“Come sciacalli senza cuore” di Alberto Alessi, 0111 edizioni. A cura di Alessandra Micheli

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Durante la lettura del libro di Alessi un emozione si è fatta strada in me, un emozione che ho sempre tentato di tenere a bada dedicandomi anima e corpo ai libri: tristezza.

E questo non perché il libro sia mal scritto o abbia una tecnica scadente o una struttura che cade a pezzi.

A cadere a pezzi, cosi come emerge da Sciacalli senza cuore, è la letteratura.

Alessi ha una penna feroce e quasi con crudeltà la usa come un’arma, strappando il comodo velo dietro cui nascondevano consapevoli, tutta la decadenza che oggi inquina la nobile arte della scrittura.

Alessi mostra tutto.

Un editoria feroce più affamata di business che di bellezza, l’autore obnubilato da ossessivi sogni di gloria.

A uscirne a pezzi, seppur vestito a festa, è ovviamente il libro.

Cosa succede ragazzi miei?

Da quando l’inventiva contenuta nell’arte della narrazione si è trasformata in pubblicità?

Quando si è abbrutita dedicandosi alla ricerca di soldi facili?

Da quando il sogno di chi crea incanti fatti di parole, cerca soltanto il successo o la visibilità?

L’interesse non è più nutrire la nostra anima con versi, parole, trame e quella nota musicale che avvolge il testo, con vocaboli ripetuti come una cantilena, nella nostra testa.

Non è più nelle immagini cosi simili alle nostre follie, alle esperienze più intense, cosi simili al nostro bisogno di amare e essere amati, in quei libri come scrigni segreti da cui trarre piccole perle per adornare un corpo spoglio.

L’interesse è nel farsi venerare soltanto grazie al proprio nome tatuato su un qualcosa che assomiglia al libro, ma non è il libro.

Ecco perché l’autore muore quasi suicida, perduto in un patto satanico che in fondo gli ruba l’anima.

Ecco perché persino l’editore sogna non di regalare illusioni al mondo, di far si che le porte delle percezione si aprano su altri universi.

Sogna semplicemente di lucrare sul sangue di un popolo che, senza i libri e il pensiero, diviene semplicemente involucro vuoto, pronto a essere imbevuto di ogni idiozia e di ogni falsità.

L’editore oggi è produttore e imprenditore.

Non è più l’uomo della pioggia che ci prometteva di aprire il cielo e farlo piangere per noi.

Non è più il giocoliere capace di stregare gli occhi dei bambini con le sue mirabili acrobazie, fatte di punti, virgole, lettere e ritmo.

Non è più il Cappellaio matto che ci regala le sue follie affinché colorarino un po’ questa grigia realtà.

E cosi se l’editore non produce più arte, di conseguenza come in una malvagia spirale l’autore stesso, perde il suo ruolo di sognatore e divenire solo pubblicitario che, lungi dal regalare sogni, ostenta solo slogan privi di sentimento.

Alessi, con una sublime tecnica, mescola narrazione e realtà, alternando fatti e estratti di pseudolibri. E’ cosi che mostra un mondo di recensioni finte, parti di uno stresso aborrito ingranaggio.

Ci mostra tutta la falsità di un mondo che si regge sul vuoto, sul significato assente, eppure dato per protagonista.

Ed è proprio cosi che appare evidente come tutto il sistema, sia solo ricco della voglia di stupire, di far indignare, di creare la polemica per far parlare di se.

C’è la voglia egoica di emergere, convinti del proprio presunto valore, ammazzato e sotterrato dall’eccessiva consapevolezza di se.

Chi scrive non può essere concentrato su se stesso.

Chi scrive al pari dell’apprendista stregone, usa gli ingredienti giusti, inchiostro carte e fantasia per aprire i portali dei regni del numinoso, per passeggiare, emozionarci e carpire i suoi segreti.

E sono i segreti del mondo arcano a presentarsi ai suoi occhi divenuti quelli di un bambino, puri incantati, meravigliati.

E sono i segreti a balzare fiduciosi dentro di lui, perché hanno bisogno di raccontare storie per esistere e per donare a quell’angolo incantato di universo, l’energia dello scrittore e del lettore che sospirerà su quelle parole.

Lo scrittore quando crea non esiste più.

E’ un tramite, una porta da cui le suggestioni allegramente arrivano, baldanzose e entusiaste.

Oggi c’è troppa convinzione del capolavoro, c’è troppo protagonismo, c’è solo la volontà di proporre non un libro ma un apologia agiografica su se stessi.

Allora dove sono le parole che da bimba e da adolescente poi, hanno spronato la mia volontà di crescere e di andare curiosa per il mondo?

Non esistono più.

Sono state sconfitte dalla brigata dell’apparenza, derise dai fautori della finanza ammanettate e imprigionate nelle regioni ctonie più remote dai militanti del profitto.

Oggi il libro è merce.

E’ semplicemente oggetto e non più soggetto.

E’ feticcio è prodotto commerciale.

E’ senza anima.

Allora forse solo la penna di un nuovo Cyrano, privo di paura e con coraggio, potrà farci sanguinare dal dolore, affondare la spada nella ferita affinché dal sangue versato come una fenice, la letteratura potrà risorgere.

Il libro non è in vendita.

Cosi come è impossibile vendere l’anima perché non nostra ma appartenente al regno del divino.

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