
Ecco nuovamente il mio amato Pablo a irriderci con la sua intelligenza soprannaturale.
Stavolta è molto più serafico.
Sta seduto sereno mentre osserva quasi distaccato i drammi che noi umani recitiamo.
E in fondo è cosi che appare il libro della Sacrato che ci conferma una delle migliori penne gialle in circolazione.
Ci ha lasciato con lo svelamento di un segreto lontano nel tempo che ha inevitabilmente stravolto il suo presente. E non soltanto perché in fondo, i segreti li creiamo noi uomini, ma perché sia la condivisione della scoperta sia la creazione del mistero stesso legano gli animi con il filo di una strana complicità.
E cosi la nostra amabile e strana fino all’eccesso protagonista Cloe deve per forza ricominciare n nuovo capitolo della sua vita. La matassa che ha sbrogliata per ironia della sorte ne ha ingarbugliata un alta, come in uno strano gioco di equilibrio ciò che è stato restituito all’ordine ha come pagamento qualcosa che invece deve essere distrutto e reso caotico. E’ di nuovo il controcanto che appare già dalle prime pagine del testo e che condizionare tutto il libro fino alla fine:
Controcanto” estratto da Treccani.it: Controcanto s. m. [comp. di contro- e canto] Nel linguaggio musicale, disegno melodico secondario sovrapposto o sottoposto al disegno melodico princi- pale: fare il controcanto.
E ogni disegno melodico principale corrispondere un altro che sarà o sottoposto o sovrapposto spesso con l’intento di riportare un originale equilibrio omeostatico: qualcosa muore e qualcosa nasce, una storia a lieto fine e un altra coperta da un dolore.
E’ cosi la vita di Cloe.
Per ogni attimo di serenità paga con un pezzettino di se, finché anch’essa troverà difficile specchiarsi senza riconoscersi, senza riconoscere quanto la sua identità sia sopraffatta da strati e strati di mura, come una torre a difesa di quel suo cuore pulsante che si libera del sarcasmo e dell’ironia soltanto quando stringe a se il gatto Pablo.
E Pablo?
Pablo sta assiso sul suo trono con quella saggezza millenaria inscritta nel Dna, osservando beffardo e sornione tutti i movimenti di quella creatura cosi grande, di quel bipede pieno di potenzialità eppure cosi inconsapevole della sua regale bellezza. E cosi il controcanto atto secondo ha inizio proprio mentre il nostro Pablo si lecca sussiegoso una zampetta: due storie si intrecciano ognuna con il suo carico di dolore, ognuna con una sua risoluzione particolare: la punizione dell’atto blasfemo per eccellenza, l’omicidio, e la memoria dei morti che non ripara affatto l’ingiustizia ma che forse serve a noi per non dimenticare i drammi che hanno accarezzato la nostra storia:
Scrivilo perché questa città pare voglia dimenticare e noi familiari ci sentiamo ancora soli. Scrivilo perché quella lapide accanto a una panchina, in un’aiuola sempre sporca, non rende giustizia a nessuno.
E’ il dramma di una ragazza che ha perduto i suoi sogni in un cinema mentre attendeva l’amato. Ma è il dramma di tanti che presi dalle faccende personali, in una banca o in una stazione sono state vittime di una brutalità insensata e assurda.
E’ il dramma di chi per conquistare un sogno ha pestato i piedi dei potenti, di chi ha abbracciato il malaffare per ottenere un riconoscimento sociale e economico. Ecco il controcanto, due storie si sovrappongono, si danno il cambio e una diventa lo specchio dell’altro e una diviene in fondo la speranza dell’altro: una riesce a scovare non solo la vittima ma anche l’omicida, l’altra resterà senza colpevole soltanto con una colpa che pesa sul cielo di Torino come una cappa oscura.
E Cloe grazie alla sua inesauribile curiosità un po’ di sole lo restituisce a quella città troppo presa da se stessa, troppo di corsa come ogni altra città italiana.
E cosi mentre Pablo ci guarda e stavolta dice tocca a voi creare il vostro destino, seppur ogni tanto una zampa ce la mette, il percorso di Cloe si dipana sempre più limpido davanti ai suoi occhi.
Ma Cloe è umana. E l’umano ahimè ama complicarsi la vita.
E cosi ci aspetta un nuovo capitolo di quella sua avventura, cosi intenta stavolta a ingarbugliarsi da sola la matassa dell’esistenza. Forse perché la tranquillità a volte è un po’ noiosa
E lasciamo al morbido Pablo la sua ultima parola su quel nostro affannarsi a recitare un dramma pirandelliano:
Alza il muso, mi fissa. E mi giudica, lo sento che mi giudica. Ha quell’espressione imparata alla Garbatella, traducibile con un: aridanghete c’arisemo. Poi, da filosofo qual è, si volta mostrandomi le regali chiappe. E torna a dormire.
Ah la saggezza felina…