Personalmente trovo alquanto riduttivo e incompleto rendere pubbliche le mie personali opinioni su un libro se questo è spezzato in tre volumi, pratica assai diffusa – e che io trovo alquanto fastidiosa – nel comparto fantasy. A molti piace la suddivisione in più volumi, agli editori torna di certo comodo. De gustibus non disputandum est, come ha detto Giulio Cesare.
Non ne è escluso il “Ciclo della Rinascita” di Francesco Leo, una trilogia fantasy che qui valuto nel suo complesso e non nel singolo libro. A titolo informativo, questa saga è composta da tre volumi: Viktor, Nithràl ed Ethèrnal.
Nel complesso la saga si è rivelata completa di tutto: noia, ironia, azione, sentimenti, ritmo serrato. A fermarsi al primo volume le sensazioni che essa suscita alla presentazione del protagonista, Viktor, è quella di trovarsi davanti a un 42 fatto e finito e l’istinto urla forte in testa di cestinare tutto in un nientesimo di secondo. Trovarsi difronte a siffatta perfezione di banali cliché fantasy può dare adito a reazioni mosse da propulsione d’improbabilità.
Quando però si arriva al culmine del secondo volume, toni, stilemi e cliché decadono, trovando la loro strada, ricordando in questo l’esercizio di scrittura di “Aspettando Forrester”, quasi che buona parte del primo libro rappresenti l’incipit da copiare per dare il la all’estro dell’autore affinché nel resto del testo sia solo suo il materiale di costruzione della storia.
E che storia.
L’apice è raggiunto senza dubbio al termine del secondo volume, nello scontro tra l’eletto, Viktor, e colui che rappresenta la sua nemesi, Edgar. Una chiusa di capitolo magistrale, che sferza gli animi, lasciando basiti e facendo sorridere consci che non è finita qui.
Il terzo volume diventa quindi oltre che conclusione forziere di tutte le aspettative del lettore, dandogli credito e stupendo ancora, il cambio di registro è notevole e la noia un brutto e lontano ricordo, la volontà di proseguire la storia barlume di riconoscenza per non aver perso un insieme che pur iniziando con lentezza e fin troppo ricco di improbabilità propulsiva all’azione e al dipanarsi degli eventi, trova un epilogo degno di uno scontro con un dio.
Dietro una copertina di un libro c’è sempre molto di più di quanto si immagini, e nel seguire il percorso di crescita di Viktor è come scalare una montagna: all’inizio si fatica, non si è abituati al movimento, a camminare tanto vedendo così pochi risultati, ma via via che si sale si acquista il ritmo giusto, più si prosegue e più si vede quanta strada è stata fatta, meno ci si affatica. Leggere questa trilogia è stata la mia personale scalata ai monti Jerral, arrivare al monastero la mia vetta raggiunta sulle ali delle aquile.
Lo stesso inerpicarsi lo si evince dallo stile dell’autore che da lento e prolisso, spesso in maniera inutile nel dilungarsi su descrizioni che lasciano il tempo che trovano, man mano che la storia si sviluppa si lascia prendere la mano dal ritmo delle azioni, delle scene e coinvolge il lettore. Non un talento innato, ma frutto del lavoro costante, del camminare sempre verso la vetta anche quando i muscoli delle gambe urlano e il fiato è così corto da rantolare. Leo ha trovato la sua giusta dimensione nel secondo volume, dando egregia prova letteraria nel terzo, non solo per la capacità descrittiva ridotta all’osso senza nulla togliere alla capacità evocativa delle parole a mostrare l’ambiente in cui ci si muove, ma anche per la capacità immaginifica di mostrare al lettore il mondo che lui ha in testa.
Il ritmo serrato degli eventi del terzo libro è la chiave di volta, il raggiungimento della vetta stilistica e dell’originalità che spinge con la potenza di un fiume in piena a volerne sapere di più.
Ma non è tutto rose e fiori, l’insieme di banali cliché fantasy iniziali è troppo grande per essere gestito al meglio, taluni comportamenti dei personaggi risultano fin troppo comandati, in special modo il protagonista non è se stesso, ma il fantoccio della voce narrante che fa ciò che gli viene detto di fare, il tutto rende quindi l’inizio pesante, legnoso, ben poco credibile. In un contesto di tal fatta, lento nelle stesse banalità propinate da qualunque fantasy che voglia tentare di ripercorrere i sentieri tolkeniani del viaggio dell’eroe, anche tutto il resto salta all’occhio del lettore, quali errori grammaticali più o meno gravi e refusi di varia natura. L’utilizzo degli accenti a caso su qualunque nome per dare ancora più senso di “esotico e fantastico” esaspera il senso di fastidio. Questo purtroppo ha la conseguenza che tali errori e refusi vengano notati anche nei libri successivi, per quanto molto più coinvolgenti, capaci di spezzare la catena di anaffettività suscitata dal primo volume, abbassandone non solo il pregio qualitativo, ma anche il legame sul filo del rasoio della sospensione dell’incredulità. Incredulità che segue ogni passo dell’eroe, Viktor e che riecheggia a ogni nuova scoperta sensazionale, ogni nuovo colpo di scena porta sempre più in alto e non delude, in quanto un predestinato a combattere un dio oscuro e corrotto non può essere e rimanere un semplice umano. Nel complesso una buona saga, ma che avrebbe potuto dare molto di più con una maggiore cura editoriale volta a un maggior adeguamento di stile del primo volume agli altri due.