Les Fleurs du mal è lieto e onorato di partecipare al blog tour, in onore dei libri di Marina di Guardo “La memoria dei corpi”. Noi oggi ci occuperemo della prima tappa “Come è giusto che sia e il concetto di giustizia nel romanzo”.

 

A volte l’incontro con un libro, non è un incontro muto.

A volte il libro prende vita e ti accompagna lungo una strada, dove, spesso, si trova un bivio ombroso.

Quando sono di fronte a questa diramazione, affatto accogliente, so che è un occasione unica, irripetibile.

Perché sono cosciente che inizia a crescere e sempre di più, quell’impulso alla domanda.

Unico porto sicuro in quell’uragano di punti interrogativi, capace di contrastare la bufera di emozioni è la semantica.

La mia passione per l’etimologia mette ordine nel disordine, restituisce la giusta collocazione dei fatti e ristabilisce l’armonia della parola.

E tutto torna a scorrere.

Uno dei temi che più mi sta a cuore è la giustizia.

Ma, se questa mia adesione alla legge del giusto viaggia su binari dritti e rigidi, ci sono alcuni libri che con il loro uragano di dubbi, bussano insistenti alla mia perfetta concezione del mondo.

E allora capisco che la giustizia, tanto millantata, da me difesa ricercata, è in realtà un concetto oggi troppo labile e troppo sfumato.

Il libro di Marina lo mostra con una beffarda crudezza.

Mi immagino l’autrice con il suo sorriso sarcastico e malevolo, mettere bellamente alla prova il povero lettore, cosi convinto della sua adesione societaria, cosi convinto della facilità con cui i difficili percorsi umani possano essere risolti dalla retta propensione del cittadino a rivolgersi al settore competente, quello che protegge.

Ma chi protegge?

In realtà la legge chi tutela?

La vittima o il carnefice?

Permette davvero la risoluzione dei conflitti?

Permette davvero la libera espressione personale?

E lo fa in modo celere o soltanto come ultima estrema ratio, rendendosi colpevole di una intrinseca capacità del nostro mondo di evitare l’avverarsi della funesta idea hobbesiana dell’uomo lupo feroce?

Per individuare il messaggio della Di Guardo dobbiamo per forza rivolgerci al dizionario: cos’è la giustizia?

Secondo la semantica, giustizia è l’ordine virtuoso dei rapporti umani in funzione del riconoscimento e del trattamento istituzionale dei comportamenti di una persona o più persone inserite in un determinate cotesto sociale.

Questo significato riguarda il concetto di applicazione pratica e si identifica in un preciso codice visibile, che classifica i comportamenti dividendoli tra i non ammessi e gli ammessi, sempre in riferimento a una precisa e certa società umana. Per effettuare poi il controllo, si dota di una struttura giudicante in grado di applicare sanzioni nel caso di violazioni gravi della libertà altrui.

In sostanza, possiamo quindi avere una legge che detta i canoni oggettivi (regole e relative sanzioni) che impediscono l’avverarsi dell’incubo di Hobbes, ossia uomini che si contrappongano uno all’altro, in modo cosi violento e rigido da sfaldare la stessa comunità di cui sono membri.

Se si considera uno stato un organismo, semplicemente si cerca di impedire che i propri organi entrino in conflitto.

Ma oltre a questo concetto, troviamo un altro, più intenso e interessante che non si rivolge al lato pratico dell’esercizio (movimento) della giustizia, quindi un concetto impositivo e codificato, ma a un moto interiore dell’animo, un impulso naturale alla conservazione e all’ordine armonico (cosi in cielo cosi in terra) chiamato senso della giustizia.

Quest’attitudine etica è considerata da sempre naturale, tanto che non può essere insegnata, in quanto riguarda una certa percezione e interpretazione della realtà e del cosmo e della società, considerata un organismo interconnesso, attraversato da reti fitte e intricate di responsabilità e influenze.

Basta rompere un solo filo di questa tela (web) per far crollare l’intero disegno originario (saprete bene che la ragnatela comune non è un banale intreccio di filamenti prodotti del ragno, ma ci mostra disegni meravigliosi artistici, cosi perfetti da restare sbalorditi).

Ecco il senso della giustizia è la consapevolezza di questa ragnatela di relazioni, che implica un concetto scientifico molto importante: azione e retroazione. Ogni nostro muoversi avrà quindi, conseguenze più o meno nefasta, scrivendo il nostro destino e colorandolo di colori opachi, brillanti o cupi.

Ed è l’ultimo concetto che impegna in un patto non scritto ( a differenza della legge codificata) i singoli individui a tenere comportamenti precisi in situazioni ordinarie o straordinarie usando criteri di giudizio, di etica, di correttezza e rispetto.

A un tradimento quindi non corrisponderà mai un atto lesivo della persona.

A uno schiaffo non dovrà corrispondere un pugno e cosi via.

Ed eccoci arrivati al libro di Marina Di Guardo: che idea di giustizia ci propone nel suo romanzo?

Due sono i protagonisti in realtà, che rappresentano le due opposte visioni di giustizia: Dalia e l’ispettore Salvatore Caruso.

La prima rappresenta quella che in gergo si chiama Giustizia vendicativa o punitiva. Anche se questo termine regola l’esercizio del potere giudiziario (ogni paese ha la sua idea di punizione, per alcuni è la reclusione con finalità redentive, per altri è una semplice vendetta che comporta l’attuazione della massima biblica occhi per occhio, dente per dente). Dalia è e resta, una nemesi, una divinità feroce che contempla non l’etica della giustizia ma la sua attuazione anche nel caso in cui, essa debba infrangere ogni tabù.

Si rese conto di non provare il benché minimo rimorso: più passava il tempo, più si sentiva giusta.

E’ il senso di compiere una sorta di risarcimento alle vittime che porta, il vendicatore a darsi il ruolo di latore di morte o salvezza. E questo per quanto ci stuzzica, ci intriga, visto il sistema troppo lento della legge, non nasconde un dato che cozza contro il concetto che ho sopra espresso:

Quel progetto la faceva sentire importante, aveva uno scopo, un obiettivo da raggiungere, qualcosa che finalmente la facesse sentire viva.

Ora, il bisogno di sentirsi viva è un bisogno personale, privato che poco o nulla a da spartire con il vero senso di correttezza, che tende a isolare il torto e la sopraffazione dalla compagine sociale. Ed è per questo che ammantato da uno strano e inquietante senso di onnipotenza, provoca un freddo mortale.

Nessuna sbavatura, niente da eccepire, poteva essere contenta di come aveva gestito la situazione. Ma il freddo non smetteva di sferzarla come un vento maligno.

Ritenere il giusto come fatto privato, come modalità non per tutelare il cosmo società, non è più un atto di giustizia che deve avere una connotazione universale (tutelare appunto l’ordine organizzato) ma una sorta di vendetta. E la vendetta è un accadimento totalmente interiore e PRIVATO.

piuttosto, aveva sperimentato un’enorme sensazione di potere. Si era sentita padrona di se stessa, capace di scegliere.

E questo deriva da una problematica psicologica che rende le persone non parti di uno stesso organismo sociale a cui aderisce CREDENDOCI:

Quando apriva quel quaderno, si sentiva bene. Finalmente se stessa. Libera da finzioni, buone maniere, rituali sempre uguali.

Questo perché gli eventi sono vissuti come estranei, come poco valorizzativi di un anima:

Un senso di disagio la riempì. Si sentì diversa dalle sue coetanee. Incapace di sognare, di aspettarsi il meglio, di credere che tutto sarebbe andato bene.

E se qualcuno si sente alieno, inserito in un contesto che non le appartiene, ingiusto, oppressivo, distruttivo per la propria personalità, si sente di dover indossare la maschera dell’accettazione, di dover chinare la testa, ciò comporta un accadimento dolente e grave: la frustrazione sfociata come “giustizia” non è che un modo per ribellarsi a un sistema ritenuto sbagliato, semplicemente usando le stesse armi che si contestano.

Perché è l’unica modalità di reazione che si conosce.

L’altra faccia della medaglia, è rappresentata da Caruso e oserei chiamarla di derivazione greca, ossia ha fondamento nella realtà naturale come principio ideale e esprime non la riparazione dei torti ad opera di una nemesi, ma la necessità di mantenere ogni cosa in ordine, nel proprio corso, seguendo un principio di Armonia e coordinazione dei rapporti umani.

Salvatore Caruso non era mai stato troppo interessato ai soldi. Se lo fosse stato, non avrebbe mai scelto di entrare in Polizia, con quella paga da fame. Alla facoltà di Giurisprudenza era tra gli alunni più brillanti, dotato di memoria ferrea e agilità intellettiva. Con tutti i trenta e lode che collezionava, sarebbe potuto diventare un avvocato famoso, un magistrato, forse anche un notaio. Invece, contro ogni previsione, aveva scelto di fare il poliziotto, con grande disappunto del padre e della fidanzata, poi divenuta sua moglie.

E perché Caruso non ha scelto la strada comoda?

Un evento traumatico da bambino, un evento che avrebbe potuto peraltro a scegliere la via della giustizia vendicativa:

Molti sapevano delle violenze che subiva in famiglia, dalla madre, ma soprattutto dal padre. I giornali avevano polemizzato per tanto tempo. Sostenevano che le indagini fossero state condotte in maniera approssimativa: si erano trascurati elementi importanti e, per questo motivo, il responsabile l’aveva fatta franca.

E cosa succede?

 Poi aveva deciso. Sarebbe entrato in Polizia. Avrebbe usato tutta la sua intelligenza, la sua preparazione per fare in modo che certi delitti non rimanessero più impuniti. Lo doveva a quel ragazzo dagli occhi tristi cui nessuno era stato capace di dare giustizia.

 

La differenza sta qua.

Mentre Dalia usa il concetto di giusto per se stessa, per rifiorire da un contesto limitante, lo stesso viene usato da Salvatore semplicemente per dare voce alle vittime, restituire a loro dignità, e pace. Serviva per non dimenticare quei nomi, perché anche soltanto la ricerca, l’impegno e la determinazione a porre freno allo squilibrio, poteva fare la differenza.

Salvatore ci prova a mantenere pulito l’armonico ordine del cosmo.

Possiamo nascere nel contesto più terribile che si voglia. La scelta ultima, però è sempre e solo la nostra.

 

È nata in un contesto non favorevole, ma avrebbe potuto cambiare la sua vita. Invece ha compiuto una scelta infelice.

 

Adesso sta a voi decidere quale concetto di giustizia sposare.

Ma Attenti.

Il gelo dell’anima vi aspetta all’angolo con un sorriso crudele.

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A cura di Alessandra Micheli.

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