“Fino in fondo” di Alessandro Orfeo, La strada per Babilonia. A cura di Alessandra Micheli

 

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Ti ho spiata ti ho imitata 
Ti ho persa e ritrovata 
Nel dolore, ti ho amata anche di più,

gente 
Anche se hai venduto l’anima 
Per sentirti meno anonima 
Riprenditi quel po’ di dignità

Renato Zero

 

 

Per buona parte della mia vita, fino ai quarant’anni mi sono sentita simile a una cameriera costretta, da un padrone invisibile, a portare un intero vassoio di bicchieri fragili di cristallo.

Portarlo non si sa dove, ma l’unica sicurezza era il terreno su cui camminavo, accidentato, pieno di fosse e irregolarità.

Il terrore atavico riguardava il pericolo di romperne solo uno, perché la punizione sarebbe stata terribile.

Non sapevo quale, ma potevo avvertire ondate di biasimo arrivare a folata dalle facce immerse in una strana nebbia.

Non le vedevo ma sapevo che c’erano e mi fissavano acute e attente a controllare ogni mio passo falso.

E molti dei bicchieri erano fatalmente di bicchieri incrinati.

Ed era il mio strazio.

Il mio incubo.

A ogni scheggia, l’abisso si schiudeva.

Si poteva chiamare vita questa paura costante?

Non era possibile fare null’altro che camminare con attenzione, concentrata su quel maledetto vassoio.

Finché un giorno, un vento forte, beffardo e crudele mi ha sfiorato.

Cosi impetuoso che non sono riuscita a stare in equilibrio.

E sono caduta, io e tutti i miei adorati bicchieri.

Frammenti di vetro sparsi per terra, con il coro di riprovazione su di me. Mi sono sentita incapace, giudicata, impaurita e restavo li rannicchiata a piangere sul disastro.

Allora, qualcuno, a un certo punto mi ha dato un nuovo vassoio e mi sono ritrovata a camminare.

Eppure…vedevo quei vetri rotti brillare grazie ai raggi di un sole che faceva capolino dalle nuvole.

E giochi di colori e arcobaleni si sprigionavano danzando sull’asfalto.

Che non sembrava più cosi impervio ma solo non monotono.

Tutti mi incitavano portare il vassoio.

Ma a me il vassoio infastidiva e volevo continuare a guardare le luce.

Cosi ho preso il vassoio nuovo, intatto e perfetto e l’ho buttato all’aria.

E sapete cosa è successo?

Nulla.

Nulla di nulla.

Vi racconto questa storia perché è il fulcro del libro meraviglioso di Alessandro Orfeo.

E in quel libro io mi ci sono rivista.

Anche io ho avuto le mie certezze spazzate via.

Anche io ho conosciuto abisso e disperazione.

Anche io sono scappata per ritrovare me stessa.

Sono scappata dentro di me e ogni anno vado nel mio posto magico a curarmi le ferite o a spurgare le mie scorie.

Anche io come il protagonista ho bevuto fino in fondo l’amaro calice. Eppure siamo entrambi rinati.

Abbandonando quel vassoio, abbiamo non solo trovato il nostro vero volto non nascosto da maschere, abbiamo ritrovato le nostre passioni. Rifiutate biasimate dalla società, dall’educazione e dal buon senso. Entrambi abbiamo scritto noi stessi su un foglio.

Entrambi abbiamo avuto un Joel capace di svegliarci da un lungo ipnotizzante sogno.

E iniziamo a pensare con la nostra testa e i valori con cui ci hanno intontito da piccoli..sfumano e ne abbiamo di diversi sicuramente più umani.

Spesso ci insegnano che l’amore va di pari passo con la sofferenza ma non si rendono conto di come sia ridicola questa ideologia, amore e sofferenza non potranno mai essere complementari…

E’ vero.

La sofferenza è solo una percezione mentale che ci invade quando qualcosa smuove il nostro io troppo spesso sopito.

E’ la perdita, è la mancanza che ci rende cosi fragili da permettere al nostro vero volto di togliere strato per strato.

Ma una parte dell’essere sociale non può permetterlo.

Svanirebbe e resterebbe solo una scintilla divina curiosa e leggera.

Nonostante le catene del mondo essa è libera.

Perché sa che non sono reali quelle catene.

E allora perché si soffre e ci si sente il cuore spaccarsi in due?

perché le persone hanno perso il valore di ogni piccolo gesto. Questa è una società malata. Guarda cosa ci viene insegnato ci dicono che bisogna sempre sacrificarsi per il prossimo, l’amore per se stessi viene annullato e se provi a manifestarlo sei considerato egoista. Come puoi amare qualcuno se non sei in grado di amare te stesso?

E’ una SOTRIA dove il dolore è semplicemente la porta attraverso cui rinascere.

E trovare la gioia dell’attimo presente, dove non esiste futuro né passato ma solo attimi in cui la vita brilla come un miracolo ai nostri occhi.

Ecco io vi invito a leggerlo questo libro, a viverlo.

A buttare per terra ridendo anche senza contegno, quel maledetto inutile vassoio.

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