Mi sono chiesta che senso può avere raccontare le vicende di una donna semplice ma profondamente imbevuta di fede.
Una fede che oggi deridiamo, che troviamo quasi fuori moda o che consideriamo un abitudine o peggio parte della nostra italica tradizione.
Sono tempi disperati eppure, stranamente più perduti verso labili sogni di gloria, verso un successo capace di lenire ogni ferita e di calmare la voce dell’ossessione.
Siamo un mondo frustrato dedito all’apparenza, alla bramosia voyeuristica del tutto e subito, dell’immagine che ci fa esistere e che troppo spesso, sostituisce la coscienza e il piacere di vivere.
Io non mi ritengo affatto religiosa.
Eppure so quant’è importante credere in un ideale, in un valore o cosa ancora più importante nella perfettibilità umana nonostante il dolore che questa creatura fatta di soffio divino, sembra infliggere al suo ecosistema e all’altro.
Considero fondamentale aver fede e imparare a osservare tutto ciò che ci accade, ogni esperienza, seppur dolorosa, come una prova da superare per conquistare una diversa percezione del mondo.
Ed è anche il dubbio, il lottare contro dio come fece Giacobbe per ottenere un nuovo nome, che ci spinge sempre di più verso le braccia di un eterno che, volenti o nolenti, sembra esistere sopratutto come un richiamo dentro di noi.
Se non avessimo bisogno di assoluto probabilmente non andremmo sempre in un affannosa ricerca di modelli, di eroi e di esempi.
Non avremmo questa brama del cercare, comprendere, del correre, dello sperare.
E’ che confondiamo l’assoluto che è dentro di noi, nel nostro DNA di creatura, amo ripeterlo fatta più degli angeli e coronata di stelle e gloria, con il piacere momentaneo che una volta raggiunto ci lascia l’amaro in bocca e una costante voglia di ottenere di più.
Proprio perché quello che oggi ci spacciano come modello o soluzione non è che un pallido e ridicolo imitatore del senso vero del nostro esistere ossia l’evolversi, il ricercare la totale connessione con il cosmo in una beatitudine armoniosa con il tutto.
E’, in fondo, trovare dentro di noi il volto di dio.
E anche una non religiosa come me resta affascinata dal modello proposto da Maria Cristina Pizzuto, Filomena una donna con una forza incredibile che, però, non è la solita a cui siamo oramai assuefatti.
Non è una donna alla ricerca della sua indipendenza a ogni costo, una che non fa altro che ribellarsi allo status quo.
Nonostante il periodo in cui si trovava a vivere, fatto di restrizioni, di limiti, di pregiudizi era una donna libera.
Perché libera nell’animo, libera nella mente, libera nella coscienza.
Filomena non si è mai fatta trascinare dal rancore ma ha sempre avuto fede.
Fede che ogni evento dal più doloroso al più lieto e gioioso non era altro che un’occasione per crescere, per imparare e per liberarsi da ogni costrizione, da ogni maschera.
E cosi ci troviamo di fronte una donna che della vita ne fa la più bella opera d’arte, che il perdono la rende libera dai rancori, che l’amore per dio la rende discepola capace di donarci un vero autentico modello di fede.
Poco importa che consacriate poi questa fede a una specifica divinità.
Importante è che la verità, che troverete in voi, quella gnosi capace di lacerare il teatrino della menzogna di quell’arconte che ama legarci e incatenarci alla materia, vi renda liberi.
E se questa lettura può farlo, può donarvi le chiavi per uscire dalla prigione, la storia di Filomena non sarà perduta.
Non sarà soltanto una bella narrazione.
Sarà la chiave per tornare a essere cosi importanti da aver costretto qualcuno a coronari d’amore.
Nel mondo ma non del mondo
nulla possedendo e da nulla esser posseduti.
Proverbio sufi