Ritengo Elsa Zambonini Durul una delle penne più interessanti di questo, apparentemente scarno, paesaggio letterario.
Scarno se lo si osserva dal punto di vista sbagliato, quello classico dei vecchi tronfi tromboni universitari, che ritengono arte soltanto Joyce e Wilde.
Intendiamoci, lo penso anche io.
Ma differentemente dai radical chic, ritengo quei capolavori le basi da cui, ogni autore, può e deve poter partire.
E, infatti, sono testi in cui l’emozione, a volte trattenuta a volte lasciata scorrere libera, adorna il messaggio quello che va lasciato ai posteri, quello che deve titillare la nostra assuefatta mente. Sperando che i posteri non siamo balordi come noi e riescano a cambiare o a voler cambiare livello di apprendimento usando anche e sopratutto, i libri.
Diciamo che io e Elsa ci speriamo e vorremmo restare favolose sognatrici.
Se nel primo testo, l’autrice, ci ha dato una bella lezione sfondando tipo caterpillar ma con i tacchi a simbolo di una indubbia eleganza, i nostri pregiudizi verso l’incubo ottomano, (una delle frasi incriminate, che aumentano il timore e la non conoscenza della storia è sicuramente “mamma li turchi”) oggi con questo nuovo capitolo, da un altra sferzata coraggiosa ai pregiudizi che adombrano la nostra fierezza di vivere in un paese civile: la persecuzione degli ebrei.
L’olocausto, insomma.
E capisco che forse è questo il tema sui cui oggi debbo concentrare i miei superstiti neuroni, (dopo essermi ubriacata di reality) perché le conseguenze di questo olocausto, orribile e terribile, hanno motivazioni e radici ben più profonde di quanto ci sembra.
Vedete, nonostante le varie giornate della memoria, i rifiuti al razzismo, i vari indignati NO, non credo che si sia davvero imparata la lezione.
Piuttosto è come se questa colpa, chiamata stereotipo, cosi pesante e cosi orripilante gravi cosi tanto sulla coscienza collettiva che l’unica strada per sollevarsi da questo peso è quello di prostrasi in un atto penitenziale.
Che però non tocca le sottili corde della nostra psiche, quella da cui da secoli si è impiantato il modello su cui, ogni razzismo, è potuto germogliare cosi bene.
E noi siamo stati li a vedere, quasi incuriositi, i frutti di quest’abominio. Perché, purtroppo, il razzismo nasce con noi, quando abbiamo prendiamo coscienza della nostra identità specifica.
E per farlo, per distinguerci come soggetti e non più come persone evanescenti, abbiamo avuto bisogno dell’altro.
Noi siamo in rapporto a ciò che è altro da noi.
E fin qui nulla di orribile.
Se non che, nella nostra identificazione, succede una strana patologia: io divento io, tu l’altro, ma in questa dicotomia non sei più specchio necessario a guardarmi, diventi un po’ l’immondezzaio dove butto tutti ciò che di me non piace.
Ecco che incubi, paure, ossessioni, finiscono in questo specchio necessario e io divengo buono e tu cattivo.
E il cattivo diviene nemico qualora serva una sorta di compattezza, quando il borgo diviene stato e lo stato deve diventare nazione.
E lo sappiamo che da nazione a agglomerato totalitario è quasi un attimo: ecco che io riunisco i miei prodi davanti al nemico.
Ed il nemico non è identificato con colui che, più come nel codice cavalleresco, infrangeva una sorta di vademecum etico ( ricordate i precetti di DragonHeart? Un cavaliere è votato al coraggio, un cavaliere conosce solo la virtù, un cavaliere sostiene i deboli, un cavaliere si scaglia contro i malvagi) ma colui che è strano, e la sua stranezza è pericolosa per la stabilità, perché la mette in discussione , la fa apparire forse, imperfetta. E quel conglomerato preciso ordinato, e quasi banale tanto da essere applicato ovunque, non va assolutamente sfaldato.
Ogni certezza in questo mondo confuso, diviene fondamentale e noi perdiamo quella flessibilità evolutiva che ci ha reso da scimmie uomini.
E il percorso si inverte: da uomini diveniamo…meno che scimmie, che comunque conservano la loro autonomia.
Diveniamo burattini.
Ecco che i diversi si susseguono in questa oscena commedia dell’arte involuta e divengono streghe, cagot, eretici, catari e infine, Ebrei.
E il curriculum delle nefandezze non si arricchisce di novità ma di accuse che, con i tempi, divengono oramai sacre e legittimate perché accettate e portate avanti dai tanti agenti del potere.
La chiesa in primis.
Meno male che papa Roncalli redime un minimo questo centro di potere riportandolo alle origini.
Ed è di questo dolore che parla Elsa, quando descrive un uomo allevato e educato a odiare il suo stresso sangue, inteso come lascito tradizionale, divenendo classificabili solo in base al suo credo.
Come se io dovessi definire voi cattolici stolti perché credete che il mondo è stato costruito in sei giorni, e che noi discendiamo da un agricoltore e da un pastore. Come se dovessi giudicarvi pericolosi cannibali solo perché credete nella transustanziazione.
Sono solo simboli direte voi.
E poi Gesù predicava l’amore.
Beh lo stesso Gesù predicatore, forse di pace e love, era nato in seno agli stessi ebrei che abbiamo accusato di deicidio.
Tralasciando che la tortura della croce era romana, che forse avremmo dovuto condannare non un popolo ma il potere che li corrompe i popoli portandoli a sacrificare, sull’altare della pecunia, i rinnovatori, mentre il popolo veniva ignorato o usato come pedine.
E oggi le pedine siamo noi.
Eppure questa fede, simile a tante altre, criticabile come la vostra, e come la vostra soggetta alle tentazioni del denaro e dell’ipocrisia, ha pagato per i nostri peccati, per quei peccati che oggi funestano altri. O noi stessi.
Per la corruzione che è il vero Satana da combattere.
Eppur,e loro si sono dovuti vergognare di credere in quel dio troppo lontano per ascoltare le suppliche, le preghiere e i cuori dei giusti finiti a evaporare da un cammino….
Elsa ci va giù pesante descrivendo il dramma, descrivendo l’odio del se.
Perché è quello che creiamo con gli stereotipi, ci rendiamo terreno in cui coltivare un odio sviscerale, insensato verso i nostri sogni, le nostre speranze, le tradizioni, i valori che una società spaventata e sperduta, non vuole vedere.
Non si può sopportare la vista della fede, quando noi stessi l’abbiamo persa e non solo con l’olocausto, ma da prima, da quando abbiamo rifiutato lo sguardo dell’altro, per la brama di terra, di vittorie, di conquista di sopraffazione.
Vorrei davvero che da questa lettura, oggi nascessero, anzi rinascessero uomini, perché di burattini, sinceramente, ne ho piene le ovaie
Brava Elsa.