Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai delinquenti, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare.
(Albert Einstein)
Ero una bambina strana lo ammetto.
Mentre le altre mie coetanee sognavano sulle storie di principesse e di donzelle salvate dal loro principe, io invece mi perdevo nei racconti dei prodi della foresta di Sherwood.
Ero io il Robin Hood vestito di calzamaglia, difensore dei deboli, ostacolo e tormento del perfido principe Giovanni Senza Terra.
Ero con fra Tuck e immersa nelle azioni guerrigliere, di un uomo che della giustizia vestiva i panni.
Quando non ero Robin ero il cavaliere del al tavola rotonda, a difesa del sogno arturiano contro Mordread.
E non è un caso che tenevo affisso sopra la mia scrivania i precetti del buon cavaliere, abilmente espressi dal film dragon Heart:
Un cavaliere è votato al coraggio,
il suo cuore conosce solo la virtù,
la sua spada difende gli inermi,
la sua forza sostiene i deboli,
le sue parole dicono solo la verità,
la sua ira abbatte i malvagi.
Quei precetti ancor oggi risuonano nella mia testa ogni volta che mi trovo a un bivio, ogni volta che devo scegliere la strada da seguire.
Persino in ogni mia recensioni essi sono la colonna sonora che accompagna ogni mio scritto, proprio perché sono convinta come il mio amato Albert Enistein, che il male riesce a trionfare perché tutti noi siamo sudditi del silenzio, complici di una malsano mondo in cui ordine viene annichilito da caos, senza che questo porti evoluzione.
Non ho nulla, se il drago (ossia simbolo del caso) sia l’antesignano del nuovo che si adatta e deve adattarsi alla crescita dell’essere umano.
Sono contro il sistema che rende gli uomini sudditi senza dignità, che li rende schiavi di un dio troppo permaloso e pigro per prendersi le responsabilità della sua creazione.
Dire la ricompensa del giusto è in un altro universo, in una dimensione lontana evanescente è l’alibi del vigliacco che non ha per niente volontà di movimento e si adagia, e accetta di essere calpestato.
Il vero Dio ci ama.
Il vero dio ritiene che l’umo dia più importante del sabato e non accetta che l’uomo sia crocifisso assieme alla sua divinità.
Il vero dio scende dalla croce e porta con se l’umo e lo fa avanzare verso un avvenire pieno di promesse.
Forse è per questo che l’unica religione che riesce a acquietare il mio senso di giustizia è la teologia della liberazione, liberazione dal padrone troppo ottuso per darci del vero pane, e liberazione dalle catene delle convenienza, del potere e dello status quò.
Ecco perché la ricompensa deve essere qui e ora, deve modificare alla radice gli assunti del sistema, deve illuminare l’avvenire con un sole luminoso e troppo forte per chi non ha le palle per guardarlo dritto dritto nei suoi focosi occhi.
Il sole dell’avvenire è il credo di chi non vuole essere schiavo né padrone; vuole vivere e gustarsi ogni momento di questa straordinaria avventura chiamata vita.
Ecco che Lucrezia usa la sua ars poetica in senso riformista.
Non celebra lontani assurdi sentimentalsimi.
Non è solo un modo dell’albatros di rimpiangere il suo lontano cielo, mentre viene dileggiato sulla nave da stolti marinai.
No.
La sua è poesia simile a uno schiaffo sulla guancia capace di denunciare, squarciare il velo dell’illusione della comoda stabilità e spronare l’uomo a riprendere il posto che gli spetta: al centro di quell’universo creato per lui, perché celebrasse la gloria divina.
Chi soffre non deve essere redento solo dall’oblio delle ferite.
Quel sangue copioso deve far germoliare un sentimento chiamato giustizia, unico capace non di far sopportare la costante umiliazione della propria dignità.
Ma che comporti l’azione salvifica per eccellenza: dire no e cambiarlo sto sistema marcio.
Perché solo attraverso la conoscenza dell’abisso, delle più oscura caduta che si può iniziare a fissare lo sguardo spavaldo al sole e divenire noi stessi parte di un immenso cielo.
Non più anime crocifisse, ma uomini risorti che trionfano con la loro eticità sul mondo, su mammona e su ogni suo servitore.
Il riscatto non è ultraterreno, non fatevi fregare, il riscatto è qua e ora, trascina, modifica e cambia.
E’ il giorno che illumina l’uomo nuovo che non abbassa mai lo sguardo, fa fronte al dolore, all’ingiustizia e parte in cerca di un altra vita.
Perché noi siamo stati creati per essere amore e verità. Non scimmie ammaestrate.
Vi è un legame intimo che tiene unite Giustizia e Misura: nel senso della misura vi è giustizia. La Giustizia -distribuzione equilibrata del merito e della colpa, così come dei beni e dell’avere- ha un carattere anzi-tutto quantitativo, che richiede un riassestamento del concetto di misura.
Ho il vago presentimento, Lucrezia, che i massoni oligarchi non la pensino come te per quanto concerne la giustizia terrena per i cosiddetti “ultimi”!
Lorenzo
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Credo che nessuno lo pensi. Forse noi idealisti
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