
Il sole del mattino, illuminando la parete a specchio del grattacielo, si riverberava moltiplicandosi in decine di riflessi accecanti. Un’invadente macchia di luce, pian piano, s’era già allungata sul letto e ora gli lambiva il viso. A Patrizio piaceva quella sensazione, ecco perché era rimasto sdraiato ad aspettare, nonostante la sveglia avesse cessato di suonare già da un pezzo. L’aveva bloccata con la consapevolezza di chi sa che non si sarebbe riaddormentato. Era bello starsene sdraiato così e si sentiva fortunato: l’assegnazione di quel piccolo e luminosissimo appartamento dell’undicesimo livello del palazzo Vostok, quello orientato a est, gli garantiva proprio quel tipo di spettacolo; probabilmente, se gliene avessero dato uno al ventesimo o al cinquantesimo, l’ultimo, sarebbe stato ancora meglio, tuttavia quel suo scatolino d’acciaio e cristallo gli piaceva e poi, dopo tutti quegli anni passati lì, s’era affezionato e di certo, adesso, non l’avrebbe più cambiato con un altro. Si stirò allungando braccia e gambe, poi, con malavoglia, si mise a sedere sul bordo del letto, i piedi poggiati sui listelli plastici del pavimento. Si voltò a guardare il cuscino stropicciato: la luce era ancora lì, mancava solo lui. Si raddrizzò, dirigendosi subito dopo verso la finestra che dava sulla città. Poggiò le mani contro il vetro: era già caldo, nonostante fossero appena le sette e cinquanta. Guardò giù pensando che quello iniziato così non poteva che essere un bel giorno promettente anche se, forse, l’aver riposato male l’avrebbe obbligato a un inizio di giornata un po’ più faticoso. Era già da qualche tempo che qualcosa non sembrava più funzionare come prima. All’inizio erano state soltanto delle sensazioni, ombre di pensieri che gli transitavano nella mente, scorrendo così veloci che non era mai riuscito ad analizzarne nemmeno uno in maniera un po’ più concreta. Bagliori subito spenti e persi per sempre. Sapeva solo che c’erano stati, tutto qui.
Poi, un giorno, la prima consapevolezza: quel mondo non gli piaceva più.
“Se Romantic Distopia si basasse sulla fantasia irrealizzabile di un
visionario si potrebbe stare tranquilli ma, purtroppo, non è così…
e non sarà la tecnologia a salvarci.”
Sinossi:
Un incomprensibile disegno rinvenuto in una grotta, un sottomarino in fuga e uno strano esercito che vuole annientare entrambi. Qual è il significato di quel simbolo e perché c’è qualcuno che a tutti i costi vuole distruggerlo?
E’ guerra, ma combattere contro un regime ipertecnologico non è facile… a
meno che non si provi a farlo con qualcosa che nessuna macchina sarà mai
in grado di sconfiggere.
L’autore
Cristiano De Liberato è nato nel 1960 a Milano dove tuttora vive. Nel 1976 è uno dei fondatori di una delle prime radio private milanesi. Dall’infanzia, cioè da sempre, alimenta una passione: gli aeroplani, il volo e ogni cosa si stacchi da terra per volare. Nel 2000 consegue la licenza di pilota per aerei d’aviazione generale.
Soddisfatta compiutamente la voglia di volare con gli aeroplani, nel 2006 inizia a farlo con la fantasia. In quell’anno la pubblicazione del suo primo racconto: è così che lo scrivere è diventato il suo mestiere