“Le dodici porte. Sacrificio d’amore” di Veronica Pellegrino. A cura di Alessandra Micheli

 

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Immagino o meglio spero, conosciate le dodici fatiche di ercole. Quella meravigliosa parabola epica non è altro che un viaggio interiore alla scoperte del vero sè dell’eroe, operazione che, ovviamente, comporta una serie di prove iniziatiche, allo scopo, appunto di togliere il velo che nasconde il volto originario dell’uomo.

Il suo autentico aspetto divino.

E’ un po’ il compito che si prefigge Pirandello quando ci sussurra nelle sue fantastiche commedie, che il nostro vivere non è che una recita a soggetto.

Indossiamo la maschera preconfezionata che la società, l’educazione o semplicemente l’abitudine all’anonimato, ci consegnano quando usciamo dall’infanzia per precipitarci di colpo nel mondo assurdo degli adulti.

E cosi abbiamo due identità: quella sociale spesso adombrata da limiti e impedimenti, che celano ai nostri e altrui occhi i talenti e quella interiore, spesso oscura, fonte di ogni meraviglia come di ogni perdizione.

In quell’abisso strano, simile a una grotta sotterranea, conserviamo tutto ciò che il mondo diurno considera disdicevole.

Non soltanto quindi gli impulsi pericolosi e rei di disgregare la società ma anche competenze e potenzialità che, seppur fuori logica, potrebbero servire per alimentare e far crescere la realtà in modo meno anonimo.

Che l’anonimato, la massa sia un po’ il nostro seduttore è palese.

Si pensi all’originale provocazione fatta alla soglia della liberazione, quando nell’ardua decisione tra un ritorno al passato e un salto nel buio per il futuro, ci fu chi propose la rassicurante immagine dell’uomo qualunque divenuto simbolo di un fare politica, di uno stare in società retto da una stasi tranquilla e monotona.

Questo uomo qualunque esce fuori ogni volta che una crisi ci minaccia, quando il nostro stesso costrutto mentale, immagine e creazione della realtà in cui troviamo comodo muoverci, viene messa in pericolo da un male che ne svela le falle e le cesure.

Questo succede anche, in modo per nulla simbolico, nell’Egitto descritto dalla Pellegrino.

In un mondo che torna su se stesso, in un tempo sospeso tra il mito e il reale, la minaccia del potere corrotto disgrega la società ideale antica eppure moderna, immagine della perfetta organizzazione del cielo.

Non è un caso che l’Egitto sia stato scelto come contesto e ambientazione.

Lo stesso sacro suolo che tanto stuzzica la nostra curiosità, era una favolosa composizione in cui il sacro e il profano danzavano all’unisono dando realizzazione al concetto per nulla astratto ma reso concreto della cibernetica: un organismo onnicomprensivo che al tempo stesso ci ingloba e trascende.

Questa meraviglia agorà, laddove il potere sovrano non deriva soltanto dall’alto, ma da un patto,benedetto dagli dei, tra il faraone e il popolo che ha come scopo quello di far rispettare un’antica legge di armonia cosmica.

La famosa e poco considerata Maat.

Che la perfidia dell’elemento disgregatore, il Seth redivivo nel malvagio Darchonir mette in serio rischio.

E come in ogni storia iniziatica è un eroe che si pone come elemento di speranza.

La differenza di questo fantasy rispetto agli altri, è di aver scelto una donna come prescelta.

Non è un caso che l’elemento femminile è quello che, con il suo lato creativo, immaginativo e materno, mette un freno alla brama maschile di sopraffazione.

Non è un caso che in Egitto sia la regina del cielo con il suo amore a ridare vita al compianto Osiride, proponendosi altresì come fautrice della continuazione del futuro, di equilibrio dando alla luce il frutto dell’unione delle due energie: Horus.

E cosi Aley in tutta la sua imperfezione, inizia a procedere attraverso le dodici porte alla ricerca del segreto per aprirle e per permettere al domani, agli universi e alle mille sfaccettature di questo futuro, di unirsi e di intrecciarsi di nuovo.

La sua capacità materna di empatia e la sua pazienza saggia di intessere i fili, gli permette di rammendare gli strappi nelle dimensioni che hanno permesso il passaggio della disgregazione.

In questo meraviglioso arazzo, infatti, sono i buchi nella trama, i luoghi in cui l’energia oscura penetra che mettono a rischio l’intera esistenza: una sola dimensione minacciata significa la distruzione del tutto.

Cosa serve allora ad Aley per ritrovare la chiave capace di riunire i pezzi di questo immenso mosaico?

L’amore.

Ha sperimentato tutto.

La costruzione e la distruzione del se.

La scoperta delle sue potenzialità.

Ha riunito a se l’energia del drago.

Ritrovato la capacità di compassione.

Ora deve per forza sperimentare il potere supremo, quello che ha reso ogni eroe impenetrabile al male.

Eh si miei cari lettori.

Proprio quella immensa forza che

muove il sole e le altre stelle.

Ed è solo quando Aley/Iside torna a congiungersi con il suo Osiride, l’Egitto e il mondo intero avranno una speranza di salvezza.

Ed è emblematico che Aley troverà il senso di ogni accadimento e persino la ricetta per la redenzione e per la sconfitta dell’oscurità, in un libro.

Con personaggi che, nonostante la loro umanità profondamente carnale, non rinunciano al loro ruolo di simbolo, le dodici porte Sacrificio d’amore ci rinnova il ricordo della magia suprema, quella che attraverso la carta apre i cuori e ci dona quella strana ma appagante sensazione di immenso e di infinito.

Buon viaggio.

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