Quando viene Maggio i mille paesi d’Italia si animano di palpiti e di fremiti antichi.
Stornellatori, sbandieratori, cavalieri e dame riprendono vita da un passato glorioso che affonda le sue radici nelle leggende e nei miti del Medioevo. Dal Piemonte alla Sicilia i popoli italici corrono, pregano, sudano e si battono con generosità e coraggio per onorare un santo o per ricordare battaglie vittoriose.
In un angolo dell’Umbria, quasi al confine con le Marche, lontano dalle grandi arterie che attraversano l’Italia da nord a sud, si trova il Comune di Gubbio, l’antico Ikuvium.
Gubbio città-stato, antica più di Roma, fu un centro d’importanza sacrale nella quale, una volta l’anno, confluivano genti provenienti da ogni villaggio dell’antica Umbria (che allora comprendeva anche parte del Lazio, l’Umbria attuale e le Marche) per la celebrazione dei riti attinenti alla primavera.
In questa ridente cittadina in provincia di Perugia, adagiata sulle falde del Monte Ingino, da qualche anno è tutto un andirivieni di camions pieni d’apparecchiature tecnologiche, di pulmans d’attori e di tecnici, di truccatori e di sceneggiatori…insomma c’è la RAI. Chi non ha visto la serie di “Don Matteo” (con Terence Hill e Nino Frassica e Flavio Insinna) non ha mai visto nulla di Gubbio.
I suoi vicoli stretti, le mura imponenti, il Palazzo dei Consoli già vecchio di settant’anni quando Arnolfo di Cambio poneva mano alla costruzione di Palazzo Vecchio a Firenze, ci fanno entrare nella storia.
Qui nacque, in una malandata torre che ancora svetta verso il cielo, quel Gabrielli che, da Podestà, esiliò per sempre da Firenze il Sommo Poeta Dante Alighieri.
Nel Palazzo Ducale, posto a mezza costa, ebbe i natali il famoso Federico, Duca di Montefeltro, che tanta parte ebbe nella storia del Rinascimento d’Italia.
Nella piana, si erge l’imponente Teatro Romano d’epoca imperiale (I secolo d. C.)
A Gubbio ogni anno in primavera, si tiene la “Corsa dei Ceri” in onore del Vescovo Ubaldo Baldassini (1085 – 1160) santo e patrono della città.
La manifestazione non è una ricostruzione storica ma un vero e proprio sentito omaggio del popolo verso il santo.
La festa si tiene, senza interruzione, dal XII secolo. Pensate che durante le due guerre mondiali, in mancanza degli uomini, tutti al fronte, la Corsa fu condotta egregiamente solo dalle donne.
Questa si svolge ogni 15 maggio, vigilia della morte di Sant’Ubaldo e non è, come potrebbe sembrare, una corsa per vincere; è una processione votiva, fatta un po’ di fretta, correndo, perché gli Eugubini sono tutti un po’ matti.
Un detto popolare, infatti, riferisce che: “Se n’enno matti, n’ce li volemo!” (1)
E’ una festa di tutti, giovani e anziani, che contribuiscono a portare sulle spalle gli alti “Ceri” di legno, pesanti ciascuno circa 280 chili.
Sono tre colossali macchine formate da due prismi ottagonali di legno appuntiti alle estremità. Il termine “Ceri” pare sia derivato dall’offerta votiva di cera al Patrono, come accade per molte altre tradizioni italiane. Queste sono “incavicchiati”, in pratica sono conficcati al centro di una tavola, detta “barella” cui stanno fissate delle antenne trasversali a mo’ di un’acca maiuscola, che sono poggiate sulle spalle dei “ceraioli” che le trasportano.
In cima a ogni Cero sta incastrata una piccola statua in ceramica vestita con indumenti di stoffa, che raffigura rispettivamente Sant’Ubaldo protettore dei muratori, degli scalpellini e della città intera; San Giorgio a cavallo, guerriero romano, protettore degli artigiani e dei commercianti e Sant’Antonio Abate, protettore dei contadini e dei religiosi, che porta in una mano il fuoco della fede.
I Ceri portati a spalla da uomini forti, quasi invasati da umano e sacro furore, corrono sempre nello stesso ordine come in un volo agile e potente per le ampie strade e le piazze, per discese paurose e vicoli strettissimi.
Escono dalle mura urbiche e salgono sulla cima del Monte Ingino che sovrasta la città, attraverso un erto sentiero sbrecciato, detto ironicamente “il buchetto”, fino al Santuario di Sant’Ubaldo, dove infine sono riposti nell’attesa della corsa dell’anno successivo.
Perfino Dante Alighieri fu affascinato da questo misterioso evento e nella Divina Commedia dedicò alcuni versi al monte e al santo:
“Intra Tupino e l’acqua che discende,
del colle eletto dal Beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo,
da porta Sole e diretro le piange
per greve giogo Nòcera con Gualdo…” (2)
La corsa, per chi la vede, pare una misteriosa festa orgiastica con i ceraioli vestiti di camicie colorate secondo l’appartenenza al proprio santo: gialle per S.Ubaldo che porta la mantellina dorata dei vescovi, blu per S. Giorgio che indossa il mantello azzurro dei soldati romani sopra la corazza; nere dal saio corvino di S. Antonio Abate, detto anche del Porcellino.
Sulla camicia, la gente veste pantaloni bianchissimi con in vita fusciacche rosse; al collo un fazzoletto, con i colori del proprio Santo, annodato a un mazzolino di fiori di campo, in ricordo dei Ceraioli defunti.
Al mattino, Piazza Grande dinanzi al Palazzo dei Consoli è tutto un tripudio di colori. Tra mille teste svettano i Ceri che, dopo aver fatto tre giri in piazza, caracollano a velocità frenetica per la città.
Verso le diciotto, inizia la Corsa vera e propria. I ceraioli corrono per la città per poi raggiungere la Basilica di Sant’Ubaldo, in cima al monte Ingino.
Dieci ceraioli entrano ed escono, alternativamente, da sotto le “barelle” per darsi il cambio nell’immane fatica. Sono le “mute” per le quali ogni eugubino è fiero di fare parte.
Pare che la vera origine della festa si perda nelle oscure e gaudenti manifestazioni pagane in onore delle numerose divinità, tra cui la più importante era Giove Grabovio (3), attestate dalle sette Tavole Eugubine, antichi reperti in bronzo che furono scoperti nel 1444 sepolti in un campo e che riportano, in lingua umbra e in latino, la descrizione di ceromonie antichissime.
I romani prima e i cristiani poi, indirizzarono verso le rispettive fedi l’orgiastica corsa, dandole nuovi stimoli per rinnovarsi. Prima Giove, poi Sant’Ubaldo.
Gli Eugubini felici corrono e faticano ogni anno da secoli, ebbri di entusiasmo e di fede, dando vita a uno spettacolo veramente unico e fantastico.
Note
(1) Cioè: “Se non sono matti, non ce li vogliamo!”
(2) Paradiso, Canto XI, versi 44-48.- L’acqua che discende è il torrente Chiascio che sgorga dal M.Ingino vale a dire il colle eletto, dove Sant’Ubaldo si ritirò in solitudine a pregare.
(3) “Grabovio” da “grabio” ossia quercia in antico umbro.