Leggere il libro di Rita Scarpelli provoca un groviglio di emozioni.
E per recensirlo adeguatamente devo iniziare a sbrogliarle.
Con voi.
Sperando che la musa mi sia vicina.
Perché vedete questo testo affronta il viaggio a ritroso nel tempo, partendo dalla nostra età adulta per tornare indietro all’adolescenza, quel periodo magico in cui tutto ci sembrava possibile.
Un viaggio che ci cambia la percezione rendendoci consapevoli che cui i piccoli dolori, dati da un’amore tradito, da un desiderio mai iniziato, non sono lontanamente paragonabili alle devastazioni a cui ci tocca assistere nella cosiddetta età adulta.
Malattie, vite giunte al bivio, senza più la speranza giovanile di un domani, senza poter essere ottimiste come la O’Hara di via col vento. Perché dire ci penserò domani, quando gli anni bussano alla porta, non è facile.
Il tempo ti mostra la sua brevità crudele, ti pone di fronte a arrivi e ritardi, fallimenti e vittorie. Ed è quello che risuona nella testa durante gli incontri con ex compagni di scuola, ex amici, la comitiva di un tempo, i sogni di una vita.
E fare il confronto con cosa eri o meglio chi eri e chi adesso sei, non è semplice.
A volte fa male.
Ho visto amici rimpiangere il no detto, l’università non conclusa, il matrimonio sbagliato, il non coraggio di partire.
Il coraggio di mettere noi stessi e non la mente logica al primo posto. Il rischio di essere folli, malgiudicati e forse esclusi dalla tranquilla routine che ci deve aspettare alla soglia dei 30, dei 40 o dei 50 anni.
A quel traguardo, noi dobbiamo dimostrare di essere probi, maturi, responsabili meno concentrati su velleità inaccettabili per un mondo che ha bisogno di soldatini.
E le protagoniste, in fondo, non sono altro che innumerevoli parti di noi. C’è chi combatte il malefico demone rincorrendo un amore giovanile, fregandosene dei no e del politicamente corretto. Chi inizia a crescere e a smettere di cercare un adolescenza fatta di attimi rubati, guarda la sua famiglia e decide di ricostruirla. Che c’è decide di uscire dalle ristrettezze di un ruolo che non è stato mai suo, scegliendo finalmente scevro dai desideri del maschio alfa. E restando semplicemente se stesso con i suoi pregi, senza il ruolo costante del bel tenebroso.
C’è chi finalmente apre gli occhi, si rende conto di essere viva, prende i suoi sogni e inizia a camminare da sola, perché capisce che non è importante la meta, ma il paesaggio che si vede fuori dal finestrino, mentre prende il treno alla stazione della vita.
E se ne frega di stabilire la destinazione.
E c’è chi indaga se stessa e per la prima volta accoglie la sua voce, anche se scomoda, dissonante, dissacrante e pericolosa.
Perché ci facciamo in quattro per essere accettati dagli altri.
Ma non ci siamo ancora accettati, guardandoci allo specchio e provando compassione per quella mancanza di coraggio.
Volti che ho visto in ogni mio camminare.
Volti che in fondo fanno parte di me, perché io quei drammi forse li ho vissuti e li vivrò.
Forse è il percorso che aspetta ognuno di noi, quando osservi una vita che sgocciola piano piano, ed è troppo forte il bisogno di berla fino all’ultimo sorso. Quando decidi di vivere forte, di correre fuori dagli schemi.
Volti di chi, forse, a differenza di me e delle protagoniste del libro, non ci è mai davvero riuscito.
E allora spetta a noi dimostrare che è possibile assaporare l’esistenza, è possibile scegliere, è possibile cambiare, noi incoscienti, capaci di farci male ma di alzare la testa alla luna e mostrarle fieri ogni ferita. Perché il problema non è farsi male, ma non avere mai il coraggio di guardarsi le ferite.
E’ passato in fondo, racconta di noi.
Noi rinchiusisi nei nostri problemi, capaci solo con il contatto con l’altro di uscirne, più forti, più spavaldi, forse cinici di fronte al mondo che pensa al sacrificio come la forma più alta di amore.
No.
Stefania ci dimostra che il vero valore è la follia.
Follia di buttare una vita finta al cesso, di far vedere che i ruoli possono essere invertiti. E che chi davvero morde la vita che fugge via, se ne frega dei commenti.
E essere sanamente egoisti serve semplicemente per avere l’adrenalina capace di auto curarsi.
La figura di una donna che ha tutto, ma a cui manca il tempo, la voglia di aspettare e che ci prova a essere felice, bevendo fino in fondo il calice di ogni istante.
Bella è Roberta, cosi schiava del suo modello femminile, da non rendersi conto che per lei essere madre non è aderire alle aspettative di altri, ma un modo per far cantare davvero la sua anima.
Storie ordinarie, storie di un coraggio meraviglioso sullo sfondo di un mondo virtuale che tante volte abbiamo criticato, come uccisore di rapporti e di autenticità.
E’ vero.
Forse facebook ci permette di comunicare l’immagine che vorremmo ci appartenesse.
Forse è fatto di illusioni e di finzione.
Ma se quell’immagine che parte dal profondo di ogni essere, potesse divenire il nostro obiettivo primario, forse riusciremmo a far collimare la realtà con il sogno.
Forse potremmo raggiungere quell’immagine che ci sembra irraggiungibile.
Forse, in fondo, l’ideale a cui oggi tendiamo creandoci un account, non è diverso dalla fantasia adolescenziale, che metteva a disposizione tanti modelli lontani, diversi e difficili.
Perché stavolta il modello….siamo noi stessi.
Siamo quello che vorremmo, quello di cui in profondo abbiamo bisogno.
La donna forte indipendente, al posto di una “casalinga” frustrata. La dolcezza al posto di un cuore duro rinchiuso nel sue prigioni.
La femminilità seducente al posto di chi ha paura del suo essere donna.
La semplicità al posto di chi usa il lusso per curare le cesure dell’animo.
Forse se usassimo la possibilità del confronto, dell’incontro per chiederci cosa davvero vogliamo, potremmo raggiungere la meraviglia di queste donne in fiore, che sfidano le paure che il tempo porta con se, sfidano l’ormai è tardi.
E fioriscono proprio a cinquant’anni.
Più belle e energiche di quanto erano ragazzine innocenti.
Perché un volto pieno di rughe di vita, di ferite, di solchi lasciati dalle lacrime è bello quanto , se non più di un volto innocente ingenuo e disteso.
Grazie Rita per questo straordinario viaggio.