“Malvagio fino all’osso” di Tony J. Folder,Nua edizioni. A cura di Alessandra Micheli

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Più il libro è bello, più profondamente parla a qualche zona nascosta della mia anima, più trovo difficile parlarne.

E’ impossibile narrare su carta o meglio su PC le mille sensazioni, le riflessioni che una lettura talentuosa mi procura.

E malvagio fino all’osso è quel genere di thriller che non si districa soltanto con la risoluzione del caso, né con l’investigazione ne con la raccolta di indizi.

E’ una scrittura che va oltre, che infligge un colpo alle nostre certezze ponendoci di fronte un grosso dilemma: cos’è davvero il senso di giustizia?

Capiamoci.

A parole siamo tutti bravi.

Siamo tutti preparatissimi a livello etimologico.

Sappiamo definire perfettamente cosa sia la rettitudine e persino i suoi confini, tanto che essi appaiono molto rigidi e talmente stretti che nessuna sfumatura sia possibile.

Cosi la legalità è bianco o nero, cosi noi dovremmo abbracciarla senza oscillare o indugiare nel pernicioso antro del forse, del se e del ma.

La legalità non si discute.

Anche se l’esperienza ci racconta una storia che non ci piace per nulla, laddove atti considerati antisociali dal sistema vigente, sono risultati indispensabili per restituirci una libertà perduta.

La legge, quindi, dipende dal nostro stato e dalla politica che fa nascere la cultura atta a sostenerla?

Questa è un altra storia.

Quello che, invece sottolinea il nostro libro è altro.

Non mette in dubbio i canoni su cui si impianta il senso di giustizia, o non si cura dei motivi che spingono a infrangere i limiti imposti dalla volontà di sopravvivere.

Nessuno mette in dubbio che, in fondo, i dieci comandamenti non sono altro che lo specchio di una società utopica e rispettosa dell’altro, e che ogni gesto compiuto contro questa omogenea compagine intessuta da mille fili diversi, ha come causa la disgregazione sociale.

Nessuno pensa che, sia lecito un omicidio, un furto o una speculazione finanziaria.

O che so la compravendita di esseri umani.

Almeno lo spero.

Il problema sorge quando questi delitti, questi compromessi che mettono in difficoltà l’armonia della Maat cosmica, toccano una persona a LORO vicino.

Che sia un familiare, che sia un figlio, o che sia persino un ideale, ao un eroe.

Con questo non voglio apparire un vendicatore a ogni costo.

Ne voglio essere sostenitrice della rigidità di un concetto.

So benissimo vivendo in una città che spesso ci pone in una condizione in cui la scelta è davvero ostacolata da esempi beceri e da mancate opportunità, può spingerci verso la zona più oscura e profonda, nascosta dai quartieri per bene.

So che spesso una scelta è una sorta di condanna.

Chi nasce con l’idea che solo una via sia possibile, non è altro che lo schiavo della nostra incapacità di rendere, una vita variegata e profondamente complessa, un qualcosa di stantio e immutato.

Sei nato nel quartiere difficile, con un padre in galera, in un mondo in cui il compromesso è possibile e sei condannato a ripetere passi storti di altri.

E’ la percezione che è sbagliata.

E’ quell’idea di realtà che la rende concreta.

Eppure, il nostro Bliss ci dimostra che è semplice decidere di osservare le mille strade e le deviazioni e che alla fine possiamo decidere di prendere la scorciatoia attraverso il bosco, o la ricca strada piena di luci scintillanti e fervide promesse.

Il destino non è che una parola e siamo noi a decidere quale rotta la nostra nave deve e può scegliere.

Bliss lo dimostra.

E dimostra che si può vivere negli squarci strani della normalità senza per questo essere devianti.

Il problema per chi riesce e deve mantenere il suo equilibrio anche durante le tempeste, viene improvvisamente scagliato davanti al crollo di tante, troppe illusioni.

Un gesto che porta conseguenze, un eroe che improvvisamente rischia di essere sporcato da liquami di scorie, quelle che noi costantemente combattiamo e cerchiamo di pulire e tenere lontano dal nostro giardino. Bliss si trova di nuovo davanti all’atto più coraggioso di un essere umano: la decisione se sfidare osservando negli occhi la verità o fingere che essa non sia importante, ignorando i tentativi disperati del suo bussare alla porta della nostra coscienza.

Ogni scelta provoca un crollo.

La prima deve distruggere completamente il nostro io e ricostruirlo. Significa abbandonare certezze e sicurezze a andare in luoghi inospitali attraverso salite e discese impervie.

Il secondo fa restare tutto com’è ma ci rende progressivamente sordi. E questo compromesso comporta la totale anestesia della parte migliore della nostra anima, quella ribelle, quella sognatrice, quella che crede. Bliss sa cosa rischia di perdere nel continuare nella sua assurda battaglia per ridare voci ai morti, che sono sempre purtroppo i nomi più scomodi, quelli che sono al margine, quelli che ci servono per sentirci migliori. Quelli che sono solo vittime di questo nostro pazzo mondo.

In realtà il libro ci dimostra una difficile verità:

Ma c’era una differenza tra voler uccidere e farlo davvero.

Desiderarlo era una reazione molto umana a un comportamento estremo, al limite della malvagità.

Farlo significava compiere un passo ulteriore verso un’area in cui moralità e giustizia si confondevano, formando un limite sfocato e indistinto.

Ed è del superamento di questo confine, quel decidere di annullare la propria etica e fissare bramosi l’abisso, che il libro parla.

E lo fa presentando non un eroe puro e senza macchia, ma un essere umano splendido e di esempio proprio per quella sua capacità di cadere, di annichilire il proprio io con la disperazione.

Ma anche di risollevarsi e provare compassione.

Per se stesso e per l’altro.

Un uomo ferito, in costante lotta con le sue ossessioni, i suoi sensi di colpa, alla ricerca di un perché che è disperso nel vento.

Con delle perdite impossibili da superare, con le quali deve soltanto imparare a convivere.

Ma che non perde la fede in qualcosa che, in bocca sua non è soltanto la definizione, ma un modo di vivere.

Di sentire e di approcciarsi all’altro.

A prescindere dall’etichetta che porta. Un protagonista che sembra quasi una proiezione di me stessa.

Perché anche io nonostante inciampi, nonostante spesso mi inquini il cuore non ho mai smesso di credere nella giustizia.

E nella riparazione dei torti.

Malvagio fino all’osso è un libro scrigno, che è già bello cosi come lo vedete, cosi come lo sfogliate anche con apparente superficialità.

Ma che, quando si va in fondo, diventa cosi abbagliante che con le sue radici avvince l’anima.

E ci racconta una storia, storia che ci libererà dalle catene di questa sperduta società.

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