“Terra d’ombra bruciata” di Valentina Nuccio, Le Mezzelane Editore. A cura di Alessandra Micheli

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Dedicata a Taranto.

Ai mille morti dell’Ilva orrore e vergogna della nostra economia senz’anima.

Dedicata a chi non volge lo sguardo altrove 

A chi non ficca la testa sotto la sabbia.

Dedicata al Re seduto sul trono che decide chi vive e chi muore.

Si a a te che un giorno sarai spodestato dalla voce di una massa che diverrà popolo.

 

 

È con il vento che ci ammaliamo e moriamo.

La cosa assurda è che tutti sanno ma nessuno fa niente.

Non glie ne frega un cazzo a nessuno!» urla, battendo un pugno sul tavolo.

Certe tragedie italiane accadono e prosperano nel silenzio complice di ognuno dei suoi cittadini.

Che da partecipi del bene comune divengono isole marce, testimoni di un atroce processo di disgregazione dello stato.

Non può esserci, infatti, nessuno stato senza uno degli elementi principali che lo compongono: sovranità, territorio, popolo.

E noi, oggi in Italia non abbiamo popolo ma solo un’informe massa indistinta.

Ci obnubiliamo con libri melensi, senza etica, senza responsabilità.

Con programmi annichilenti il pensiero.

Con TG millantatori e creatori di un mondo distopico in cui i veri spauracchi sono i nuovi mostri, sono sempre l’altro, l’islamico, il cinese, il bracconiere.

Tutto questo per distogliere lo sguardo sulle nostre penose mancanze.

Ci stordiamo di vizi, ma sfuggiamo le virtù.

Ci diamo al piacevole oblio dei pettegolezzi; mai come oggi il gossip ci invade, mai come oggi le notizie false ci inebriano i sensi. Cosi da distogliere gli occhi rei di troppa colpa, sugli orrori della nostra politica o della nostra economia.

Ecco che ci accaniamo sul reality, sulle beghe finte dei politici che litigano come patetici attori di una commedia dell’arte che sa di stantio, reiterando un mondo in cui bene e male sembrano duellare, ma in realtà alla fine della farsa, si abbracciano sfiniti, sussurrandosi serafici “pure stavolta li abbiamo gabbati”.

Io non sono nessuno.

Non sono né influencer e dio me ne scampi.

Volervi rendere tutti idioti salendo sul piedistallo per manipolarvi sarebbe la morte della mia anima eterna.

E l’anima l’unica cosa che ho.

Non sono un’attivista.

Per esserlo dovrei scordare l’uomo a favore del sabato, diventare ossessionata e farmi guidare dal leader di turno, dalla pantomima del giorno divenendo inconsapevole burattino del sistema.

Sono solo un’eterna illusa, idealista, che tenta di non perdere il suo unico amico, la coscienza.

Sono dotata di una semplice penna, senza onore e senza gloria.

E ho deciso di non stare inerme a ballare la danza del Re di turno, quello che dal trono sentenzia il nostro ritmo, e scegliere di non stare in silenzio. E pertanto decido consapevolmente di dare voce non alle mie umili parole, frasi fatte, per non unirmi al coro dei morti viventi che invadono oggi i nostri spazi.

Ma dare voce alla forza del libro, una forza catartica, uno schiaffo al volto alla nostra idiozia, alla complicità di tutti coloro che accettano seppur con un forte senso di colpa, il sistema che ci costringe:

Noi dobbiamo scegliere se lavorare e morire di cancro o essere disoccupati e morire di fame. L’aria è appestata, il rosa del ferro colora le case, gli indumenti, tutto!

Un paese civile non usa l’economia come un ricatto.

Non fa i soldi sulla pelle dei bambini e dei componenti del suo stesso patto costitutivo, la sua origine, il suo scopo, la sua stessa essenza.

Un paese civile non costringe mai il suo componente, l’altra parte di se a scegliere.

Perché sa che ogni filo spezzato spezza l’intero arazzo.

Un paese civile non gode nel lusso mentre i suoi figli muoiono.

Un paese civile non sceglie la morte, perché nasce per garantire la vita. Un paese civile, anzi uno stato che nasce per garantire i bisogni di vita non solo di sopravvivenza di ogni persona, per garantire l’armonica cooperazione di soggetti che da lupi affamati, divengono uomini capace di cooperare, non permette che il soddisfacimento degli stessi diventi morte.

Un paese civile non vive di sensi di colpa e non si imbottisce di eccessi per attutirlo.

Un paese civile non concepisce una città:

stuprata da pirati che vivono e ammucchiano altrove i frutti delle loro scorrerie.

Un paese civile non elegge come rappresentanti depositari del potere del popolo:

imbarcazioni che battono la bandiera con il teschio e le tibie incrociate non vengono d’oltremare, ma dai centri di potere.

Un paese civile non sotterra la testa sotto la sabbia di ombra bruciata, lasciando morti lungo il cammino.

capisce di aver vissuto in una bolla, senza avere la

minima idea di cosa significhi perdere una persona. Perderla in un modo atroce.

Un paese civile forma persone che con orgoglio e fierezza rispettano l’altrui dolore e scelgono:

Ciascuno nel suo piccolo, dovremmo tutti andare avanti con fiducia e soprattutto dovremmo cambiare il mondo con gesti concreti. Lo dobbiamo fare per lui e per tutti i bambini di questa città dimenticata dallo Stato.»

Allo stato ho sempre creduto.

Ho creduto alla necessità del patto con cui il cittadino, ossia la massa convertita tramite l’acquisizione della coscienza dei diritti come dei doveri, della responsabilità a una vita dignitosa senza affanni e senza sopraffazioni, decide di unirsi e puntare i propri occhi verso l’orizzonte della libertà.

Non importa di che colore esso sia.

Che decide di tutelare la proprietà privata, ma sa quando cederla per il bene comune.

Io credo allo stato che protegge i suoi componenti e consapevole di questa sua funzione non domina e coopera con altri stati, con lo stesso obiettivo.

Io credo ancora allo stato che usa le fabbriche e l’economia non per arricchirsi ma per far prosperare tutti, non solo i pirati.

Credo nello stato che non fa patti scellerati con essi ma li combatte, e se riesce li redime reintroducendoli nel loro territorio.

Credo nello stato.

Che non si azzarda a :

Chi mi sfama, mi ammazza in silenzio, nel placido assenso generale. Tutti si fanno i soldi, con il nostro acciaio e sulla nostra pelle.»

Io credo nella descrizione hobbesiana che vuole creare persone dai soggetti indefiniti e nebulosi nutrendo l’altro lupo, quello che non ringhia ma ulula felice alla luna.

Io credo nella cooperazione necessaria, laddove:

Ognuno di noi fa qualcosa, se ciascuno di noi non starà fermo a guardare il proprio orticello, beh, forse chi ha perso qualcuno si sentirà meno solo. Insieme il dolore è più sopportabile»

Io credo anche sei corvi che volteggiano attorno al re di turno mi deridono, e mostrano scene raccapriccianti di malati, e idealisti sacrificati sull’altare di Mammona.

Credo e uso questo libro come scudo contro tutti voi che siete solo complici di questo disastro, voi che non agite ma vi sentite speciali solo per una condivisione di un post, solo per una strana scelta alimentare, solo per un becerare inconsulto sul web.

Voi che in fondo siete lassisti ogni volta che date alla luce un libro che addormenta, che non educa, che inneggia il sistema che ci distrugge. Perché un libro è qualcosa di diverso da un mero svago finto emozionale. I libri devono far emergere rabbia utile, indignazione e azione:

Oggi un libro può fare la funzione della torre: trasmettere il grido, suscitare volontà di difesa e forza di riscatto. Come si legge in una delle pagine: quell’area maledetta un giorno sarà trasformata in parco giochi. Non ho misurato la temperatura corporea, prima di leggere. Al termine so lo stesso ch’è aumentata, segno che l’organismo ha alzato le sue difese e ha deciso di battersi.

Erri De Luca

Grazie Valentina Nucci, perché leggendo te i miei occhi sfavillano e la mia penna continua a urlare.

Ho solo la penna come arma.

E continuerò a imbracciarla come un fucile

 

 

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