In quell’ultimo scorcio del 1835, la nave con le vele abbassate s’avvicinava velocemente alla costa brumosa del Brasile. Gli occhi azzurri del ventottenne guardavano assorti il porto di Rio che brulicava di gente e di merci.
Nonostante la giovane età, Giuseppe aveva già sulle spalle una condanna a morte emessa dal Reale Tribunale di Genova per diserzione e alto tradimento.
Fra poche ore la città avrebbe salutato l’inizio dell’anno nuovo e Giuseppe ripensò alla famiglia perduta e a Nizza, la città dove aveva trascorso una felice fanciullezza1.
Sbarcato sul molo, si guardò intorno ma non riconobbe nessuna faccia nota poi una voce maschile lo fece voltare:
«Giuseppe! Benvenuto in America!» Era un ragazzone dall’accento ligure, accento di casa, che lo chiamava.
Rio De Janeiro, a quell’epoca abbondava di italiani e molti di loro erano liguri, suoi compatrioti. Il cuore gli si allargò e Giuseppe l’abbracciò fortissimamente. Anche l’amico ritrovato, Luigi Rossetti, era un patriota. Il giovane presentò Giuseppe ai molti esiliati italiani della città ed essendo un esperto marinaio mise ben presto su una piccola azienda di trasporti marittimi. Con i primi prestiti e un po’ di denaro risparmiato in Italia, comprò una tartana 2, iniziando a trasportare merci su e giù tra le coste del Brasile e dell’Argentina.
I tempi erano duri e gli affari non prosperavano. Giuseppe, spirito ribelle e con l’istinto dell’azione politica, si era intanto messo in contatto con i circoli mazziniani e rivoluzionari della zona. Tra gli altri, vi erano gli indipendentisti della ricca provincia brasiliana di Rio Grande do Sul 3
Il Brasile a quell’epoca era un Impero dominato da una dinastia di origine portoghese. Proprio poco prima di quegli anni, l’Imperatore Pedro Primo di Baganza era morto lasciando un erede minorenne, il piccolo Pedro Secondo.
A causa della debolezza dello Stato, si erano riaccesi gli aneliti repubblicani e secessionisti di alcune delle regione periferiche del vasto impero.
Rio Grande do Sul fu la prima provincia che, con una rivolta coronata da successo, raggiunse l’indipendenza. Data la violenta reazione dei brasiliani, il neonato governo ribelle chiamò a raccolta tutti gli amanti della libertà e Giuseppe fu tra i primi, nel maggio 1837, ad accorrere a Porto Alegre, la capitale ribelle.
Data la sua esperienza di navigazione, gli fu concessa una patente di “corsa” nell’imminente guerra. Doveva perciò fare il Corsaro per conto della Repubblica.
Giuseppe, con soli dodici uomini, assalì coraggiosamente una goletta brasiliana carica di merci e se ne impadronì. Subito dopo, si diresse verso il porto di Maldonade, nel neutrale Uruguay, dove sperava di rivendere il carico a favore degli insorti ma, all’apparire delle due navi, il governatore locale, non volendo riconoscere la bandiera del Rio Grande, fece aprire il fuoco ai cannoni del porto.
A Giuseppe non rimase che la fuga. Dopo altri abbordaggi e altre battaglie, inseguito da numerose navi nemiche, continuò la sua guerra di “corsa” sui larghi e pescosi fiumi del Brasile, dell’Uruguay e dell’Argentina.
La situazione militare peggiorò quando anche l’Uruguay entrò in guerra contro la neonata Repubblica di Rio Grande.
Per Giuseppe fu un periodo pieno di peripezie e di rischi, stretto tra potenti flotte armate.
Un giorno fu ferito ma riuscì quasi miracolosamente, a sfuggire alla cattura.
Si diresse in Argentina, anch’essa neutrale, ma le autorità lo fermarono perché combattente di una Repubblica non riconosciuta.
Fu ricoverato presso le carceri di Galeguay. Dopo il lungo e forzato riposo, Giuseppe, mai domo, tentò la fuga ma fu riacciuffato e crudelmente frustato per punizione. Dopo un breve periodo di detenzione, nel 1839, venne liberato.
Ritornò,con mezzi di fortuna e sotto falso nome a Porto Alegre, dove i compagni lo accolsero in trionfo. Il governo ribelle gli affidò, quindi, una piccola flottiglia con la quale riprendere le operazioni nella laguna riograndese e nell’Atlantico.
Un giorno, le truppe navali brasiliane circondarono la flottiglia nella laguna.
Con coraggio e faccia tosta, sbarcò e fece trasportare per terra le sue piccole imbarcazioni, attraversando la lingua di terra che lo divideva dal mare, salvando in tal modo sé stesso e la sua flotta dalla cattura.
Un’altra volta, invece, dovette dar fuoco alle sue navi, danneggiando gravemente anche quelle del nemico e salvando così nuovamente tutti i suoi compagni.
Continuò a combattere per tutto il 1840, ma oramai le sorti della piccola Repubblica erano segnate. Si ritirò perciò sotto falso nome a Montevideo, in Uruguay, mantenendosi dando lezione di algebra e geometria.
E’ in quel raro momento di pace che conobbe la bella Ana Maria Ribeiro da Silva, detta Anita, moglie di un pescatore brasiliano
. Essa, impazzita d’amore per il biondo eroe italiano, lasciò il marito e fuggì con lui ignara della tragedia che avrebbe provocato. Il marito abbandonato cercò con tutti i mezzi di riavere indietro la donna infine, scoraggiato, morì di crepacuore.
Liberi da obblighi legali, la storia d’amore di Giuseppe e di Anita si concluse sull’altare il 16 marzo del 1842 a Montevideo.
Neanche la nascita di tre figli, Menotti, Teresita e Ricciotti, frenarono la pulsione guerresca di Garibaldi. Ben presto, con al fianco la bella Anita, potè riprendere il mestiere delle armi, arruolandosi al servizio dell’Ururguay in quella che fu detta “La Grande Guerra” con l’Argentina, governata dal dittatore Juan Manuel de Rosas.
Nel giugno del 1842, Giuseppe è al comando di tre navi. Con queste sfidò le preponderanti forze nemiche, talvolta vincendo, talvolta fuggendo sconfitto.
Ad agosto, dovette abbandonare definitivamente le sue navi per salvarsi la vita.
Assunse poi il comando di una nuova flottiglia ma, a novembre, la disfatta dell’esercito uruguayano rese inutile ogni ulteriore ostilità. Il dittatore Rosas, allora, assediò con numerose truppe Montevideo e Garibaldi accorse con i suoi compagni e l’intrepida Anita per dar man forte agli assediati.
Nell’aprile 1843 formò, con ottocento patrioti emigrati, una Legione Italiana issando un vessillo nero con un cerchio bianco, contenente un verde vulcano che eruttava lava rossa
Il nero era stato scelto da Garibaldi come colore di lutto per la lontana patria oppressa. I Legionari vestirono una casacca rossa, per la circostanza casuale di un blocco di camicie da macellaio destinato agli scannatoi argentini e rimasto disponibile a poco prezzo.
Nel novembre del 1845, con i suoi Legionari, sfuggì all’assedio e s’imbarcò su alcuni velieri, dirigendosi all’interno del fiume Uruguay fino a un luogo strategico chiamato “Il Salto” a causa di una grande cascata.
Lì il largo fiume si congiungeva a un immissario, detto San Antonio e, con questo nome, è passata alla storia la vittoria di Garibaldi sulle preponderanti truppe argentine, nel febbraio del 1846. Vittoria celebrata da tutto il Sudamerica e perfino nella lontana Europa e che gli diede la fama di generale invincibile.
Mazzini, da Londra, esaltò le gesta della Legione Italiana e a Firenze venne aperta perfino una sottoscrizione per una spada d’onore da donare a Garibaldi.
Erano ormai maturi i tempi che l’eroe dei Due Mondi abbandonasse il “Secondo Mondo” .
Il 15 aprile 1848 Giuseppe Garibaldi partì finalmente per Italia insieme ad Anita per iniziare l’avventura che lo porterà a coronare l’Unità del nostro Paese.
Note
- 1Piccola imbarcazione di legno a un solo albero e con pochi remi,
- 2Ossia, Rio Grande del Sud che si trova tra il Brasile e l’Uruguay.
- 3 Nizza a quell’epoca faceva parte della regione ligure nel Regno di Sardegna.