“La ragazza che non sapeva piangere” di Massimiliano Gizzi, Nero press. A cura di Alessandra Micheli

Cattivo.

Crudo politicamente scorretto.

Agghiacciante.

Disturbante.

Insomma anche stavolta Nero Press ha dato alla luce un capolavoro!

So che molti di voi inorridiranno a queste mie parole, ma un thriller anzi un hard boiled che si rispetti deve essere totalmente disdicevole.

Deve mostrarmi il lato più oscuro di ogni essere umano senza scusanti, senza redenzione senza fronzoli.

Semmai deve redimere noi, quella parte del nostro io che ancora pensa che a volte la violenza è una sorta di riparazione dei torti.

Alzi la mano chi tra voi non è mai stato sfiorato da questa idea.

Nessuno vero?

Perché di fronte a certi gesti a certe oscene situazioni un lato di noi, quello cattivo, quello che non sa piangere, si risveglia.

E ci fa essere delle vere e proprie macchine da guerra.

La ragazza che non sapeva piangere, quindi riesce a esplorare il disagio in ogni sua forma.

Da quella più complessa del serial killer, fino a un disagio non molto evidente che rende la protagonista Carotina davvero un personaggio indimenticabile.

Ma per nulla piacevole.

Una sorta di blocco emotivo la rende a tratti arida, come se la compassione non riuscisse a sopravvivere nel suo sistema Mente e ne venisse sciolta, come se in essa invece di uno spirito fatto di essenza vagasse libero un acido corrosivo.

E già dalle prime battute Carotina non fa affatto pena.

Anzi.

Provoca una sorta di disagio a noi che la leggiamo e una sorta di oscura ammirazione poco accettabile per noi esseri civili.

Ma anche gli altri protagonisti che ruotano attorno ai pilastri principali non sono da meno.

Un essere fatto di rabbia, che lungi da usare le tecniche marziali per contenerla, la rende uno strumento per lasciarla scorrere libera.

Un povero ragazzo che è vittima dei suoi vizi fino a diventarne ossessionato.

Fino a concedere a quei vizi troppo spazio lasciando che essi facciamo evaporare ogni sentimento positivo.

Ragazzi annoiati che combattono tale ozio con la violenza.

Insomma un mondo distopico che però, se osserviamo bene non è affatto cosi lontano da ciò che viviamo oggi: omicidi seriali, ferocia di gruppo, atti di rabbia inconsulti e una sorta di apatia di fronte al sangue e al terrore.

Cosi assuefatti da scenari di disumanità da esserne diventati schiavi. Anestetizzati di fronte a questi pugni che dovrebbero risvegliare il rifiuto netto verso queste estreme forme di disagio.

Eppure..

Se è vero che in questo testo non ci sono ne buoni ne cattivi, ne eroi ne vittime qualcosa accade di profondamente poetico…

Una lacrima viene quasi stuzzicata dal dolore.

Il dolore per la perdita.

Un dolore che dona una sorta di adrenalina capace di spezzare in proprio favore la catena della sottomissione.

Non più e forse mai stata vittima.

Ma energia pura diventa la nostra Carotina.

Energia oscura sicuramente.

Energia da temere.

E da bambola in cerca di una sorta di risveglio dell’anima assetata e inaridita si trasforma in una vendicativa dea Kali, in cerca di sangue, in cerca di vendetta.

E tutto questo è reso ancora più potente dal contrasto tra il nome che evoca dolcezza indifesa e fragile e quegli occhi asciutti, che sprizzano scintille e che sono buchi neri di rabbia.

Alla fine, con l’ultima sofferta pagina, restiamo ammutiliti e profondamente indifesi.

Siamo noi a essere discesi nell’inferno.

A aver toccato l’estremo orrore di cui è capace un uomo.
Senza parole

avvinti dalla crudele magia di un autore che sapientemente sa usare la parola e le immagini che essa sa evocare.

E magari alcuni di noi decideranno di essere diversi.

Magari è solo la compassione a poterci allontanare da questo scenario cosi tenebroso eppure,,,cosi accattivante.

Perché in fondo, inutile nasconderlo, Carotina continuerà a infestare i nostri sogni e a tentare di sedurci.

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