“Feroce è la notte” di Mattia Molino, Golem edizioni. A cura di Alessandra Micheli

 

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Il carnevale non è solo una festa.

Ma un vero e proprio moto dell’animo.

Nell’abitudine di mascherarci noi, in realtà, ci stiamo raccontando tramite l’uso degli archetipi.

E cosi questa festa che per molti è solo la baraonda del caos diviene, in realtà, la danza della verità.

Quella impossibile da raccontarsi nelle riunioni di ufficio, quella da tenere nascosta sotto il tappeto durante lo svolgersi delle azioni consuete nelle ore diurne.

Eppure è in quell’apparente disordine che ci cela la vera essenza umana, quella ridicola, cosi patetica da rendere la violenza l’estremo ultimo atto di un guitto caduto in disgrazia.

Feroce è la notte non è altro che il rocambolesco racconto di una notte diversa dalle altre, in cui il confine tra reale e irreale cade e con lui cadono tutti gli alibi, le giustificazioni logiche che diamo, come abilmente spiegò Vilfredo Pareto, a emozioni che derivano dall’irrazionale.

E la città che conosciamo, cosi concreta e cosi reale diviene illusoria e evanescente tanto da far affiorare, come emergesse dai fondali del nostro io, la domanda fatidica: Perugia è stata sempre cosi?

Forse si.

Forse le città che noi conosciamo cosi monotone e stantie, sotto il suolo nascondono un mondo cacofonico, colorato e al tempo stesso agghiacciante.

Un mondo dove il grottesco regna fino a strapparci un sorriso che sa, comunque di amaro, di tristezza.

Sotto la coltre grigia di quell’anonimato rassicurante emergono come vulcaniche macerie le scorie da troppo tempo nascoste, che bruciano tutto quello che si conosce, i sentimenti, la morale, persino l’etica dei valori.

E tra violenza che viene accettata con una enigmatica noncuranza, tra strani sogni che confondono il lettore abituato alle regolari trame, le nostre percezioni, il viaggio confuso dipana una matassa che nessuno di noi aveva il coraggio di sbrogliare, quella che fa dell’uomo descritto nei romanzi in modo spesso troppo edulcorato da tratti che sanno di follia, lodato da troppi attestati di stima, un semplice co-protagonista che recita a soggetto, incurante se la sceneggiatura sia retta o piuttosto occhieggi divertita all’abisso.

Il bene e male lasciano il posto a una sorta di schizofrenia folle, in una danza macabra senza fine.

E cosi, finalmente, un libro racconta di quella parte onirica che non è solo sogni e magia, bellezza e immaginazione, ma anche cupezza, mondo ctonio che spesso si sposa con la demoniaca voglia di evadere dalla solita routine, fino a bracciare con naturalezza e perfidia il limite che divide appunto la vita dalla morte.

In questa strana commedia dell’arte non troviamo personaggi, troviamo caricature, deformate e serafiche della nostra complessa interiorità troppo tempo taciuta.

Troviamo azioni riprovevoli che però, al tempo stesso, stuzzicano il nostro lato dissennato.

In fondo è solo un libro e lasciarsi andare in questi balli sfrenati non è altro che una sana azione redentiva.

Eppure, ci sarà chi ancora sussulterà di fronte a una brutalità eseguita quasi senza rimorso, all’omicidio presentato come una burla, alla voglia di potere raccontata in modo quasi comico.

Quello che il libro lascerà è il fiato corto di una lunga corsa, le fauci secche come dopo una bevuta, una testa intontita come chi troppo indugia nei regni onirici.

E una domanda martellante, incessante e enigmatica: davvero la nostra realtà è anche questa strana violenza che sa di libertà?

Un libro indimenticabile che scorre tra le vene con il leggero aroma dei peggiori seducenti veleni.

Un libro che è come l’assaggio di assenzio che diede luogo alla visioni bizzarre di Rimbaud.

Eppure, indispensabile come il sorso di infinito che si respira in certi posti selvaggi, laddove le leggi umane non possono, non hanno diritto di attecchire.

E’ la meraviglia della contraddizione, del mondo che si rivolta e che diventa specchio del nostro vero io.

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