
Questa è la recensione più complessa che mi accingo a scrivere e sono consapevole di quanto risulterà politicamente scorretta e avvisa ai “lettori” a cui ho indegnamente rubato la voce.
Mio intento sarà non denigrare il singolo, ma smontare l’intera impalcatura mentale che esiste dietro il pensiero, per restituire al libro il suo degno posto nella letteratura.
Quindi mi scuso sin da subito se sembrerò odiosa, antipatica e polemica.
Ma i tempi richiedono anche questo.
Inizio a parlarvi di murate vive partendo da un libro pubblicato nel 2011 da un certo Carmelo Abate, giornalista coraggioso e avviso ai benpensanti, che stufo di rimandare l’ardita azione decise di svelare i misteri del vaticano.
Non quelli economici, che alla fine sono accettati un po’ da tutti, senza grandi scandali considerati inevitabili appendici del nostro mondo basato sulla finanza.
Nonostante l’orrido scandalo di Calvi e del banco ambrosiano, scandalo per chi come me alla legalità ancora ci tiene, tutto è stato visto come una goliardica azione di ilari figuri e non come un sistema pernicioso o come un mammona seduto sulle ginocchia di un cristo riluttante.
Calvi era Calvi ma non rappresentava l’intero mondo ecclesiale anche se, in seno a quel mondo, esso si era sviluppato.
Tra scandaletti guardati con un bonario sorriso e un flautato finto rimprovero si arriva al 2011.
E lì, infamia, l’indignazione la difficoltà della presa di coscienza di un reale dramma stenta a prendere piede.
Abate è dileggiato, accusato di essere ateo, di minacciare le basi della nostra cultura.
E sapete per quale motivo?
Perché la sua indagine non partiva dai conti della gerarchia cattolica, ma riguardava il viaggio segreto nel regno dei casti.
E ne veniva fuori un ritratto patetico, irto di vizi e scarso di virtù di sesso sfrenato, di trasgressioni da far impallidire il famigerato 50 sfumature.
Con la differenza che il libro della James è totalmente inventato mentre i racconti qua racchiusi erano provati da documenti incontrovertibili.
Ecco che il probo credente si sentì addirittura violato, come se il buon Abate avesse gettato un secchio di acqua gelata in fronte del bel addormentato, svegliandolo da un comodo e pacioso mondo dei sogni.
L’orrore si era destato, e in ogni modo si cercava a di arginare la verità emersa: scandali sessuali, orge e festini erano, nel vaticano, prassi abituale.
E seppur infastidivano il pellegrino ottuso, forse potevano essere una fonte di redenzione grazie alla capacità umana di indagare dentro il legame tra gli eventi, ricercandone gli elementi più fragili, modificabili e eliminabili.
Come a dire la realizzazione in terra della frase tanto amata “la verità rende liberi”.
Quello che è emerso è, però, uno scenario deformato che della verità si sbatte preferendo a esse una comoda, rassicurante e obnubilante bugia: va tutto bene e chi dubita di questo tranquillo tran tran è un servo del diavolo.
Ribaltamento curioso visto che il vero diavolo, spesso in quell’impulso oscurato, represso e quindi sbocciato sotto forma di demone, dovrebbe rappresentare, per il vero credente, l’unico mammona da combattere.
Cosa che non è mai accaduta.
Sex and the vatican è caduto, quasi, nel dimenticatoio, nonostante le numerose notizie di abusi, festini e orge che bellamente ogni tanto facevano capolino nei telegiornali o finti telegiornali.
Essendo, però, notizie amate dagli show nutriti a gossip, essi divenivano, appunto meno credibili.
Come dire se lo dice la D’Urso è sicuramente una boiata.
Ecco che il malgoverno delle anime è continuato e si è cercato di arginarlo definendolo: mal moderno.
Non tutta la chiesa, dunque ha in se le basi su cui impiantare la depravazione, non è in qualche sua errato assunto culturale o valoriale da rimodernare il problema.
È semmai un piccolo inciampo di una religiosità che si è mantenuta proba e ottimale.
E via con gli esempi di bontà quasi a far dimenticare la stanza di barbablù piena di orrori.
Ed ecco che arriviamo al libro Murate vive.
È il 2019, quindi quasi dieci anni dopo Abate.
E la vicenda raccontata da Bruna non è assolutamente frutto del nostro distopico postmoderno.
È del 1600 circa e riguarda un convento e una storia che si dirama intrecciandosi con altre, fino al tragico finale: il monastero di santa margherita.
Anzi ascoltate bene come si chiamava questo ameno luogo: monastero delle Benedettine Umiliate di Santa Margherita di Monza.
Già dalla definizione possiamo estrapolare tutta la concezione deleteria sulla femminilità, quella che tutt’oggi con la complicità anche di voi benpensanti, ancora di perseguita rendendoci non solo fragili ma convinte di essere prede sacrificabili sull’altera di un maschilismo ossessionato dalla dominazione.
Come non ci credete?
Spiegatemi perché allora una donna che tenta di trovare la sua liberazione in qualsiasi modo, viene considerata dal compagno, dal marito, dal padre dal fidanzato un pericolo da eliminare.
Cancellare, e rendere assolutamente invisibile.
Come era un tempo con le murate vive e con le suore di clausura.
Spiegatemi perché il persistere di tanti cliché di tanti stereotipi e della abominevole convinzione che per protestare per i suo diritti la donna deve mostrare il corpo.
Voi uomini quando protestate per il salario vi tirate giù i pantaloni brandendo il vostro attrezzo?
Noi donne siamo sulle copertine immortalate in una perfezione che sa di prigionia. Costrette a una maternità che non sentiamo a un amore a ogni costo anche se l’essere di turno di umilia.
Ma l’umiliazione nasce da lontano, quando la prima donna si rifiutò di soggiacere in posizione subordinata a Adamo e fu scacciata con i demoni.
Continuiamo allora alla scoperta della monaca di Monza, simbolo dello sfruttamento costante e consapevole del femminile.
A quel tempo, cosi divertente, non era affatto strano che bimbe che pesavano nel budget della famiglia venissero sacrificate agli interessi del clero di avere una schiera di penitenti Maddalene da convertire o da gestire a loro piacimento.
Mettendo le donne cosi costrette a una violenza della propria anima a lacerarsi cosi profondamente da lasciare libero spazio a un impulso che, come ci insegna il buon Platone non va affatto nascosto ma gestito.
Nel panorama di quei tempi era norma, conosciuta e tacitamente accettata, il fenomeno delle monacazioni forzate che costringevano alla castità fanciulle che non volevano affatto abbracciare quella vita. La barbara usanza di chiudere le figlie in un chiostro, con la connivenza del clero con questo genere di pratiche, era tanto diffusa da non destare nessun scandalo, a parte qualche timida, isolata e ininfluente condanna della Chiesa. D’altra parte, per rendere meno opprimente e tediosa la vita delle infelici “recluse”, votate loro mal-grado a indossare l’abito monacale, era tacitamente tollerato che esse si prendessero qualche “svago”, spesso con la complicità delle superiore e dei parenti, che in tal modo pensavano di tacitare le proprie coscienze. Sicché, seppur tra artifici e sotterfugi disdice-voli per le “vere” monache, non era infrequente che tra le mura dei conventi si tenessero degli autentici festini o che si lasciasse libero sfogo ai temperamenti sessuali più esuberanti. Tant’è vero che di alcuni monasteri si parlava come di “postriboli” o di luoghi dediti più alla mondanità che alla preghiera e all’astinenza.
E già solo leggendo questa premessa io considererei questo libro una parla miliare nella letteratura di genere con l’intento di sdoganare una storia costruita ad hoc per umiliare le protagoniste.
La monaca di Monza non appare la meretrice, la criminale, la peccatrice che ci ha tramandato il buon Manzoni.
Ci appare una povera infelice, costretta da una società bigotta, oppressiva a operare la peggiore scelta che un uomo è costretto a fare: barattare la propria anima con la sopravvivenza di una società totalmente corrotta. Perché corrotto non era solo il clero, ma persino le famiglie e la popolazione che sapeva dell’orrida usanza ma la considerava giusta.
Ecco che Virginia, accetta il suo destino scegliendo quasi inconsapevolmente di impersonare quello che serviva e che serve oggi: il mostro da condannare, o la peccatrice da redimere, per sentirci migliori si senza mai cambiare i proprio assunti culturali che puzzano di marcio.
Tanto che dopo indicibili sofferenze passate tra un padre anaffettivo, a una modello di madre rassegnata, complicità di chi è costretto a rinunciare il sesso e lo degrada come un qualcosa di sporco e proibito, diventa un nuovo strumento per la libido di un povero insicuro.
Passa da una dominazione all’altra, mentre il mondo cerca di sopprimere la sua carica erotica.
E con erotica parlo di eros che è una forza non prettamente sessuale ma che ci fa avvertire il mondo con tutti i sensi, quelli che odiano le società retrograde. Perché solo un retrogrado considera peccaminoso il senso del tatto, del gusto, dello sguardo e dell’odorato.
Ecco che questa carica prettamente immaginativa e feconda, una vera forza selvaggia come la chiamerebbe la Pinkola Estes deve essere “uccisa” in ogni modo.
Con il senso di colpa, con il sesso fatto per sentirsi viva, lei che come le altre erano semplicemente vere sepolte vive.
Fino a divenire il simbolo perfetto da esibire al popolino (femminile) murata viva, domata, resa forse pazza, perfetto esempio di una santità che di santo non aveva nulla.
Era piuttosto l’odore dell’abbandonato, del senza speranza, dello sconfitto, del morto vivente.
Murata viva essere resterà murata nella follia costruita da uomini che di umano non avevano più nulla.
Neanche il Borromeo che qua si presenta come un angelo luminoso, gode della disfatta emotiva e mentale di una donna costretta a divenire suora.
Bell’angelo.
E tutto questo dramma che mi ha fatto incazzare è stato mirabilmente espresso dalla copertina del libro ( mi rifiuto di usare il termine inglese sono italiana).
E lì che ho compreso quando ancora siamo immersi nell’oscurantismo più acuto.
Se posso accettarlo da un maschio che teme la denuncia dei suoi complici misfatti, mi stupisce che lacune delle stereotipati immagini sessuofobiche della chiesa siano accettate dalle donne.
Come, direte voi, sto usando un gergo femminista?
Ma tesori miei, io sono femminista…
E dovrebbe esserlo ogni donna che vota, indossa jeans, decide chi sposare, eredita e sceglie consapevolmente se e quando fare sesso e sopratutto con chi sposarsi.
Nella raffigurazione di questa famigerata copertina c’è un quadro di un certo Heinrich Lossow, 1880, chiamato il peccato.
E lo rappresenta perfettamente.
Perché il sesso li esposto è bestiale (con rispetto per le bestie) deformato, stonato e disturbante.
Ed è quello che il libro vuole comunicare: lo schifo per una pratica che ci scorre nel DNA come un veleno corrosivo.
Perché se ancora oggi quest’immagine non ci fa incazzare ma ci terrorizza, stiamo messi tanto male ragazzi miei.
Nessuno che compreso il libro, ha compreso come anche l’immagine dovesse scioccare per farci reagire.
E stavolta non si tratta di vendere, si tratta di lottare per i nostri diritti.
Perché ieri era Marianna De Leyva, oggi è la monaca violentata a Mumbay da un sacerdote.
Anzi le milioni di bambine nei paesi indiani e africani, povere costrette per fame a entrare in convento, murate vive e a divenire “carcasse a imputridire”.
Esiste ancora quest’aberrazione.
Nella ragazza in piena fase di sviluppo emotivo convinta della chiamata, alla ragazza in crisi attratta dalla pace del convento.
Io stessa ne fui testimone.
La spiritualità mia, veniva corteggiata da un sacerdote per spingermi a diventare suora laica a servizio di quella o l’altra comunità.
Posso raccontarvi io stessa mille e cento episodi.
E allora dov’è l’indignazione?
Ove sono le voci stimolate dal libro e incazzate a formare con me un coro di sentito no?
Non le vedo.
Anzi spesso scoraggiate dall’immagine pochi hanno avuto il coraggio di aprire il libro, leggerlo e sentirsi coinvolti dalla storia.
E la cosa che più ferisce è che non sconvolge l’idea dell’aberrazione raccontata sconvolge il quadro e il sottotitolo Sesso, sangue, morte e monache murate vive come carcasse a imputridire.
Come se lo stesso minacciasse un’ovattata ipnosi.
Sapevo che De Mello aveva ragione e che non volevamo svegliarci, ma questo mi sembra eccessivo davvero.
Altri commenti riguardano l’accusa al libro di essere squallido e volgare.
Beh certo, il racconto di come una ragazzina è costretta a entrare in un convento di clausura è molto chic.
Sarà l’outfit con il velo nero a dare un tocco di glamour.
C’è chi trovava, invece, il dipinto messo in rilievo eccessivo capace di penalizzare il contenuto del libro.
È il contenuto del libro a doverti indignare, non la Manifestazione di un peccato che corrompe il vostro perbenismo.
“Lascivo, triviale di basso profilo scandalistico.
Non storico. Livello infimo”.
Tutti aggettivi volti a difenderci dalla verità che entrambe copertina e testo tentano di far emergere.
Sì, il contenuto è orribile.
E più lo neghi più diventerà una macchia enorme fino a che sarà indelebile.
Leggere il libro è un atto di rispetto non solo per la monaca di Monza e le sue sorelle, ma per tutte le figure a cui abate da voce.
A tutti i fatti mostruosi dei giornali, a una religione che è solo lo specchio di un dominio ghignante e pericoloso.
E a chi ha definito la clausura un non annullamento della femminilità dico che costringere una donna a essere cosa non vuole, a agire in modo contrario alla propria natura profonda è vero non annulla.
Distrugge direttamente.
A te che ti ripari dietro questi triti stereotipi.
A te non hai il coraggio di guardare il peccato, perché perderesti la tua zona di comfort, io ti dico che sei un complice di una società che rinnega l’uomo a favore delle proprie stupida idee.
A valori che sono morali e non etici.
Perché più etico della felicità non esiste.
Leggeteli i libri che fanno pensare, anche se il pensiero vi ferisce vi fa sanguinare e vi distrugge.
Perché sarete ricostituiti in maniera migliore.
Ricostituiti guardando oltre i vostri limitati sensi, verso quel uomo che DEVE diventare più importante del vostro sabato
la colpa va ricercata nell’infamia della nobiltà e del potere civile e religioso arroccato nei propri privilegi e nell’uso ignobile delle fanciulle. La più vergognosa delle ingiustizie s’era abbattuta sulle monache di Monza forzate al peccato e alle quali era stata chiesta una tremenda riparazione alla santità pretesa e violata. Murate vive avrebbero dovuto essere quelle “ignobiltà” che le avevano forzate al velo
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