Review party: “:La seduzione del male” di James Patterson, Longanesi editore. A cura di Alessandra Micheli

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Ho sempre conosciuto Patterson come un grande autore di thriller.

Spaventosi e elettrizzanti, ricchi di adrenalina e di colpi di scena, hanno davvero la capacità di far avere la pelle d’oca, come del resto, ci fa intendere il significato della parola stessa: thriller, da to thrill rabbrividire.

Qua, invece, ho trovato un Patterson diverso che mi ha spiazzata.

Perché tramite l’escamotage impersonato dal genere, è mostrato con forza e coraggio il vero volto del male.

E il male non è rappresentato da un cornuto dio blasfemo.

Non è un istinto o un impulso indomabile.

Il male è una malattia, e come ogni malattia può contagiare l’intero corpo sociale.

Ogni scena descritta, ha la forza evocativa ma al tempo stresso la capacità di individuare e inchiodare l’orrore, quasi congelandolo in un istante eterno, in modo da farcelo osservare.

La violenza regna sovrana ma, sopratutto, è capace di propagarsi come una macchia di olio, che se non pulita si propaga insozzando tutto ciò che incontra.

Terrorismo, volontà di sentirsi potenti, invincibili, intelligenti, in modo da sfidare un autorità in cui non ci si riconosce, questa strana volontà di sentirsi divinità, trova la sua voce proprio in un’apparente noir che si dipana tra il canone della classica detective stories e il legal thriller.

Vedete il terrorismo qua è mostrato in tutta la sua carica distruttiva, come un’abile scusa per devastare, radere al suolo ogni ordine, che sia sociale o che sia politico.

E chi smantella è perché non si sente parte del tutto, non si sente accolto, accettato, compreso.

Si sente diverso.

E il diverso uccide per acquisire una sua importanza, negata dallo status quo, dalla classica concezione binomia tra normale e deviante. Perché senza la capacità di manipolare la vita altrui, senza armi o veleni passa invisibile nelle strade, si confonde con gli esclusi e gli emarginati.

Patterson giustifica?

Assolutamente no.

Ma si rende perfettamente conto che il male è un cancro che se non è estirpato, se non è curato si propaga diffondendo metastasi.

E non è cosi banale il concetto che violenza chiama violenza.

Basta persino una giuria e un verdetto per trasformare il dolore in brutalità.

Ed è cosi da troppo tempo oramai.

E’ una situazione cosi esplosiva piena di giustificazioni e di palliativi da risultare altamente pericolosa.

Siamo tutti complici?

Io credo di si.

La seduzione del male è oggi più che mai presente e può tentarci perché è mascherata da giustizia, da rivendicazione, da volontà ribelle di cambiare il mondo.

Il mondo non si cambia con le bombe.

Con gli omicidi, con il terrorismo, con la ferocia, con gli estremismi.

Ma con le parole, con gli esempi, con modelli sani.

Non si cambia con i fucili, né con le deliranti idee di potenza.

Ogni terrorismo, ogni nucleo politico che si pone come libertador non è altro che una valvola di sfogo di frustrazioni dovuta all’alienazione moderna.

Sentirsi estranei nella comunità, non riconoscersi, vivere nell’indeterminatezza del dissenso, senza che a esso si accompagni mai e sottolineo mai la ricostruzione.

Il male è nell’urlare sempre e solo no, ma mai ripartire da quel no, faticando sotto il sole e ricostruire con malta e sudore, una città nuova. Un identità nuova, un mondo nuovo.

Patterson con la seduzione del male ci mette in guardia.

Non è soltanto un thriller ma un je d’accuse.

E vorrei tanto che dalla lettura, da quel grondare dolore e amarezza, qualcuno decida di accostare al suo dissenso, almeno una rinascita. Perché sento soltanto urlare, divergere, accusare, protestare.

Ma mai e sottolineo mai, trovare qualcuno che decide di rimboccarsi le mani e ricominciare.

Ricominciare.

Che parola splendida.

Facciamola per favore tornare a esistere.

Facciamola diventare azione e movimento.

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