I silenzi fanno paura.
Perché è quel vuoto che contengono in grado di moltiplicare le voci. Eppure è nel silenzio che noi ci formiamo, nel silenzio che riconosciamo le forme dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.
Il silenzio non è privo di rumori, è più che altro una dimensione interiore dove la cacofonia assordante della società e della nostra vita si acquieta per prendere altre sembianze, più intime e personali.
Ecco perché la paura, paura di noi stessi di ciò che si troverà all’interno di quel territorio sconosciuto chiamato anima.
E nella ricerca disperata quasi ossessiva di un senso, Debora colora i suoi silenzi di mille sfumatura.
Dal dolore, dalla solitudine e infine con l’amore, quello che divine più che altro una tensione verso un ideale, quella spinta per osservare in modo più acuto tutto ciò che ci circonda.
La poesia di Debora è molto lirica, elegante e con una classe indubbia, ma contiene quella semplicità che parte dalla sofferenza quel dolore da cui tutti rifuggiamo ed è in esso che la donna si ritrova e riesce a dare quel senso tanto agognato.
Ed è proprio
Quando adagi
lo sguardo
in certi silenzi,
cerco,
gelosa di quella distanza,
allora riusciamo a ritrovate:
uno spiraglio arioso,
un varco luminoso,
nella solitudine
momentanea della tua mente.
Una ricerca, dunque, tra il simbolismo del ricordo, che racchiude il segreto del tempo che passa
Forse
vaga triste
tra il peso dei ricordi,
fuliggine amara
d’un vissuto
rinnegato dal cuore.
Ed è la poesia catartica che come un balsamo cura ogni ferita prodotta da quel cozzare dell’anima sensibile contro lo scoglio della vita e Debora è come l’albatros di Baudelaire, che tenta disperata di elevarsi al di sopra di quel mondo che è troppo stretto per quella mente capace di viaggiare tra i vicoli del nostro io, illuminandoli con la luce della scrittura:
Quasi prepotente,
ma delicata inonda
oltre i vetri
l’intimità
della mia stanza,
del rifugio pudico
dei miei pensieri,
riduce le ombre,
staglia i contorni,
evidenzia gli angoli nascosti,
ammorbidisce gli interstizi.
Acceca, calda,
i silenzi,
irruente
li colma di ricordi
di quell’amore,
con cui mi rapirono
i tuoi occhi, assetati di dolcezza, scavandomi nel fondo,
fino
a toccarmi l’anima.
I silenzi li combatte con il ritmo, i versi, le immagini idilliache e anche quelle colorate di disperazione
Paiono inanimati,
freddi,
eppure strano
è il
dolore insito,
che li appesantisce.
Umide di pianto
le stoffe d’abiti
indossati per amori
sotterrati in fondo a bauli
mai del tutto
chiusi da una parte del cuore.
Li combatte la speranza, quella usata per comprimere le cesura che la nostra anima si procura nel suo vagare:
Ho tentato
certosina di pazienza,
comprimendo dignità,
di riattaccarli
in modo perfetto,
nascondendo
lacrime e crepe
Consapevole costantemente che forse sono proprio quelle ferite, quelle crepe a donargli il segreto della parola:
Così roteano
frammenti d’esperienze,
quasi schegge impazzite,
tappeto di vetri rotti
su cui adagiare il cuore,
freni invisibili,
quanto invalicabili del vivere.
Debora danza con le sue emozioni.
Non le nega non le rifugge ci si immerge e ne vesce Dea bellissima oscura quasi rinvigorita, come se le bevesse fino in fondo.
Ed è in quel mare burrascoso chiamato poesie che la poetessa si sente libera
Respirare il
mare
dona respiro all’interiorità.
È un diapason
delle emozioni,
che rallenta affanni,
modulando pensieri
e calmando battiti
il suono ondoso
dalla delicata cadenza.
Sotto un primaverile
cielo terso
di luminoso celeste
accarezza lieve
l’anima
quell’immensità incommensurabile, di cui mai paga
è la vista.
Sono suoni che sgorgano a irrorare I campi spesso troppo inariditi di una sensibilità troppo assuefatta all’immediato, all’apparenza.
Alla volontà di esistere.
Debora è quasi soffusa e al tempo stesso corporea, fa del verso la sua arma e il suo regalo a noi che sedotto la leggiamo cercando di imprimere ogni parola dentro il nostro cuore, perché ogni verso parla davvero di noi.
Catarsi
nello scrivere,
ricerca infinita
di se stessi,
divenire d’attimi,
evoluzioni infinitesimali,
per fermare il tempo
in fotogrammi
meno sfocati.
Utopia inguaribile
il tentare
d’essere capiti
o addirittura amati,
oltre
le sembianze lucide
dell’apparenza.