“Dal kitsh al neo kitsh. Nuovi scenari della comunicazione contemporanea” di Giulio Padoan, Eretica editore. A cura di Alessandra Micheli

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La prima volta che ho sentito parlare di kitsh è stato durante una piacevole passeggiata in montagna.

Una mia amica, futuro architetto, ascoltò allibita i miei allucinati progetti per la costruzione una villa da star.

Ammettendo che, il massimo dello star a me consentito, è il dado da brodo.

Rimembro che abbondai di descrizioni assurde: rubinetti in oro e diamanti, statue di putti ghignanti sparsi per casa, e una sobria vasca intarsiata di mosaici finto pompeiani.

E, ovviamente, una semplice ninfa che da una giara, avrebbe buttato acqua e sapone profumato all’orchidea.

E ovviamente tende di damasco intessute di smeraldi e oro.

Tanto per non farci mancare nulla in un opulenta e disgustosa manifestazione di potenza.

Perché in fondo, il kitsh, tradotto con cattivo gusto, non è altro che il tentativo di stabilire un confine tra i normali e coloro che hanno raggiunto le vette dell’arrivismo.

E che gridano a tutti coloro a cui si manifestano “ a poracci”.

Logicamente, il mio sogno era prettamente ironico, tendente a ironizzare su questa tendenza tipica dei nostri tempi, in cui la supremazia si trasmette non con discorsi intelligenti, intrisi di logica e grondanti cultura, ma con manifestazioni esacerbate di grandezza. E non è un caso che il nostro saggista abbia identificato una data precisa per la nascita del kitsh ossia l’ancien regime.

Il punto più alto della grandeur.

Una manifestazione di potere creata ad hoc con immagini visive e architettoniche nate con lo scopo di intimorire il suddito e persino il cortigiano, di creare una sensazione di spaesamento e di alienazione su cui impiantare una sorda venerazione verso il dominante.

Il sovrano stesso era protagonista di questa scenografia spesso assurda, ma capace di assuefare con la sua ricchezza di decori pesanti, lo spettatore attonito.

E in mezzo a una cacofonia di stili e di elementi si poteva portare talmente tanto “rumore” nella comunicazione, da rendere impossibile esprimere il libero pensiero.

Comprensibilmente, la presenza dell’eccesso, significò una riflessione acuta sulla bellezza e sul buon gusto portata avanti dai migliori filosofi.

Questo perché soltanto una corretta identificazione più che definizione del concetto, potevano acuire o controllare i fenomeni a esso connessi: quelli dell’omologazione.

E l’omologazione parte proprio dai tempi lontani, quando per acquisire i favori del sovrano e della corte, ci si adattava a leggi non scritte: la cosiddetta consuetudine. Queste crebbero durante l’ottocento, quando si ebbe un ribaltamento dei dominanti che vollero a tutti i costi divenite dominatori: la borghesia.

E così, il buon gusto tipico di una strana nobiltà, venne preso a copia e guarnito di elementi caratteristici dei tempi passati: accanto alla moralità proba del borghese “arricchito”, si manifestarono copie del cosiddetto gusto raffinato.

Opere d’arte, libri di un certo peso, custoditi in biblioteche immense, ma polverose. Erano libri da mostrare non da assorbire con la lettura, visto che i testi stessi servivano da lasciapassare per assurgere al ruolo che fu della nobiltà antica.

Mostrarli significava adempiere al ruolo di modello superficiale, chimera lontana, irraggiungibile, perfetta per le popolazione lasciate nei bassifondi.

Leggere avrebbe, invece, portato a una sorta di riflessione sullo scenario da commedia dell’arte che si stava recitando; nessuno poteva permettersi un vero ribaltamento societario:

Cambiano i suonatori

ma la musica è sempre quella

Ecco che il kitsch il cattivo gusto:

lo stracarico di orpelli”, “l’affettato”; quindi tutto ciò si profila come puro manierismo, il ridondante e il già visto, l’eccessivo o il superfluo;il cattivo gusto si rivela essere artificio estetico fine a se stesso.

Voltaire.

E quali sono i rischi di questa manifestazione di puro dominio sull’immaginario dell’altro?

Il cattivo gusto una forza inconscia, la quale però provoca all’immaginazione «una sorta di paralisi spirituale, che rende indegni e incapaci di apprezzare ciò che realmente è bello». Quindi il cattivo gusto è ancora una volta un processo falsificante, artificiale.

Pertanto:

L’immaginazione risulta bloccata e limitata a quell’immaginario temporale “precostituito”

In pratica, si intende far scendere l’arte, la cultura, dalle vette alte di quella montagna che si deve scalare per poter crescere attraverso la bellezza, e adeguarla alla portata limitante del “popolo” che non la conquista, dunque, con un processo complesso di origine cognitiva, ma la acquisisce per imitazione.

Manca, quindi, la riflessione e la scoperta di chi impegna il pensiero per arrivare alla cima del percorso in salita della conoscenza e durante quel percorso difficoltoso, cresce e si evolve.

Seguire e copiare, invece, una tendenza in modo appercettivo, ci toglie la meraviglia della ricerca e quindi toglie l’elemento crescita. Ecco che la bellezza non diviene esperienza estatica ma puro sentimento.

E sappiamo per esperienza diretta che il sentimentalismo di puro istinto diviene pericoloso e sopratutto asettico. Infatti, è un circolo chiuso, una mera esperienza corporea che non coinvolge l’intero sistema uomo e quindi, risulta ostruito senza aprirsi al nuovo. E’ un solo momento di acme e di esaltazione senza che si possa arrivare all’apprendimento di tipo tre, ossia proporre idee diverse causate dallo scontro tra conosciuto e sconosciuto.

In capitoli sempre più coinvolgenti e dotati di una notevole forza comunicativa, Padoan ci porta alla scoperta non solo dei significati etimologici del kitsch, ma anche alle conseguenze e all’impatto che esso ha sulla società moderna.

Se il cattivo gusto è nato da “lontano”, arriva a noi caricato di significati ben precisi, difficili da scardinare e si impianta su una società che delle immagini, specificamente virtuali, fa il suo focus privilegiato.

Capiamoci.

Se già l’architettura, l’arte del settecento e dell’ottocento era profondamente ipnotica, pensate all’immissione di questo concetto distorto del bello nella società odierna, improntata sull’immaginario veloce e fruibile da tutti e sulla globalizzazione di tali immagini.

Il kistch adesso è alla portata di tutti e diventa potente grazie proprio alla cacofonia di immagini al secondo, alla possibilità di farle arrivare ovunque e quindi alla possibilità di assuefare e ipnotizzare più fruitori.

Il crescente fenomeno consumistico comporta l’enfatizzazione delle altre due cause che, secondo Abraham Moles, sono all’origine del Kitsch: la fascinazione feticistica per gli oggetti e l’esasperata preminenza dei valori formali. Dal sentimento disinteressato, emblema della purezza ideale, si passa cioè all’autoreferenzialità del sentimento, al sentimentalismo.

In sostanza, il libro di Falubert Emma Bovary diviene il simbolo della nostra modernità:

La moderna Madame Bovary perfezionerebbe questo processo di “distorsione” della propria identità attraverso una presenza ossessiva sui social network legati all’immagine, quali Facebook e Instagram, ostentando il proprio interesse quasi maniacale – e feticistico – per le mode e gli oggetti del momento e pubblicando selfie e foto dei migliori capi del proprio guardaroba, cercando di emulare le attrici e le modelle famose o i consigli di life style delle riviste di moda. Paradossalmente, proprio nella rete, l’eccesso di comunicazione del mondo contemporaneo produce un cortocircuito nella comunicazione stessa e nei rapporti tra le persone, che si conoscono tramite uno schermo freddo, senza mettere in gioco i propri corpi, i propri sguardi. Così ognuno può presentarsi come vuole tranne che come se stesso.

E cosi catastrofica la situazione?

Il rifiuto del kitsch usato dai mass media e dalle tecnologica informatica va stoppato per un utopico ritorno al passato?

No.

Ed è qua che si trova la genialità del saggio di Padoan.

Dopo un analisi lucida, cruda dei di-svalori del fenomeno acutizzati appunto dall’uso smodato dei social network, il nostro autore propone un alternativa “creativa”, passare ciò dal kitsch a una sua forma evoluta, basata sull’etica della comunicazione, capace di sfruttare in modo positivo le nuove tendenze e le immagini copiate che, da semplici simulacri, divengono veri e propri archetipi rinnovati e caricati dei significati di cui oggi abbiamo bisogno.

Ed è l’archetipo più che la ripetizione insensata di modelli svuotati di contenuto, che stuzzica il pensiero e l’immaginazione, rendendo il circuito chiuso del kitsch un circuito aperto.

In sostanza, si propone il passaggio dal kitsch al neo kitsch.

In questa nuova forma comunicativa non c’è traccia del cattivo gusto usato per addomesticare le persone e le personalità.

E la differenza la fa l’etica, ossia l’uso responsabile delle immagini.

E’ questo a fare la differenza tra le due posizioni, una “primitiva” e l’altra in linea con i tempi capace non di criticare blandamente le tendenze moderne proponendo un illusorio ritorno al passato. Perché il vero comunicatore, il vero fruitore dell’evoluzione tecnologia è conscio delle potenzialità dei nuovi mezzi e delle loro positive capacità cosi come dei limiti e dei rischi che possono portare a un ribaltamento valori. Ed è qua che il comunicatore neokitsh fa un balzo qualitativo, ossia si rende conto e aziona una vera responsabilizzazione DELL’USO delle immagini.

E’ sui fini ultimi che va instaurata la riflessione, non sui mezzi.

Il fruitore di un sano neokitsh non si fa dominare dalla violenza, dall’immediatezza delle immagini, dalla nuova dimensione spazio tempo, restandone irrimediabilmente inglobato, ma le USA.

E’ quà la differenza che ho spesso auspicato.

Non è internet il malvagio demone.

E’ la nostra complice acquiescenza a essere dormienti esecutori della volontà del web.

Non solo le immagini postate con forza come per esistere, è la motivazione del postare le immagini, non solo come strumenti della dimostrazione che io ci sono, penso quindi esisto, ma la volontà di comunicare qualcosa con la suddetta, un principio, un valore, una motivazione.

Tramite una foto scattata, ad esempio, in un museo, io posso stimolare l’altro, il beneficiario immediato, alla riflessione.

Tramite la mia decodificazione (ed è un atto di estrema creatività) di un immagine, di un fenomeno, di un libro, io propongo il vitale patto interpretativo tra me e l’altro.

Così nessuno diviene un assonnato contenitori di immagini senza senso, veloci immediate e ipnotizzanti, io divengo il protagonista attivo capace di dominare il wide world.

La meraviglia di questo saggio è nella sua capacità di porre una critica costruttiva al nostro sistema, partendo proprio da uno dei nostri assunti culturali, ma proponendo anche e sopratutto, una nuova costruzione, senza immaginare scenari distopici a ogni costo. Ecco che la nuova comunicazione ha bisogno di un esperto concreto, creativo, capace di cavalcare i tempi e collaborare con essi in un reciproco scambio di energie.

Non più dominarli, ma proporre una diversa dimensione della società: una che è capace di dialogare persino con le nuove tecnologie, avanzare alternative valide e mettere in primo piano non la vendita, l’influenza, ma la creazione di nuovi assunti culturali.

Una capacità di apprendere ad apprendere.

Quello che da sempre Gregory Bateson aveva proposto come terza via.

i creatori di Neokitsch risultano invece, a tutti gli effetti, dei creativi; è chiaro allora che il nuovo comunicatore è in grado di sfruttare al meglio anche il Kitsch, trasformandolo, da copia autoreferenziale a comunicazione innovativa e creativa….Grazie all’etica, al rispetto dell’alterità e alla relazione di luogo e di tempo, è possibile attivare l’empatia nei confronti dell’altro geografico. In questo modo, sfruttando eticamente – oltre all’immaginario collettivo di quel presente – anche l’immaginario dell’altro geografico, il nuovo comunicatore riesce a catturarne all’istante l’attenzione, attraverso l’emozione; riesce quindi a stimolarlo verso nuove suggestioni, giungendo a indurre in lui anche la riflessione. In sostanza il nuovo comunicatore è in grado di produrre una comunicazione che colpisce contemporaneamente lo sguardo e il pensiero.

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