E’ un piccolo e snello libro quello di Puccio Chiesa, dal colore rosso come la passione e come il sangue, quasi a sottolinearne il significato.
Perché di meraviglia e di violenza quelle poesie si nutrono e divengono carne pulsante.
Dalle macerie di un Europa che rinnega se stessa e le proprie radici fino a un Islam perduto, come direbbe Fatema Mernissi, nella foschia della sue paure.
Potrei semplicemente raccontarvi la bellezza dei versi del paradiso di Allah.
Ma vedete, quando si tratta dello snodo Islam, la mia coscienza mi impone un approccio molto meno “poetico” e più professionale.
Perché è oramai sdoganato l’orrido concetto di scontro di civiltà.
E io, che per fortuna o per fato, ho studiato a fondo il binomio islam Vs Occidente arretratezza Vs sviluppo, espresso nel complesso argomento la democrazia nell’islam (utopia o possibilità concreta), non potevo non riprendere i concetti socio-politici appresi e inserirli nel contesto intessuto da ritmo e parole di Puccio Chiesa.
Vedete, le sue bellissime poesie affrontano l’attualità.
Ma l’attualità si risolve non solo nel sistema guerra che funesta la Siria o l’Afganistan, nel dilemma morale e umano del terrorismo, ma anche nella manipolazione dell’informazione, oggi eccessivamente illusoria e incentrato su tanti, troppi sentito dire e su immense omissioni storico culturali.
Come direbbe Schimdt, l’escamotage del nemico funziona ancora, non solo per riunire sotto le bandiere ideologiche popoli divenuti massa, ma anche per evitare loro di arrivare a un percorso diverso più consapevole: il famigerato uomo nuovo di guevariana memoria.
L’islam il nostro fratello rinnegato, diviene il fulcro di ogni possibile cambiamento ma anche dimostrazione di ogni nostra imperfezione. Donare a una religione il marchio satanico è purtroppo, antico affare.
E seppur presente come macchia indelebile sul nostro curriculum coscienza, seppur fonte di ogni prostrato pentimento, non si è del tutto superato il binomio occidentale noi e l’altro.
Ed è ovviamente dimostrato dagli eccessi della nostra storia che oramai questo modello costitutivo dei rapporti sociali ha espresso ogni sua potenzialità, finendo per divenire rancido e nefasto.
Lo scontro è portato avanti in modo quasi ossessivo, come se rinunciare alla tranquillità degli schemi gerarchici, o ai pregiudizi valoriali ( buono, non buono) fosse per noi un affare di vitale importanza, unico elemento che riesce a non farci affondare nel mare dell’immensità della vita. Troppo immenso, troppo variegato, troppo sfumato questo dono divino, da poter essere compreso da noi miseri omuncoli impotenti davanti alla meravigliosa organizzazione del cosmo.
Più la scienza e la tecnologia riescono a scrutare gli orizzonti, più il terrore della nostra piccolezza ci assale, tanto da farci desiderare il tranquillo ritorno al pregiudizio confortevole e stabile.
L’altro torna cosi a essere il turco perfido.
Il bene e male tornano a giocare a dadi con le nostre vite.
Il nemico torna a ghignare satanico e noi siamo sereni perché il conosciuto domina e scaccia le ombre dell’ignoto.
L’altro non diviene specchio ma ostacolo, il motivo per acquisire gloria in battaglia, gloria sul web, gloria nelle invettive.
Una gloria priva di gloria verrebbe da dire in un atroce gioco di parole, il cui senso profondo dilania l’anima.
Ecco che la vendetta per un passato troppo tentacolare, diviene l’unico mezzo per comunicare: pugno contro pugno, chiusura contro parole, cecità contro le immagini.
L’islam diviene per la prima volta l’arcano nemico, il satana che minaccia, l’orrore dietro l’angolo di ogni strada e di ogni mercatino. Diviene l’oscuro grigiore che annichilisce l’immaginazione.
Diviene l’ortodossia che pur di dominarci se ne frega dell’uomo.
Diviene tutto quello che, in realtà siamo sempre stati.
E, poco importa se sia esistito o meno, ma vi ricordo che un tempo lontano un ribelle Rabbì fu capace di denunciare l’ipocrisia del fariseo che non rende l’uomo più importante del sabato.
La religione non è altro che il contenitore che racchiude ogni elemento sovrannaturale che spesso si risolve in un tentativo estremo di decifrarlo il cosmo, di dialogare con il tempo e di comprendere in sommi capi l’eterno legame tra noi e dio.
Legame stretto, forte, a volte un patto che presuppone, come ogni ACCORDO, il cedere di quella strana creatura di una parte della sua libertà.
Una libertà che è spesso caos, che è impulso sfrenato che è, per dirla all’araba, jahilyya, il tempo zero dove la sessualità indomabile, la creatività senza scopo non sempre producevano bellezza.
La umma, ossia la comunità, diviene un po’ simile alla mano del cavaliere che domina e dirige i suoi focosi destrieri ( impulsi, necessità, bisogno e oscurità) come descritto in Platone.
Diviene luogo in cui le volontà particolari si annientano per formare il bene superiore o la volontà generale a cui l’anima irrazionale e totalmente caotica deve sottomettersi.
L’uomo lupis che diviene uomo sociale.
E perché allora se dalla filosofia dell’islam mutuata dalla meravigliosa scienza araba, noi traiamo sempre elementi che la rendono totalmente aliena al nostro modo di pensare?
Se entrambe affondano le stesse radici in quel senso di meraviglia di chi tentava di dominare il tempo e le stelle, la consapevolezza dell’immenso meraviglioso dono di Allah/Jahve/Elohim.
E furono i turchi a dare forma al mediterraneo, con incontri e scontri, scambi e contaminazioni che resero quella regione cosi intrigante, cosi effervescente da essere estatico oggetto di studio da una Alessandra incantata dalla costante scoperte che, eravamo in fondo, un solo unico popolo.
L’esile filo che lega fra loro uomini diversi per per questo potenzialmente nemici che tuttavia riescono a interagire a scambiarsi conoscenze ed esperienze comuni per esempi nella pesca, attorno alle reti di una tonnara dove è forte l’influenza nord africana o in agricoltura dove prendono a prestito gli uni dagli altri usi, strumenti e metodi di lavoro (la denominazione degli attrezzi di lavoro nel centro Europa è spesso di origine turca)
I turchi il mediterraneo e l’Europa -Giovanna Motta
Lungo le coste del bacino del mediterraneo, nei territori dove occhieggiava l’impero ottomano il contatto tra cristiani, ebrei e musulmani consentì alle diverse culture (non etnie ma culture) di attuare le prime forse limitate forme di integrazione nelle strutture mentali, negli usi alimentari, nella musica, nei termini.
Dove sono finite quelle meraviglie oggi?
L’inutilità dell’essere umano
illumina la terra che si spezza
la terra vista dalla luna
che in mare si schiuma e si arena.
Dove sono i funzionari in carriera antesignani della nostra strana burocrazia provenienti dal costume del deviscirme? ( il proto servizio militare turco)
corpi condivisi a occidente
sulla rete sociale sulle pagine vuote
corpi martirizzati a oriente
promessi al paradiso
la battaglia di Aleppo di avvicina.
Dov’è L’islam del cielo, delle stelle?
Dove sono le scienze e le meraviglie filosofiche Sufi?
Dove sono le poesie di Umayl Ibn Ziyād, Qutayla. Hassān ibn Thābit, Jamīl, Akhtal, Jarīr, Kuthayyir, Dhū’l-Rumma?
Aleppo è polvere e urla
osceno scheletro in cerca dei propri sensi
e tutto questo orrore mentre
dagli ouzeri del piereo ai bistrò di Marsiglia
alle bettole di ogni sordida città
l’Europa canta
il desiderio delle proprie macerie.
L’Europa di oggi, quella che dovrebbe essere migliore dell’Europa di Lepanto, vuole semplicemente essere sommersa dalle rovine.
Desidera morire uccidendo se stessa, l’altra parte di se che l’ha resa la bellissima regina del mediterraneo.
E noi possiamo oggi assistere solo al decadimento, disperatamente nostalgici dei tempi in cui
tra il mare e l’Eufrate
I minareti di Aleppo
le stelle inchiodate
nel cielo delle mille e una notte
segreti e racconti di oasi
sommerse nella sabbia
odore di olio di rose
sotto di portici di Kham al Kabir
il richiamo dei muezzin risveglia le strade silenziose
questo è stato
Vorrei tanto ritrovare quei sogni di sabbia dorata, di incanti e magia tra le strade della meraviglia d’oriente.
Ma la terra non è più color bronzeo.
Ma è rossa come il sangue che sgorga dai nostri infranti sogni.
no, non si può più dormire
la luna è rossa, rossa di violenza
bisogna piangere insonni per capire
che l’ultima giustizia borghese si è spenta
Banda Bassotti