“Il custode delle Messi” di Carmine Cantile, Delos Digital. A cura di Alessandra Micheli

Era una notte afosa e quassi soffocante.

E l’insonnia mi teneva compagnia con i suoi grandi occhi simili a quelli di un gufo.

E cosi per sopportare ore che sembravano non finire ho deciso di leggere il custode delle messi.

Cosi almeno avrei passato un oretta in totale relax.

Del resto sono avvezza ai racconti horror, li divoro e ultimamente mi divertono senza però stuzzicare la mia paura.

Sono lontani i tempi in cui gli orrori mi danzavano attorno agli occhi spalancati sulle note degli Uriah Heep.

Oramai era più un minuetto o un bravo di vivaldi, caloroso, bello ma per nulla ansiogeno.

E cosi mi sono sdraiata al buio con quel reader che illuminava la notte improvvisamente silenziosa.

E ho iniziato a leggere.

Credetemi, mai un libro mi ha dato più incubi e un terrore sottile e strisciante come questo.

Sono mani gelide, che arrivano lente a stringerti la mente in una morsa di ghiaccio.

Sono piccole suggestioni, parole quasi lanciate quasi con noncuranza.

Sono atmosfere semplici eppure…nel custode delle messi c’è tutto l’orrore possibile.

Non è evidente anzi.

Se mi chiedeste Ale cosa ti ha terrorizzato non saprei dirvelo.

Le immagini sono immediate e apparentemente banali.

Un campo di grano illuminato dai pallidi raggi di una luna timida. Ragazzini che in fondo giocano a nascondino.

Controllati a vista da saggi e apparentemente paciosi anziani. E un solo, unico spaventapasseri.

Li sospeso in quel nulla dorato, con le orbite vuote, ignaro dei drammi umani deciso soltanto a difendere a ogni costo il proprio raccolto.

A ogni costo.

Perché da quel raccolto da cui dipende la vita di ogni componente di una comunità apparentemente disgregata, ma che in una notte precisa, decide di festeggiare il grano con una danza.

Ma quella danza non ha nulla di normale o unano.

Non viene affatto descritto cosa succede.

Nessuno riesce davvero a capire l’orrore che si muove sinuoso tra il grano.

Eppure lo sai, sai che è li che si aspetta.

Senti il sussurro sul collo, il suo respiro affannoso, un alito che sa di tomba e marcio.

E sai che la danza è forse molto più antica di quanto tu immagini.

Antica di secoli, racchiusa in quell’incubo lontano che tenti di ignorare.

E la logica ti dice che le ombre sono solo ombre.

Che una comunità agricola non ha nulla di segreto, di misterioso o peggio di spaventoso.

Non sai cosa accade.

L’autore lo descrivi a pezzi, ti lascia solo intendere.

Ma senti o dio se lo senti, l’odore ferroso del sangue e un risucchio strano come se la terra affamata bevesse mai sazia quel liquido.

Il cuore si ferma.

La pelle si accappona.

Chiudi gli occhi mentre leggi.

E quando li riapri, lo spaventapasseri non è ne innocuo, ne ridicolo inutile umano di paglia.

Ne adorabile come nel mago di OZ.

E le orbite brillano.

Di rosso fulmineo, di un male atavico.

Di una perversione che sembra invadere quei sonnacchiosi campi.

E anche se non ti è stato descritto molto, il terrore oramai serpeggia.

E a occhi chiusi vedi ragazzini oscuri che ti chiedono di allungare la mano verso di loro.

Prigionieri di mani che, di umano non hanno nulla.

Forse per molti di voi questo libro ricorderà vagamente King con il suo nell’erba alta.

Ma io ho letto King e non mi ha fatto affatto accapponare la pelle come il custode delle messi.

E ho capito che l’arte sublime dell’orrore non è nelle descrizioni.

Non sarà mai nei fatti.

Quando in una vaga sensazione di allarme che, pagina dopo pagina deve aumentare fino al parossismo di un terrore che non ti lascia.

Neanche dopo l’ultima pagina.

Bellissimo, oscuro, agghiacciante.

Un libro da reggere e gustare.

Magari vi consiglio di leggerlo di giorno.

La notte lasciatela ai rosa.

Fidatevi di me.

E ora scappo a abbassare le serrande, perché i rami del cipresso davanti casa mia assomigliano terribilmente a lunghi artigli acuminati…

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