“Il signore dei piccioni” di Stefano Stanzione, Segreti in giallo edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Ho sempre amato osservare i piccioni.

Forse perché a me cittadina a disagio nei suoi panni, ricordavano come anche nel cemento la natura riesce a sopravvivere.

Anzi a adattarsi. E questo mi fa comprendere come, ogni essere umano, può imitarli, e lasciare la sua vecchia vita, la sua vecchia mentalità per abbracciarne una nuova e forse migliore.

Per questo nonostante le millantate malattie di cui questi pennuti sarebbero portatori, io sono sempre in prima fila per nutrirli, osservarli e imparare da loro.

Per questo quando ho avuto la possibilità di recensire il libro non mi sono affatto defilata.

L’ho preso conscia che qualcosa di straordinario avrebbe provocato in me questo fantomatico signore dei piccioni.

E il mio fiuto no mi ha affatto deluso.

Il nostro protagonista è tutto il contrario di me e di ogni persona giudicata normale.

Un passato di violenza lo ha profondamente modellato, cosi come i venti e le tempeste lavorano le pietre dando loro forme a volte bizzarre.

E come si risponde alla violenza?

In due modalità: o rifiutandola in modo quasi ossessivo o abbracciandola visto che è, in fondo, l’unico mezzo per comunicare che ci è stato presentato.

Ecco la sua diversità che in fondo mi attraeva, io che temo quel lato brutale dell’essere tanto da esorcizzarlo con la lettura e con la meditazione, era in fondo attratta da quella sua capacità di sciogliere il legame chiamato limite.

Nulla da fare.

Ognuno di noi, segretamente all’inizio del libro ascoltando dalle vive parole di Dove la sua vita e persino la brutalità delle sue scelte, ha qualcosa dentro che si smuove e dice “Beato lui che può”.

Ma al tempo stesso questo pensiero provoca repulsione, perché la parte “sociale” di noi stessi rifiuta il modo di approcciarsi alla vita tanto aborrito da Thomas Hobbes l’uomo lupo.

E infatti Dove è un ex uomo lupo.

Un ex personaggio che alla favella preferiva i pugni.

E qua l’attrazione respinge di nuovo la repulsione facendoci avvicinare nuovamente a Eric e..segretamente ci fa innamorare di lui.

Arriva quello che chiamo lo shock salvifico.

Qualcosa di lacerante che, come una mannaia cala sulle nostre abitudini, convinzioni o sistemi mentali.

Piomba su di loro con un taglio netto.

Ed è quel sangue emotivo che scorre che decide, in un attimo un nuovo percorso, una scelta che nessuno avrebbe mai contemplato.

Dove è totalmente diverso.

In modo radicale.

Da una sorta di compiacimento dell’atto bruto, diviene totalmente puro. E capace di adattarsi non senza ricordi dolorosi, non senza fatica né ferite che prudono di senso di colpa, alla nuova condizione non tanto di vita quanto mentale.

Ecco cosa ci affascina: dove non cambia abitudini.

Cambia radicalmente modo di vedere il reale e quindi la sua mente.

E’ come se il Dove originario muore tra strazi e sofferenza, per far emergere una figura lieve, sottile eppure presenta profondamente innocente come se qualcosa ne avesse lavato la coppa, simile a quei adorabili pennuti che lietamente girano per le nostre città.

E sono loro a insegnargli a lasciare che la compassione emerga.

Ed è in questo quadro limpido, pulito che si innesca un contrasto stridente e fastidioso: Dove cambiando città, portando con lui la sua visione “pacifista” dell’esistenza, si ferma nel luogo della perdizione.

Un apparente città, Ponza, dove la meravigliosa natura sembra renderla un piccolo paradiso, un luogo di idilli e di semplicità, adatto a chi ha deciso che l’esistenza debba scorrere placida e serena.

Ma non è cosi.

Ponza in queste righe piene di forza e di passione è il luogo del malaffare, della corruzione, della trasgressione e di tutto ciò che è contrario all’empatia simboleggiata da Dove.

Cosa può nascere di buono da questo contesto?

La forza del personaggio non può non provocare reazioni, a volte contrarie a volte desiderata, come quelle di restituire a una giovane la capacità di sognare e di meravigliarsi, togliendola da sotto il tappeto dei rifiuti in cui apparentemente beata sguazzava.

Dove con la sua luce rimargina ferite ma come una strana legge del contrappasso smuove il nido delle formichine intente a costruire il proprio regno, fatto di briciole sottratte alla comunità.

Abusi edilizi, mazzette, incapacità di cooperare, ecco il torbido in cui, a suo malgrado la purezza di Dove, esaltata da questo marciume, smuove.

E il miasma che si alza da questo fango non può più essere ignorato.

E causa e effetto iniziano a gestire la storia prendendo nelle loro mani i fili di una vicenda che diventa oscura, sempre più oscura.

Perché il contrasto luce/buio, purezza/malvagità, scuote la terra dormiente provocando la reazione di qualcosa di antico e arrabbiato.

Non vi svelo di più.

Però posso che questo libro particolare, affascinante e al tempo stesso poetico, vi ruberà cuore, anima e coscienza.

Amerete e odierete Eric.

Ne sarete attratti e al tempo stesso cercherete di scappare da lui.

Non dal suo passato ma da quegli occhi che sembrano uscire fuori dalle pagine del libro e inchiodarti alle tue responsabilità di uomo, persona e cittadino.

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