Ho sempre amato camminare nei vicoli della mia città cosi brulicanti di vita, con quelle persone che portano con se tante storie diverse, cullata da mille voci, accenti e persino sonorità straniere.
Mi trastullo immaginando sprazzi della loro esperienza umana, scrutando emozioni celate nel profondo degli occhi, cercando anche con un sorriso, un saluto un contatto.
Ogni volta Roma mi raccontava una storia diversa, mi regalava un aforisma, una frase al momento giusto, una condivisione anche breve di un attimo doloroso o gioioso.
Ogni volta tornavo ricca di sensazioni che poi riversavo su un foglio di carta, cercando di rendere reali quei colori dell’anima che mi avevano sfiorato.
La gente era il pane quotidiano di ogni persona con un afflato artistico più o meno sviluppato, la gente era rumorosa ma mai cacofonica.
Nei bisbigli nelle urla dei venditori ambulanti la volontà continuava a mordere la vita, succhiando da essa la speranza, quella di durare nel tempo e di rendere anche l’esistenza più banale un capolavoro.
Il quotidiano era la poesia quella nascosta dietro gesti ripetuti ammantata di saggezza quasi sacrale, di sogni mai del tutto abbandonati che venivano regalati all’altro con generosità.
Poi improvvisamente qualcosa è cambiato.
L’essenza pura della mia gente e non solo, si è trasformata in stanchezza, noia e solitudine.
Oggi passeggiare per i vicoli non procura lo stesso brivido ma solo una profonda malinconia.
Un immenso e terribile vuoto.
Abbiamo perduto qualcosa durante il nostro affannoso percorso verso l’evoluzione.
Apparente, ammantata di successo, tolta dai mercati e messa in belal vista sui social.
Come direbbe Renato Zero
Hai perduto quel tuo fascino
Quel tuo profumo tipico,
il brio
Furbizia ed ironia
Quello che oggi manca è semplicemente l’amore.
Un amore che si sviluppava nell’anima e che rendeva poetico anche la risata, la battuta, il giocare con parole e gesti.
Insomma che rendeva unica anche la vita meno fastosa.
E cosi alla ricerca di un apparenza capace di seppellire un anonimato che spaventa, ci siamo fissati nel rincorrere i fuochi fatui.
E siglare con i sogni, il patto con il nostro personale Faust.
Il risultato?
Non certo il brio e l’adrenalina che immaginavamo.
Ma soltanto ferite sempre più ampie e sempre più infette.
E la ricerca costante, ossessiva affannosa non della cura, quella sarebbe un semplice tornare dentro le regioni oscure del proprio io, ma il sollievo.
Questa terrificante piaga moderna non può non riversarsi sul mistero della psicoanalisi.
Lungi dall’essere un percorso verso la consapevolezza e la conoscenza di se stessi, verso la riappacificazione con il proprio distratto io, viene piuttosto considerata come una ricerca della ricetta perfetta per superare quell’odioso senso di perdita, quella noia che ci affligge e quella sensazione sempre più violenta di vuoto.
Ci servono astuti e arguti consigli pret a porter non tanto per indagare le profondità delle nostre ferite, magari per farle spurgare affinché si cicatrizzino in modo naturale, quanto per coprirle con un perfetto make up.
Ecco perché leggendo il libro di Masina, la malinconia ha bussato testarda alla mia porta. Nella storia profondamente umana dell’analista, che convive con la sua solitudine resa, forse ancor più chiassosa dall’affollarsi di storie altri, emerge un elemento che mi colpisce e riguarda più da vicino mirabilmente espresso dal nostro autore:
Anche tra le psicoterapie, fra cui ormai la psicoanalisi è una mosca bianca, vengono preferite quelle brevi e strategiche, che si offrono di insegnarti in poche sedute cosa fare in ogni circostanza della vita. Terapie in pillole.
Eppure questa fretta, questo fare e disfare relazioni senza fatica, non produce felicità ma, piuttosto, una angosciosa solitudine.
Siamo davvero arrivati a rinnegare le emozioni per inseguire un piacere effimero?
E’ davvero la solitudine il male del secolo o è la nostra incapacità a aprirci al flusso della vita?
Anche tra le psicoterapie, fra cui ormai la psicoanalisi è una mosca bianca, vengono preferite quelle brevi e strategiche, che si offrono di insegnarti in poche sedute cosa fare in ogni circostanza della vita. Terapie in pillole. Eppure questa fretta, questo fare e disfare relazioni senza fatica, non produce felicità ma, piuttosto, una angosciosa solitudine.
Il vantaggio di una seduta con un professionista è nel rapporto, anche difficoltoso, che si instaura tra due persone.
Lo psicoterapeuta non è per nulla il guru che ci elargisce astute strategie, è quell’altro che ci serve per osservare noi stessi, l’altro che nella vita di tutti giorni neghiamo e distrattamente lo rendiamo invisibile.
Nella stanza della terapia l’interazione è invece possibile grazie alla mancanza di distrazioni; siamo noi e il terapista, siamo noi e lo specchio che riflette il nostro buio cosi come la nostra luce.
In questo rapporto particolare e a tratti pericoloso, noi riusciamo a trovare la mappa che ci guida in inesplorati luoghi, distanti dal vivere comune che ci costringe a seguire una strada prestabilita:
Eppure il dottore pensava che, con tutti i suoi limiti, la Psicoanalisi rimanesse una cosa meravigliosa che consente di aiutare tante persone ad assumersi la responsabilità della propria vita e a darle un senso più personale e profondo. La riteneva la più importante forma di spiritualità laica nel mondo occidentale, capace di indagare quella che tanti filosofi, da Socrate a Foucault, avevano chiamato “l’arte del vivere”; il metodo che consente di immergersi in un mondo di cose immateriali e sfuggenti.
Ecco che in questo libro il terapista torna a essere un uomo, che ha semplicemente la voglia e la curiosità di indagare prima se stesso e poi l’altro. E nel suo essere uomo affronta assieme all’altro non più paziente ma persona con un bagaglio di storie da raccontare, tutta una seria di emozioni che, a differenza degli altri, non nega ma affronta.
E cosi il meraviglioso rapporto tra due entità che solo attraverso il dialogo divengono persone si colora di mille sfumature diverse, che passano dal necessario rigore e distacco del professionista alla tentazione di farsi sfiorare e abbracciare dai sentimenti appena sbocciati. Ed è in questa fragilità di entrambi, paziente e terapista che si incunea il vero autentico segreto della psicoanalisi: un rapporto costante che fa crescere entrambi i soggetti, ed è in questo flusso di movimento che la crescita dell’umo spinge la crescita dell’altro.
Un libro che non è solo un atto d’amore a un disciplina che ci terrorizza perché illumina le ombre dei nostri alibi, ma che è un atto d’amore allo stesso uomo, capace di percorrere gli abissi, cosi come di passeggiare tra i meravigliosi campi elisi. E allora il viaggio torna a essere pieno di meraviglia e di spernza, di scoperte e di discese, una prova, un percorso iniziatico che tra dolori, frustrazioni, rabbie, amori illusori e voragini non smette di stupirsi di fronte al paesaggio inondato di sole:
Guardò dalla finestra e vide che il disco del sole si era levato alto nel cielo e splendeva luminoso. La giornata che aveva davanti, dopo molto tempo a questa parte, gli sembrò piena di promesse. Nulla era concluso. Tutto era ancora possibile.
E nel farci scoprire di essere meravigliosamente vivi, anche se le ferite prudono e sanguinano, che la psicoanalisi vince sulla banalità
Pingback: “La speranza che abbiamo di durare” di Emilio Masina, Emersioni editore. A cura di Alessandra Micheli — LES FLEURS DU MAL – BLOG LETTERARIO | l'eta' della innocenza