“Scrivere un romanzo è come mettere in mostra una parte di sé. Nel caso di questo libro, ho vissuto in prima persona le emozioni che spero di avere suscitato nel lettore. Per farlo, sono arrivato ad appoggiare la schiena sul muro della fucilazione.
Esiste ancora (…)”.
Villamarzana, 1944.
43 persone vennero rastrellate e sommariamente fucilate dalle squadre fasciste. Un’esecuzione in piena regola, tra i tanti fatti simili che costellano la guerra civile nell’Italia di quegli anni.
L’episodio del polesine è ricordato da un sacrario, con annesso museo.
43 persone su poco più di mille abitanti significa che ogni famiglia, ogni discendente ha un parente assassinato.
Italiani contro italiani.
Un dolore che perdura malgrado l’avvicendarsi delle generazioni.
Tutti civili le vittime.
Bombato prende spunto da questo finale e intesse una serie di trame e sotto-trame, tutte collegate.
Ha una scrittura pulita il nostro: non aggiunge nulla di superfluo, non fa pathos gratuito.
Scrive, in un precipitare di eventi, la vita di persone semplici di paese, la tensione sottesa del cappio che si stringe attorno a vittime e carnefici: tutti uniti dal destino, tutti legati.
Fascisti.
Partigiani.
Nel mezzo, come da prassi, una storia d’amore.
Ma senza languori.
Ricorda Guareschi, nella sua pulizia, nell’emozione data dal narrare.
I colpi di scena non mancano.
L’autore si offre a mostrare il gioco del gatto con il topo fra due schieramenti antitetici.
Spietati entrambi.
Entrambi, in qualche modo, sanguigni, epici. Tragici.
La Storia che narra è troppo reale, troppo concreta affinché la fiction travalichi la cronaca.
Vivono ancora le persone che ricordano, che videro, che piangono.
L’autore sfoggia un raro gusto del decoro nel rendere romanzo un crimine tanto efferato.
Il rispetto che nutre, trasuda dai ringraziamenti:
“…sono arrivato ad appoggiare la schiena sul muro della fucilazione”.
Bombato tocca quei mattoni segnati per sempre, cristallizzati dalle 42 morti (la 43esima vittima verrà freddata sulla tomba di famiglia), e ci sbatte contro il lettore, affinché renda omaggio a chi – pur essendo morto – è ancora con noi.
Tra noi.
La storia dei due innamorati è a lieto fine, con tutta l’amarezza che comporta ottenerlo dopo una strage.
Chi sopravvive, chi vive porterà il ricordo. Perpetuando.
Ogni italiano, credo, ha un ricordo di famiglia, un parente, una vittima fra chi visse quell’epoca.
Ricordo una signora di 90 anni, incontrata per caso nel mio paesino del Centro Italia: mi narrò, piangendo, che il padre e il fratello erano stati fucilati davanti a lei ragazzina.
A 90 anni, ancora li vede, ancora pensa a quell’istante. Ebbene, grazie a questo romanzo, l’autore è riuscito a rendere ogni lettore testimone oculare dei fatti.
Villamarzana, 1944: noi c’eravamo.
E ricordiamo.