“All’ombra di un albero spoglio” di Virginia Montanelli  Eretica edizioni. A cura di Lady of Shalot.

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Amore: parola più usata e abusata credo non vi sia. Da sempre considerato il motore della vita, permea la letteratura mondiale fin dagli albori.

Amore eterno, indissolubile, etereo, spirituale, carnale e passionale, osannato e disprezzato, condannato, esiliato, consumato, vissuto.

E potrei aggiungere ancora ogni sorta di qualità, sicura di non sbagliare.

Chi , infatti, almeno una volta nella vita non ha provato le palpitazioni o le farfalle nello stomaco?

Chi non ha mai pensato che l’Amore non sia eterno? Che debba esistere un “per sempre felici e contenti”?

Eppure, nel nostro immaginario collettivo, le storie d’amore che sono rimaste più impresse sono quelle travagliate o tragiche.

Un esempio lampante, è quello dell’infausto amore tra Giulietta e Romeo. Un amore talmente intenso e travolgente da infischiarsene persino delle rivalità tra casati. E anche se alla fine gli sfortunati amanti moriranno, il loro amore non finirà con loro.

La morte è quesi un deus ex machina che “risolve ” il problema degli sfortunati amanti. Non vivranno più nel nostro universo materiale, ma la loro storia non si esaurirà sulla Terra. Il loro amore vivrà per sempre e la morte sarà solo una cornice e uno sfondo.

Più indietro nel tempo, troviamo “l’amor cortese” la cui massima espressione l’abbiamo nel “DOLCE STIL NOVO” e nella “SCUOLA SICILIANA” fondata da Federico II di Svevia.

Si esalta l’amore impossibile, quello fra una dama e il suo cavaliere. Una dama che appartiene ad un altro uomo, ma il cui destino si legherà in maniera indissolubile al fato di un cavaliere, diverso dal marito.

Questo è il caso che ci presenta Dante Alighieri attraverso le immortali figure di Paolo e Francesca, i quali si innamorano a causa di un libro che in qualche modo riflette la loro stessa situazione. L’amore impossibile tra Lancillotto e Ginevra.

Più tardi nel tempo, questa consuetudine verrà esaltata anche dal Boccaccio nel Decameron.

Ma cosa effettivamente conosciamo dell’amore?

Sappiamo per esperienza, diretta o indiretta, che esso ha bisogno , per essere sempre eternamente fresco come il pane appena sfornato, di tre condizioni:

Fiducia

Rispetto

Passione.

Quando una di queste tre cose decade l’Amore dapprima si annichilisce perchè il cuore è bravo a mentire poi, se non si trova un equilibrio, inevitabilmente muore.

Forse una sorta di ricetta si intravede nella tragedia di Alcesti, dove la giovane sposa del re Admeto, si sacrifica morendo al posto del marito. Splendido esempio di agape.

In definitiva, solo quando l’amore supera il confine dell’eros, della filia e si tramuta in agape, quindi è pronta al sacrificio anche massimo, merita l’appellativo di vero amore?

Io credo che il perfetto equilibrio tra le tre forme di amore

Eros: tu < di me,

Filia : tu=me

Agape: tu> me

costituiscano il rapporto ideale. Se c’è complicità (Filia) sacrifico (agape ) e desiderio (eros) il rapporto funziona alla perfezione, ma il rischio è quello dell’appiattimento e della morte stessa dell’amore. La vita è caos o come sostiene la fisica “entropia”. Si è vivi perché ci si muove, quando si arriva all’equilibrio , un sistema è morto.

Se idealmente le tre forme d’amore dovrebbero avere la stessa importanza, nella vita reale cambiare la concentrazione degli elementi genera vivacità, sempre che si torni poi alla formula ideale. Un rapporto di eccessiva complicità a scapito dell’eros può generare un rapporto di amicizia, che nel caso di moglie e marito non è auspicabile. Dove a predominare è solo l’eros, o ci si stanca presto o si degenera verso la gelosia. L’agape è importante, ma solo quello finisce per destabilizzare la coppia perché crea martiri.

L’ideale è tenere d’occhio l’equilibrio perfetto sapendo spostare l’ago della bilancia di volta in volta secondo le occasioni.

E come ci ricorda la nostra Virginia siamo là con

Brandelli di cuore

Lungo la salita sterrata

Io che cerco di alzarmi a raccoglierli

E le gambe che tremano

Disappunto e compassione:

Tutti mi guardano

Anche se preferiamo il lieto fine, anzi ne abbiamo un disperato bisogno, quello che più resta nel nostro immaginario è invece la tragedia. Forse perché in fin dei conti più che l’amore il desiderio è ciò che conta. Più del mero piacere carnale è l’attesa ad essere bramata.

Vorremmo poter dire insieme a Montale

“Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale e ora che non ci sei più è il vuoto a ogni gradino . Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio”

struggendoci per la perdita non voluta della persona amata e invece ci accorgiamo di guardare l’oggetto -soggetto del nostro amore, passione follia e scoprire di abbracciare un estraneo

Ma non eri neanche più tu.

Eri

Loro.

E ancora lo sei.

Mi chiedo

Se te ne accorgerai prima o poi.

Ti hanno contaminato

Amore,

Diventasti adulto in una notte

E mi lasciasti lì

Orfana

A crescere

Ci si rende conto a un tratto che l’amore può non essere eterno e questo ci uccide più della morte stessa.

La fine di un amore cosa induce?

Pazzia, depressione, morte.

Leggendo parole come queste:

La nostra casa si allagò al tuo ritorno

Forse era un segno

Forse l’allagai io

Perché non ci tornassi con nessuno .

In pochi giorni era distrutta

Come lo eravamo noi.

Ci si rende conto della potenza distruttiva che la fine di un rapporto può determinare nell’altro, quello che rimane a guardare i propri sogni infrangersi.

E osservando la realtà che ci circonda non posso fare a meno di pensare che non esista una terza via. Che la fine di un amore porti inevitabilmente a una distruzione: di sé o del soggetto amato. Quasi un prolungamento sfortunato della storia di Paolo e Francesca. I due amanti sorpresi e giustiziati.

Persone che non si rassegnano alla fine della loro storia e che trovano la conclusione nell’unica via che nessuno può loro sottrarre: la morte, coltivando l’insano desiderio che solo così potranno evitare la parola fine.

 Forse avrei dovuto lasciare quel

Piacere”

Un piacere vano,

Privo di ogni interesse;

Uno di quelli che ripeti cordialmente come routine Quando ti presentano qualcuno, che aleggia nell’aria Mano nella mano ad un finto sorriso,

Sforzato,

Che pronunci con la testa altrove.

Maledetto il giorno in cui il mio “piacere” fu vero perché Quella mano avrei voluto stringerla per tutta la vita.

Maledetti i tuoi occhi in cui mi hai insegnato a nuotare e poi Mi hai affogato senza pietà.

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