Nella prima recensione avevo considerato il mito degli ARCHAI uno degli archetipi fondamentali del vivere umano:
“Pertanto la ricerca del creatore dei mondi, tutti collegati, tutti appartenenti a questo universo nato da un esplosione di particelle, nato da un sogno o da un ricordo di dio, può portare alla costruzione di un regno di pace senza guerre e contrasti. Ecco che si riuniscono gli elementi imbizzarriti, come molecole impazzite, in un qualcosa che da forma e al tempo stesso sostanza, un elemento di costruzione e non di disgregazione caotica, un mosaico organico, complesso in cui i depositari del sapere arcano sono anche i custodi dell’originario patto con cui gli elementi umani decisero di riunirsi in una compagnie sociale: la sopravvivenza e perché no la ricerca della felicità perché soltanto l’unione porta con se.”
In questo secondo volume questa volontà, quest’esigenza di una comunità capace di aggregarsi attorno non alla necessità della sopravvivenza, garantita da un potere assolutistico,ma su una empatia e una compassione, si fa sicuramente più pressante.
Non solo perché siamo alle battute finali, ma perché gli elementi disordinati, senza un collante che li unisca, in un qualcosa di solito e concreto, vagano impazziti, fino a cozzare uno con l’altro.
Per usare un esempio tratto dalla scienza chimica: senza un legame più o meno robusto, gli atomi viaggiano veloci si scontrano e non sempre creano molecole.
Per porre in essere la vita anche inorganica, c’è bisogni di un legame. Questo non esiste nel secondo libro di Archai, la torre di fuoco.
Guerra ovunque.
La solita devastazione portata avanti per uno dei motivi più abietti umani la vendetta e la volontà di un superuomo di porsi come dominatore del mondo.
E della società che si forma, e rischia di formarsi sull’identità dell’assolutista.
Hèeri è il legame che manca a questo mondo.
Ha cercato se stessa scoprendo, in un autentico viaggio dell’eroe se stessa e il proprio potere.
Ma adesso, per compiere il destino suo ma di ogni essere umano ossia pensare e quindi creare una società diversa deve scontarsi con un simbolo antico, pericoloso e al tempo stesso rigenerante: il fuoco.
Cos’è mai questo fuoco?
E’ tutto ciò che di istintuale l’uomo possiede.
Che sia rabbia, un ideale che rivendica un torto, la volontà di distruggere tutto il conosciuto per poter costruire l’ignoto, il fuoco è un potere ambivalente e per sperimentarlo bisogna lasciarsi avvolgere sulle sue spire.
Perché se il fuoco crea e scalda, può anche incendiare e ridurre a cenere. Ovviamente per una ragazza che si sente profondamente umana e forse banale, il pensare di immergersi nel fuoco, sconfiggerlo e usarlo per dare vita a il nuovo è avvertito come un compito immenso.
Quasi più grande di quella sua sperduta anima.
Ed è qua che Heèri sperimenta in un innovazione egregia qualcosa che agli altri eroi è mancata: la sua fragilità, la sua disperazione di fronte all’immensità di un compito immane che è quello di dare speranza agli altri ritrovando l’origine perduta, dentro di se, simboleggiata dagli Archai.
Un po’ quello che dovremmo, oggi fare tutti noi, noi cittadini di un mondo allo sbaraglio.
Perché soltanto tornando ad appartenere alla saggezza di un mondo antico eppure sempre nuovo possiamo sconfiggere il disordine/guerra.
Una guerra che nasce per dividere l’indivisibile, nasce per creare schieramenti e porre in essere la dicotomia nemico amico vittima e carnefice e vendetta/perdono.
E soltanto, quindi, cadendo, risalendo la china di un abisso di rischio, mettendo in discussione le acquisite consapevolezze e imparando a entrare nel fuoco e lasciarlo agire, il mondo di Hèeri può avere una speranza di redenzione.
In fondo, solo dopo una buia notte possono rifulgere le brillanti stelle.
Con il suo stile innovativo ma profondamente rispettoso della tradizione, Letizia da vita a un libro godibile dove i generi si toccano e dialogano uno con l’altro, creando, appunto qualcosa di unico e originale com’è la sua impavida autrice.