La buona musa Calliope mi vuole bene.
Me ne sono resa conto dai libri che pone sulla mia strada, alcuni di una bellezza tetra ma al tempo stesso abbagliante.
Eh si miei adorati lettori.
Oscuro e fulgente, per me nata e cresciuta sotto l’ombra dei racconti celtici non sono aggettivi dicotomici anzi.
Sono parti di un concetto di bellezza antico, che fa del nero fonte di estrema chiarore.
Poiché è il nero che sublima e accoglie in se ogni colore e persino quella luminosità che noi bramiamo continuamente.
E, così, il nero è simbolo di beltà, simbolo di interiorità e mai di maligni demoni. E’ l’antro da cui si rinasce, da cui emergono fiammeggianti stille di fulgore a cui noi, sognatori ci abbeveriamo.
Calliope ha ispirato il buon Flisdeo, rendendolo capace di imprimere su carta (o meno poeticamente su pc) una storia dal sapore gotico, ambientata nell’antro vittoriano, ma irrorata da un certo spirito polemico tipico dei grandi autori di narrativa sociale.
Qua, in questo libro, convivono tutti in un armonico mosaico il buon Dickens, una certa ironia alla Austen, la tetraggine del buon Walpole e una certa dose di irriverenza di Le Fanu più che di Stoker.
I personaggi che troverete, infatti, sono totalmente diversi dallo stereotipo che aleggia attorno alla figura del soprannaturale, e risultano, al pari della buona Carmilla, molto umani imprigionati nella loro rimembranza triste di una vita oramai perduta.
E cosi viaggiano non morti, vampiri, licantropi, sensitivi e streghe che animano i retrocessi della benevola società londinese.
Ed è un contrasto degno di un vero riformatore sociale, poiché i veri demoni non sono scaturiti dai peggiori racconti orrorifici ma rappresentano i protagonisti che la vera vita e la vera umanità celano dietro lo stantio e immobile sistema sociale dell’epoca.
Alla fine loro sono i frutti di un apparente normalità che di banale non ha proprio nulla.
La società vittoriana di allora si nutriva di energie.
Era il vero borghese il prototipo del vampiro, con la sua ansia di dividere il giorno e la notte, il buono e il cattivo, facendo si che lo stesso cittadino probo divenisse fulgido esempio anche a discapito della massa popolare a cui veniva riservato l’onore di rappresentare l’abbrutimento di chi non si atteneva a ligie regole morali.
Londra appare cosi profondamente adombrata da netti contrasti: sfavillio, cultura e innovazione tecnologica a osannare la grandeur del regno britannico. Orrore devastazione, vizio e degrado a raccontare come il progresso ha una facciata meno nobile e meno civile quella che gorgoglia nei bassifondi chiamati WhiteChapel o i Docxs, con quell’umanità che stenta a riconoscersi come tale, cercando di sopravvivere rinunciando alla sua straordinarietà, ai talenti e alle potenzialità.
E già si delinea un “sotto testo” che riesce a carpire i segreti del periodo scelto e utilizza appunto l’elemento sovrannaturale per sottolineare la denuncia.
I mostri quelli scaturiti dai peggiori sogni non sono i carnefici del testo.
Il vero carnefice è l’interesse economico, la stabilità il buon nome che tenta di celare le contraddizioni e tenta di occultare il marcio sotto il tappeto.
Per gli scrittori vittoriani White Chapel e i suoi orrori non esistono.
Whitechapel: la tomba della rettitudine, il simbolo stesso della depravazione e della corruzione di Londra, patria di puttane, tagliagole ed ebrei.
Li raccontano semmai in modo allegorico utilizzando demoni che esorcizzano il vero male in un rito apotropaico che sa tanto di tentativo di redenzione.
Ma una società che non ammette i propri sbagli e le proprie imperfezioni come può essere salvata?
La società vittoriana non era che una bella facciata.
Esaltava i propri successi, il buon nome acquisito con il duro lavoro, salvo poi riversare i propri vizi nelle fumerie di oppio e nei sobborghi in cerca di un piacere effimero e senza regole.
Ecco la perfetta descrizione di quella Londra che tanto angosciava Charles Dickens e che non aveva il sapore del progresso ma del fumo delle industrie che anneriva i polmoni e rendeva gli uomini dei veri e propri condannati
Miracoli, orrori oltre ogni immaginazione, tradimenti, cospirazioni. Ed è solo la punta della piramide, di quell’infido e sdrucciolevole mausoleo che voi chiamate “Londra”
E Londra appare cosi offuscata, quasi uno specchio distorto in cui la sua bellezza, quella che tanti libri celebrano, appare già brulicante di marcio e vermi striscianti
Se quella notte fosse stata simile alle altre, per i suoi sudici vicoli vi si sarebbe potuta ammirare la più rivoltante assemblea di scarti sociali. Bestie, non uomini. Animali consumati dalla febbre della lussuria, dall’ebrezza dell’alcol, desiderosi di dimenticare pure per un solo attimo quella miserabile vita fatta di stenti e di violenza.
E gli eventi e la ricerca della verità, del colpevole non fanno altro che da sfondo al vero protagonista del libro, quella rottura della percezione cosi soave e comoda che lo stesso protagonista e che noi tutti abbiamo del mondo in cui ci tocca vivere:
In tali occasioni, tutto ci pare sbagliato. Noi stesse, le nostre idee, il nostro apparire, i nostri desideri. Ciò che avevamo giudicato nobile a una prima occhiata appassisce nella superficialità a una seconda. Ciò che avevamo reputato brillante si rivela opaco, e ciò che ci aveva colpito nella sua favolosa concezione si dimostra null’altro che un’illusione dei nostri sensi.
Le note riecheggiano sgraziate. Il ciarlare convulso serpeggia guastando l’umore. La triviale condiscendenza del sesso opposto insulta apertamente quel briciolo di amor proprio che la società, coi suoi ipocriti insegnamenti, ancora non è riuscita a estirparci. Così, questa cupola che sino a non molto tempo fa ci era sembrata dorata e idilliaca, si rivela finalmente ai nostri occhi per quello che realmente è»
E qual’è quindi il nostro peccato, quello che permette ai “mostri” di accompagnarci in questo sfrenata commedia dell’arte senza senso?
Un delirante spettacolo di marionette, i cui fili invisibili sono mossi dal conformismo e dalla doppiezza, poiché la menzogna è la più sopportabile, e confortevole, delle realtà»
Il vero contatto con il reale, quello disturbante nel testo non è la scoperta che l’altro mondo viaggia assieme a noi.
L’Inghilterra e l’intero regno unito, in fondo c’è abitato. Tante le leggende che fondano e colorano l’autentico spirito anglosassone a partire dal mito della testa di Bran sepolta sotto la torre di Londra.
No.
Il vero male che si tenta di occultate è molto più semplice, più banale e pertanto più infido e i mostri stessi, i vampiri, le streghe non sono altro che i coprotagonisti di quel marcio che rese fallace e friabile la società del tardo ottocento: il perbenismo.
Quella volontà di rendere tutti uguali, tutti addormentati, privi di slancio vitale, privi di poesia, privi di immaginazione. Scelti non dal destino ma dal compromesso sociale e inserirsi volenti e nolenti in ruoli prestabiliti da cui uscire era…impossibile.
Condanna?
La morte sociale.
Allora era meglio non vedere, fingere di non conoscere l’occulta motivazione alla base di scelte politiche, sociali e emotive cosi disastrose per la psiche come quella della pruderie.
Ecco che in fondo in ogni vittoriano o neo vittoriano in cui l’oscuro altro mondo inizia a viaggiare, ci si sente più attratti da queste figure mitologiche da cui dovremmo rifuggire spaventati, le uniche in fondo, in aperto e spontaneo contatto con le loro naturali inclinazioni: il vampiro deve bere sangue, il licantropo ululare alla luna, la strega beffare e ingannare.
Ma l’uomo… ah lui no.
Potrebbe essere libero e invece è condannato…da se stesso.
Nelle storie di fantasmi è sempre notte, e l’ambiente lugubre trasuda malvagità da ogni parete, lasciando solo intravedere l’orrore. Nella realtà, ben più inquietante, i misfatti e le colpe sono illuminati dalla luce del sole, esposti allo sguardo e alla vergogna di tutti.
Amo e ho amato profondamente questo libro.
E non solo per la capacità dell’autore di farmi viaggiare attraverso la cortina del tempi.
Ma perché, in fondo, descrivendo la Londra vittoriana sta descrivendo la mia, la nostra società.
Quella di oggi.
E finalmente posso vedere di quanti fili è imbrigliato il mio corpo e forse…toglierli.
E tornare a essere me stessa.