate e a questa apporre alternative, allora siete solo i dissidenti che non fanno altro che legittimare una posizione. Il vostro dovere è far raggruppare gli altri attorno al valore da difendere, donandovi la giusta connotazione di nemico.
E cos’è il nemico se non un modo per identificare l’altro?
Io sono perché esisti tu nemico.
Io sono il nemico perché esiste il valore contro cui mi scaglio.
E lo attacco perché altri possano difenderlo.
Questo è il sistema dominante della società che io chiamo distorta.
Quella che si basa sullo scontro e mai sull’incontro, che si basa sulla contrapposizione netta e mai sulla cooperazione.
Perché vedete, concepire una collaborazione tra le parti significa metterle tutte sullo stesso piano, donando pari dignità e pari validità. E cercando di incastrarle in quel mosaico perfetto chiamato esistenza.
Ma capite che la mia concezione di mondo, di universo, di sistema sociale è totalmente distante dalla vostra.
Che siate femministe, di sinistra, liberiste, filosofe, politiche, o semplicemente polemiche, la vostra capacità di urlare non penetra nella profondità dei concetti, ma le attraversa per un mero esercizio puramente ludico.
Chi davvero non considera valide certe posizioni, certi archetipi, certe idee è perché ha in mente un mondo del tutto diverso.
E il mondo che io ho imparato a studiare non è fatto di singole parti in competizione per il posto sotto le luci della ribalta.
È un mondo totalmente interconnesso dove il dualismo mente e corpo appare per quello che è: un enorme, anormale cazzata fatta apposta per renderci tutti burattini.
Distinguere la materia dallo spirito è rendere fragili i sistemi di pensiero concepiti originariamente come indistinguibili, uniti e formanti uno stesso organismo: cogito ergo sum tutti lo nominano ma pochi lo vivono realmente.
“Penso dunque sono” significa mettere i due sistemi a contatto stretto: io penso, dunque agisco mentalmente e permetto al mio corpo, elemento reale e vivente, di produrre il pensiero in azione, ossia di comportami in modo etico.
Con me stesso e con il mondo.
Ma in una società che il corpo lo rifiuta, fino a farlo sparire donandogli troppa attenzione, come posso rendere il pensiero qualcosa di costruttivo per la mia esistenza e quella degli altri?
Se le idee provengono dall’iperuranio e sono semi, se io questi semi ve li mostrassi, non renderebbero mai frutto.
E senza frutto non assaporerò mai il gusto, non addenterò mai la mela, non mi nutrirò, fino a essere così privo di energia da scomparire.
Come fu per l’androgino, separato dall’arrogante arconte di Jahvè, noi siamo oggi separati in scoparti stantii da un sistema capitalistico autoritario e dittatoriale che di liberismo reale non ha proprio un cazzo.
E permettetemi e concedetemi il turpiloquio.
E questo orrendo sistema distruttivo inquina ogni atto di ribellione.
Che sia la volontà di dare pari diritti ai viventi, di dare dignità a ogni concezione di vita, e di rendere uomo e donna frutto di uno stesso unico originario essere.
Ecco che la Terragni, partendo dalla stessa triste considerazione a cui sono arrivata io, vede il femminismo moderno come una totale sconfitta della donna. Senza corpo noi non siamo donne.
Senza corpo non possiamo muoverci né nell’universo fisico né in quello simbolico.
Spezzando il legame corpo mente, noi siamo esseri o meglio entità incorporee profondamente inutili, strumenti nelle mani di un potere che contestiamo ma di cui facciamo parte.
I movimenti di oggi, senza la realtà materiale non sono altro che esercizi filosofici senza avere spunti nel reale, e una filosofia che non si nutre della corporeità dell’esperienza sensoriale cosa è se non un mero contentino da dare a chi, in fondo, si sente limitata?
Essere donne e uomini ha un significato ben più importante.
Significa che se quella divinità, se quell’energia fisica ci ha inseriti in un corpo o è scema o aveva un suo progetto.
E il progetto è fare del corpo dono, potenzialità, prendere dalle premesse biologiche utili concetti per rendere la nostra vita più rispettosa per la Maat cosmica.
La donna riceve, nutre, crea la vita.
L’uomo propone, possiede, innesta la vita.
Entrambi danzano l’eterna danza della vita.
Ricevente e emittente, dono e sacrificio, accoglienza e penetrazione.
Io accolgo e tu semini.
Io sono la custode tu il donatore.
Donatore è senso di dono, non senso di alta concessione del mio seme per poterti dominare.
Chi domina è quella legge della vita che urla alla nostra ignoranza, quando decidiamo la stratificazione della vita, quando urliamo la nostra concezione della realtà biologia, della storia naturale, sulla stregua della nostra stupidità umana, la sopravvivenza del più forte.
Quale sopravvivenza del più forte, quando la vita non è altro che una continua evoluzione?
La specie non si estingue, muta.
I dinosauri sono scomparsi ma hanno dato origine ad altre creature.
Gli uccelli come li conosciamo noi sono frutto di una vita che sperimenta, laddove le modifiche scientifiche non sono altro che risposte adattative ai cambiamenti.
La vita modifica, cambia, evolve, cresce e poi muore solo per crescere ancora.
Dov’è il sistema esclusivo della competizione?
Dove sono i vinti e vincitori?
Nessuno di voi sente la voce di dio che urla:
Sai tu quando figliano le camozze
e assisti al parto delle cerve?
Conti tu i mesi della loro gravidanza
e sai tu quando devono figliare?
Dio in quel caso non fece altro che bacchettarci con una straordinaria lezione di storia naturale laddove i cicli non erano gare, ma semplicemente delle favolose organizzazioni in cui ogni parte spingeva l’altra a modificarsi e trasmettere le modifiche date dall’esperienza all’altro.
Il concetto di madre, quello che stiamo devastando con l’androginia morale non è altro che questo: attitudine e l’educazione che trasforma e lavora con i doni della genetica.
La genetica non è la vostra fissa legge, è adattamento.
E pertanto ha ragione Marina Terragni: gli uomini, intesi come perpetuazione della società dedita alla sopraffazione, ci stanno rubando tutto.
Ci rubano la VITA.
E che la rubano con noi compiacenti, visto che il nostro urlo per la tutela dei diritti non è altro che discriminazione legalizzata.
Perché nel momento stesso che io devo giustificare il mio essere nata donna, devo trovare motivi per rivendicare ciò che è mio, per chiederti qualcosa che mi spetta per nascita, io sono già autodiscriminata.
La sola esistenza delle pari opportunità legalizzate da questo orrido sistema non è atro che il contentino per farmi tacere.
Il fatto che io rinneghi il mio essere donna, la femminilità, la voce delle mie antenate e mi metta alla stregua del prototipo societario per esser ascoltata (quando non devo far vedere le tette per poter protestare) sono già bella che inserita nel sistema.
E i miei urli non fanno altro che legarmi sempre di più in un mondo che ci trova divisi.
Uomini e donne non devono contendersi il dominio.
Nessuno di noi vuole passare da una società patriarcale a una matriarcale. Vorremmo solo una società interconnessa dove uomo e donna biologici e mentali, lavorino per poter portare avanti il progetto divino.
Che è quello di perpetuare la vita portandola sempre oltre.
Vogliamo venerare finalmente una diversa società organizzata non sulla base della competitività ma sulla base dell’empatia, della collaborazione e della compassione?
Smettiamo noi stessi di fingerci evoluti, quando ancora usiamo parole, schemi di comportamento basati sull’annientamento e sulla spersonalizzazione dell’altro. Basta con questi modelli morali basati sull’accettazione.
Quell’accettazione non deve essere chiesta.
Deve essere automatica.
E lo sarà soltanto se noi stesse saremo le prime a darla per ovvia.
Se aderiamo ai cortei, alla classion act contro la lesione dei diritti civili e poi ancora ci comportiamo da bulli, cercando di far emergere la nostra idea a discapito dell’idea dell’altro, abbandoniamo ogni velleità democratica.
Siete solo pedine di un gioco al massacro.
Ancora più ipocrite, perché nascondete la vostra ADESIONE al sistema con un finto eticismo.
Se ancora chiamate una donna troia siete perdenti.
Se ancora difendete il possesso del maschio anche con i libri, e con la legittimazione della sottomissione e dell’uso del corpo pe finalità commerciali e di marketing non siete altro che traditrici del vostro sesso.
Finché direte: “eh, ma l’uomo è cosi”, “è normale che lui cerchi sesso”, “la donna è divisa in sposa e puttana” siete solo delle ipocrite.
Rivendico il mio essere DONNA fuori dai vostri ristretti patetici schemi.
Io posso studiare ed essere vanitosa, io posso essere frivola e profonda, io posso essere colta e popolana.
Io posso avere finezza e crudezza, posso essere IO morte e vita, violenza e bellezza, regina e guerriera, strega e santa. I
o Sono e voglio essere da sola, senza il coglione di turno a inserirmi nelle sue paranoie.
Quando vedrò donne che contestano davvero lo status quo e si metteranno di impegno per fondare una società diversa, allora avrò di nuovo stima di voi.
Finché darò ragione alla Terragni, beh per il femminismo vero, quello che è rivoluzionario, ossia rivolta le cose e le fa apparire in una nuova prospettiva, ne decreto la fine e la morte cerebrale.
Tornate a chiedervi cosa davvero vuole il vostro corpo.
E sapete cosa vi risponderà?
Voglio vivere in una dannata società diversa.
Fatelo.
A costo di essere bruciate di nuovo come streghe.
Ma meglio la morte che questa pallida ridicola imitazione di vita.
L’ha ribloggato su Le Trame del destino: Libri e dintorni.
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