Luna non mostri solamente la tua parte migliore
Stai benissimo da sola sai cos’è l’amore
E credi solo nelle stelle
Mangi troppe caramelle, Luna
Luna ti ho vista dappertutto anche in fondo al mare
Ma io lo so che dopo un po’ ti stanchi di girare
Restiamo insieme questa notte
Mi hai detto no per troppe volte, Luna
E guardo il mondo da un oblò
Mi annoio un po’
Se sono triste mi travesto
Come Pierrot
Poi salgo sopra i tetti e grido
Al vento
Guarda che anch’io ho fatto a pugni con Dio
Ho mille libri sotto il letto
Non leggo più
Ho mille sogni in un cassetto
Non lo apro più
Parlo da solo e mi confondo
E penso
Che in fondo sì sto bene così
Luna
Luna tu parli solamente a chi è innamorato
Chissà quante canzoni ti hanno già dedicato
Ma io non sono come gli altri
Per te ho progetti più importanti, Luna
Luna non essere arrabbiata dai non fare la scema
Il mondo è piccolo se visto da un’altalena
Sei troppo bella per sbagliare
Solo tu mi sai capire, Luna
E’ inutile.
Durante la lettura del libro di Camillo questa canzone, apparentemente sciocca, non lasciava la mia mente.
Accompagnava i discorsi squinternati di un vecchio anziano, che preso dalla brama o dall’ossessione di raccontare, si lasciava invadere dai ricordi
E questi, spesso, non seguivano una linea logica e temporale, ma una sorta di ordine superiore, quello che appartiene, in fondo, all’ordine cosmico.
Fatti e avventure immerse nel mistero e nella tradizione occulta, eventi che si intrecciavano alle leggende.
E una sola protagonista assoluta: lei la luna.
L’ultima luna, quella che tentiamo di stringere in un abbraccio infinito, anche se sappiamo che, in fondo non è mai l’ultima, ma tornerà sempre incantando i nostri cieli.
La luna segue il nostro io più profondo, le sue evoluzioni e la sua lotta costante contro l’omologazione.
E il quartiere descritto da Camillo è l’ultimo baluardo contro la pazzia di questi tempi stonati, troppo presi dall’intellettuale affanno alla ricerca di risposte.
E chiamiamo in causa la scienza, la storia, la ragione, la volontà di non essere muti davanti alle leggende, cercare di svelarle e di riportare tutto al nostro ordine.
Ma vedete, il libro di Carrea dimostra e persegue una sola grande verità: non possiamo più restare fermi a vedere come la creatività venga imbrigliata dalla razionalità.
Non possiamo vergognarci di appartenere a un quartiere che fa del mistero il suo padrone.
Non possiamo cedere sotto le pressioni di un male travestito da prete, o da libertador.
Non possiamo lasciare i nostri valori, la vera ribellione in mano ai finti rivoluzionari e ai finti poeti.
Quelli veri, quelli che mettono l’anima dentro ogni parola, e ogni gesto, si incantano di fronte al vero volto di una luna eterea e sempre presente. Ed ecco che un murales, una maledizione/benedizione abbraccia i suoi discepoli.
Un volto di donna quasi incantato, avvolto dalla luce bianca, cosi luminosa e al tempo stesso evanescente, il volto di una Dea che regala non solo conoscenza ma il senso profondo di un legame che sfida il perbenismo.
Il quartiere descritto in questo libro è l’ultima fortezza del sogno.
Di quella volontà di trovare in ogni evento, persino in una medicina, un eterno miracolo distruggendo una volta per tutte la complicità con quel mondo senza poesia.
E cosi lo Gliostro con quella sua autentica volontà ribelle, si erge fiero contro il mondo che cede alla lusinga del perbenismo.
Ci sono querce come sentinelle di un sapere antico.
Ci sono donne che per conservare la loro alterità, la loro volontà di essere Dea rinunciando all’effimero passare del tempo, ai loro doveri sociali, divenendo squarci di luce lunare.
Finché quella Dea bianca in un susseguirsi di musica celestiale non le richiamerà a se.
E cosi nel libro di Carrea ogni femmina rinuncia al suo status di genere e diviene parte di una apparente banale satellite, che brilla coraggioso sul mondo che cambia.
Che esalta quel serpente tanto odiato dai pavidi, che lo ritiengono simbolo non solo di rinascita, di guarigione ma anche di una sana rivolta contro una divinità gelosa e rigida.
Una divinità che tenta di dividere la solidarietà di un paese che vuole restare un eccezione.
Fregandosene dei commenti sussurrati, delle chiacchiere da bar, dagli epiteti delle mente limitate.
Lo Gliostro è un concentrato di sogni e poesie.
Di tradizioni e di innovazione.
E’ il custode di un sapere antico che fa della luna il suo guardiano, la sua musa, la sua guida.
E il vecchio centenario continua a tenere vivo quel luogo simbolo della vera anima umana: quella che cerca, quella che si meraviglia, quella che ama e continua a stupirsi e a ascoltare quella musica ultraterrene ogni volta che essa si riveste di nuovo.
Lo Gliostro, baluardo contro una modernità senza rispetto, contro la vera pazzia, quella che riduce sogni e visioni a mere sciocchezza degne dei matti.
Si siamo matti, fieri di esserlo.
Dormiamo sulle lapidi di un cimitero che non è spaventoso, ma custode di memorie.
Che è luogo di riposo e di continuità con il passato.
Chi ama l’ultima luna, diventerà straniero in terra, quello cantato dal bravissimo Georges Moustaki:
Con questa faccia da straniero
sono soltanto un uomo vero
anche se a voi non sembrerà.
Ho gli occhi chiari come il mare
capaci solo di sognare
mentre ormai non sogno più.
Metà pirata metà artista
un vagabondo un musicista
che ruba quasi quanto dà
con questa bocca che berrà
a ogni fontana che vedrà
e forse mai si fermerà.
Con questa faccia da straniero
ho attraversato la mia vita senza sapere dove andar
e’ stato il sole dell’estate e mille donne innamorate
a maturare la mia età.
Ho fatto male a viso aperto
e qualche volta ho anche sofferto
senza però piangere mai
e la mia anima si sa in purgatorio finirà
Forse non ci meritiamo il vostro paradiso.
Siamo imperfetti.
Sbagliamo, amiamo erriamo, proprio perché viviamo.
Ma siamo fieri di essere cittadini dello Gliostro.
Contro di voi, contro il conformismo che destruttura la nostra anima.
Contro l’aridità di chi quelle illusioni non le ha mai bevute fino in fondo.
Lasciatevi guidare dalla Dea luna.
Note
Georges Moustaki è cantante, greco di nascita e francese di adozione,morto il 16 dicembre 2018 a 77 anni. Soffriva da tempo di problemi respiratori che gli impedivano di cantare. Nato ad Alessandria d’Egitto il 3 maggio 1936 – il suo vero nome era Giuseppe Mustacchi; lo aveva mutuato nel nome d’arte con cui è conosciuto in omaggio a Georges Brassens, conosciuto a Parigi negli anni Cinquanta – aveva scritto tante canzoni popolari, tra le quali la celebre Milord, uno dei successi della divina Edith Piaf. In Italia lo si ricorda soprattutto per la sua interpretazione di Lo straniero.
Riposa in pace Straniero.