La dolcezza della stasi, quel quotidiano rassicurante ripetersi di gesti, di emozioni senza scossoni, quel rifugiarsi nell’ovattato mondo creato dalle nostre certezze.
Un ventre in cui la placenta che simboleggia emozioni mai diverse, attutisce il suono della vita che frenetica scorre.
Ecco riassunto in poche, banali frasi il nostro vivere moderno. Uguale, monotono, confortante, rasserenante, mai diverso da se, sempre ligio al dovere di essere ciò che è senza ambire, a ciò che potrebbe essere se uno avesse il coraggio di occhieggiare oltre il velo. Mai un tentativo di fuga, sempre il solito drogarsi di certezze, di elementi che si assomigliano e che possono essere affrontati, dunque, con finto spavaldo coraggio.
E’ questa la nostra prigionia, la condanna bella ma….avvilente di questo strano essere che sembra uno sparuto pollo, dimentico della sua origine di aquila.
Ecco che i valori sono reiterati, fino a asservirci come sudditi ali dominanti, come se al mondo non esistesse null’altro che il reale, quello intessuto dagli stessi colori, che oggi ci appaiono bellissimi e unici.
Colori senza i quali non potremmo vivere.
Colori che, una volta tolti, provocano un profondo malessere, un dolore intenso, quello della perdita e della mancanza.
So cosa significa essere scagliati fuori dal confortante nido.
Di trovarsi cambiati nonostante i nostri urli infantili.
So cosa significa adagiarsi sulla apparente serenità di una vita che scorre senza grandi eventi.
Sempre la stessa, rannicchiati a godere di quel torpore che ha il profumo stantio della caduta.
Ecco cosa è davvero lo gnosticismo.
Non solo una visione pessimistica della vita.
Esso è la capacità dell’anima di reinventarsi una volta scaraventata fuori dalla sua zona di sicurezza in un mondo ostile e vivo, troppo vivo.
Minaccioso perché ignoto.
Terribile perché luogo di eventi celesti.
E sapete quale evento divino ci incute più orrore?
Cambiare.
Modificare il proprio non stile di vita, ma concetto di vita. Distruggere le certezze, le sicurezze e la quotidianità.
Un nero che fagocita, che dissolve il nostro personale schermo protettivo, quell’occhiale percettivo che rappresenta quasi una tutela da una vita che bussa insistente alla porta.
E’ la nigredo che ci fa scendere feriti nell’abisso.
Gementi.
Doloranti.
Inveire al cielo e bestemmiare Dio.
Perché tutto muta, tutto scorre di nuovo, in un flusso di emozioni e avventure.
So cosa si prova a comprendere che la vita è più di quella che si finge di assecondare.
Che non è la serena monotonia.
Che non è la certezza che coccola e conforta.
La vita è quel percorso in movimento che ci deve portare di nuovo a abbracciare noi stessi.
Per gli gnostici il vero io si chiamava spirito, luce, casa.
Ma per raggiungere la casa dovevamo dissolvere tutto ciò che di conosciuto e consueto vivevamo.
Persino la convinzione assurda di essere già perfetti.
Cosi come eravamo.
Umani e dediti a piaceri carnali, terreni e quotidiani.
Una famiglia, un divano, una risata.
Fino a far impallidire il ricordo di un mondo diverso, luminoso e pieno di fermento.
Diventato il terrore chiamato morte.
Ecco che per lo gnostico la consapevolezza di vivere una farsa si fa strada: non un salone riscaldato da uno scoppiettante caminetto, ma una patetica prigione.
Non sorrisi zuccherosi, ma ghigni demoniaci.
Vedere questo è la cosa più difficile che lo gnostico si troverà a vivere.
Significa ferirsi e perdere sangue.
Ma quel sangue è per ironia della sorte, la stessa rubedo che rigenera. Che purifica e trasforma.
Finché il mondo non ci appare più cosi limitato e sicuro.
Ma una foresta ricca di avventure e mostri da combattere, per trovare il nostro graal personale.
E berlo.
Fino all’ultima amara goccia.
E diventare cosi bianchi cosi ricchi di luce da essere oramai invisibili. Ecco l’albedo, la fase ultima dell’opera.
Ecco il raggiungimento di una gnosi che ci rende di nuovo tutt’uno con la fonte di ogni meraviglia, quella luce che oggi, impegnati a mantenere tutto com’è, a tenere in vita lo Jahvè ossia la forma, crocifiggiamo alla materia.
Lo spirito, la forza che va oltre.
Il segreto dello gnosticismo e dell’alchimia è uno solo: la costante ricerca, l’incessante muoversi verso qualcosa.
Qualcosa che iniziamo a bramare.
E il dolore della perdita diviene speranza per l’ottenimento di un grande premio.
E il dolore diviene il nostro maestro, la guida che ci costringe a suon di sberle a vederci in un limpido specchio d’acqua
E riconoscersi come Aquile che si fingono polli.
Ecco che i sogni di immortalità non sono più sogni.
Ma realtà.
Gnosticismo e alchimia lavorano per rendere concreta quella che molti arconti, dominatori di queste catene che indossiamo fieri, raccontano come fiaba: vivere in eterno.
Nella nostra vera forma.
Lo gnostico, come l’alchimista perde.
Costantemente pezzi di se.
Ma in cambio ottiene una vita più ricca, più viva.
Solo chi ha un grosso dolore ma anche le palle per vedere, si accorgerà di come esso abbia tolto una specie di patina grigia dagli occhi, troppo abituati a conservare la propria certezza.
E i colori appaiono più vividi.
E dalle lacrime nascono tante piccole pietre filosofali.
E nasci davvero.
E cambi te.
E evolve con te persino la realtà, che appare un orizzonte senza più limiti.
Ecco che leggere un libro sullo gnosticismo significa davvero mutare.
Davvero lottare per un diverso domani e un diverso oggi.
Per un attimo che abbia più vita e forse meno sicurezze.
Ma significa vivere, per la prima volta davvero.
Disprezzando le catene che dicono che esiste solo una via per la salvezza: questa dimensione.
Siamo fatti per alti cieli, per stelle più brillanti.
Siamo etere e universo, cosmo e costellazioni.
Siamo Dio e Dio è in noi.
Siamo figli e padri, madri, fratelli.
Siamo alberi e foglie.
Siamo tutto.
Ecco perché io consiglio a chi ha il coraggio di andare dove anche gli angeli esitano ogni libro che raccontando la parabola Gnostica, susciti una sete inestinguibile in noi.
Perché quando la falce arriverà a distruggere le nostre comodi messi, il coraggio di viaggiare ci invada.
E ci porti dove siamo destinati davvero.