“Pot-pourri” di Giovanni Nikiforos. A cura di Alessandra Micheli

Potpourri- Giovanni Nikofotros.jpg

 

Conoscete il pot pourri?

Non è un nome di una rara malattia tropicale, o di un animale mitologico scoperto sotto la tomba di Hatshepsut.

Ne una volgarità prodotta da qualche irriverente dialetto.

Ma si tratta di una composizione realizzata con elementi disparati, dagli oli essenziali, ai petalo di fiori secchi.

Ho visto anche pot pourri con sassolini odorosi di varie strane essenze, dalle classiche alle più particolari, mirra, dattero o patchouli.

Lo usiamo spesso per dare ai nostri ambienti domestici un aura quasi magica, perché sappiamo bene che il senso dell’odorato è quello che di più stuzzica la nostra mente producendo ricordi, emozioni, e riunendoci con la parte immaginaria, quella nascosta e oscura.

La cosa particolare della strana decorazione è che, nonostante riunisca in se diverse anime, sono tutte parti di un mondo naturale da cui noi proveniamo e da cui torneremo a far parte.

E esalta quelle meno eclatanti, quelle di impatto meno scenografico.

Del resto chi ama i fiori e i petali secchi?

A molti danno un senso di decadenza, di tristezza e di “marcio”.

Non a caso il termine significa appunto pot vaso pourri marcio.

Eppure, chi ha un animo particolare sa che il petalo essiccato è qualcosa di profondamente vivo e quasi romantico.

Un romanticismo gotico forse, ma sempre in dialogo con la parte di noi chiamata, erroneamente cuore.

L’odore di fiori secchi è legato alla memoria.

Ci rimanda alle stagioni specie quella dell’autunno dove tutto apparentemente sembra morire, ma in realtà si nasconde per sbocciare quando meno te lo aspetti, in un giorno di sole, freddo che all’improvviso squarcia la nuvola e ti riscalda la pelle.

Direte voi perché questa dotta disquisizione?

Perché in fondo ci troviamo di fronte a una composizione letteraria fatta di anime diverse eppure unite da una stessa origine: le emozioni.

Tante sono quelle che invadono il nostro menestrello e sono cosi forti, cosi potenti che devono per forza essere rese vive su carta.

Del resto la parola è magia, la parola è incanto la parola è creazione. Siamo nati dalla parola e dalla parola in fondo lasceremo questa dimensione.

Dalla vita “cosi fu” all’addio, che mette un punto nel nostro tortuoso cammino.

E cosi il libro non è altro che questo viaggio attraverso suggestioni create da questo strano mondo, che non è altro che indegno riflesso di qualcosa di più grande, che si sfugga costantemente, che non possiamo definire, che non possiamo confinare in concetti.

Spiegare la vita attraverso la filosofia è facile.

Bastano due o tre termini colti.

Ma raccontarla attraverso il sangue che sgorga dal cuore, quando un evento dal più semplice al più profondo ci percuote l’anima, è un dono riservatario a pochi.

E cosi pot oporri parlerà in modo diverso a ciascuno di voi.

E ciascuno di voi troverò la sua frase, la SUA storia, la sua poesia.

E sarà solo unicamente la voce di Giovanni che si rivolgerà a te, lettore a te e solo a te per dirti un segreto, quello che di notte sussurri al silenzio. E cosi la parola troverà il suo rifugio e la sua destinazione ma soprattutto il suo vero, unico senso.

Raccontare.

E non è cosi banale questa sua missione.

Raccontare non è informarci della frustrazione del momento, di un dolore privato, di un qualcosa che è solo esclusivamente nostro. Raccontare è intessere un filo per porgerlo all’altro che a sua volta ne intesserà un altro, fino a che l’arazzo più bello propenderà fine e sarà ricco di altre storie, altre esperienze che servirà a Dio per difendersi dal freddo della mancanza di fede.

Che userà come un mantello per vagare in cerca di altri miracoli da far germogliare con il suo respiro, da altri mondi a cui dar vita.

Fino a che l’eternità non sarà fatto tangibile.

L’eternità è il racconto, arricchito da mille voci, un coro fatto di dettagli e sfumature.

Fatto di mille sbagli e mille dolori sempre uguali e sempre differenti, da odori sapori e un solo unico obiettivo lasciare un impronta su questo mondo tanto odiato e al tempo stesso tanto amato.

Allora prendete il libro e trovare la vostra storia.

E iniziate a tessere il mantello per il dio, il vostro magari.

E coloratelo cosi come Giovanni ha colorato il suo.

E ne esce un dio che riconosco e la tempo stesso mi fa curiosità: quello che vive nelle cose apparentemente scontate o banali, in un regalo, in un aforisma, in un nonsenso, in una battuta.

E’ un dio che è profondamente umano e al tempo stesso magico.

Perché non ha bisogno di tanti miracoli, perché l’unico vero autentico miracolo è quello di vivere.

Anche se sappiamo che siamo solo parentesi, ma che belle parentesi!

Come?

Volete sapere qua l’è la mia storia?

Curiosoni!

E’ la poesia che racconta tanto di me e si chiama ”straccioni si nasce e io modestamente…”

Se pur patir fame

io lo trovi normale,

dispettose le brame

sanno farmi volare

con la mente in un sogno

fatto di vino e di pane,

con la voglia e il bisogno

anche di un osso da cane.

Mi direte: “Straccione,

cerca allora un lavoro:

diminuirà la tua fame,

aumenterà il tuo decoro”.

Ma il decoro, signori,

lo lascio a chi lo vuole:

io mi tengo i miei amori,

io mi tengo il mio sole.

Perché amo questa poesia?

Perché parla di me.

In fondo, io sono quella che osserva il silenzio e ode i sussurri del vento, con i fruscii saggi e lievi degli alberi.

Sono quella che sta nei luoghi più decorosi e al tempo stesso ride perché prende il te con il Cappellaio e la lepre marzolina.

Sono quella che cammina per il dignitoso quartiere, ridendo perché accanto a me c’è il gatto del Cheshire che prende in giro i passanti, grigi e tristi stretti nella loro malinconia.

Sono quella che si veste perfetta ma nasconde la coda di una lupa che di notte ulula alla luna.

Sono quella che vede le fate danzare il primo maggio attorno a una radura e i folletti che rubano oggetti e la gente stolta pensa che ha perso la memoria.

Sono quella che sa che la morte non è nulla e per questo non trova normale piangere chi è soltanto passato attraverso il velo.

E Giovanni è cosi.

E’ il protagonista della bellissima canzone di Vecchioni, il violinista sul tetto che continua imperterrito a suonare fregandosene se nessuno lo sente:

Che mme frega se nessuno sente,

Tanto non lo suono mica per la gente.

Se nessuno sente, sòno per le stelle;

Dillo a babbo, dillo alle sorelle

Sòno per me solo, sòno per le stelle.

Noi lasciamo a voi successo e decoro.

A noi interessa solo ridere e sognare.

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