“L’ago di Cibele” di Simone Fiocco, Bakemono Lab. A cura di Alessandra Micheli

Vi è mai capitato di non riuscire a staccarvi da un libro?

Siete li intenti a divorarlo, parola per parola eppure incapaci di giungere alla fine.

Proprio nel momento topico vi fermate.

Perché oramai i personaggi sono diventati amici e lasciarli è una piccola sofferenza.

E così è successo per l’ago di Cibele.

Che ha tutti gli ingredienti che riescono a dar vita a un sogno. Nostalgia. Dolore.

Azione.

Indizi.

E perché no, un tocco di esoterismo che non disturba mai.

E personaggi meravigliosi.

Quelli umani imperfetti scomodi politicamente scorretti e tratti cinici, quelli che io profondamente amo perché, in fondo, mi somigliano. Ognuno di noi ha un rimpianto, una sofferenza mai sopita, una ferita che non vuole cicatrizzare mai per paura che il ricordo muoia, disperso fra le pietre della strada.

E quando leggo protagonisti cosi complessi, cosi pregni di sofferenza eppure capaci di ridere di se stessi mi innamoro.

Profondamente.

E senza speranza.

E cosi è successo con il testo di Simone Fiocco, con la sua bravura e con quell’ispettore, Francesco che sembra un Poirot invecchiato e decaduto. Un angelo della ali inzaccherate ma non per questo meno splendido.

E cosa dire di Gabriele l’altro perno del libro?

Un uomo che cerca con tutto se stesso di non lasciare che la distruzione e degrado tronfi con quel ghigno fastidioso.

Ma no.

In fondo non è neanche quello a farmi innamorare.

Forse è la storia, l’eterna storia di un uomo che abusa del sacro, lo deride e lo manipola per fini non nobili.

Un sacro che se maneggiato senza conoscenza cura e rispetto, diviene terribile, cosi come ci ricorda la scritta su certi architravi di certe chiese oscure.

Terribilist est locus itte

Hic domus Dei est et porta coeli

Ma che ci importa,.

Il soldone tintinnante è un suono troppo suadente per ignorarlo.

Ma forse non è neanche quello.

Forse sarà la descrizione della mia amata Roma a colpirmi al cuor. Quella vecchia signora dai vestiti stracciati che tenta disperatamente di restare in piedi.

O l’uso di uno dei parchi più chiacchierati della nostra metropoli.

Altro che Central Park!

Voi che ambientate i vostri libri a New york o nelle lande fredde dei paesi scandinavi, dovreste venire a Roma, alla Caffarella per incontrare il vero orrore.

Un parco con una nomea orripilante, da Jack lametta a orrori indicibili come stupri e cadaveri carbonizzati.

Tanto che quando ci passo mi sento catapultata direttamente a CSI.

Ehi anche noi abbiamo la nostra dose di serial killer.

Non me andiamo fieri ma..e ‘ un modo come un altro per tenere a bada le fiere arroganti di un estremismo di stampo anglofono che tenta di rosicchiare ogni nostra tradizione.

E la stima di un paese dai mille volti, dai mille abissi che però resiste fiero.

No.

Forse non è neanche quello.

Sarò lo stile dell’autore cosi accattivante sospeso tra poeticità malinconica e adrenalina frenetica tipica dei thriller. Con un tocco ironico e grottesco.

Forse no.

Allora cosa rende questo libro bello, ma bello da morire?

Forse la risposta è: non lo so.

So solo che è uno di quei testi che non si scordano.

Quelli che ti lasciano un po’ orfani quando finiscono.

Quelli che rileggeresti mille e altre mille volte.

Quelli che restano preziosi perché scritti con amore e passione.

Pregni di un talento che per molti è solo una parola.

Allora leggetelo.

Magari mi aiuterete a capire perché è diventato per me un capolavoro da tenere dentro il cuore oltre che sotto il cuscino.

Assieme a altri libri che, a prescindere dal genere e dalla trama hanno preso la mia mente e trasportata altrove.

E forse fatto vedere Roma in modo diverso.

Quindi grazie Fiocco.

Perché chi mi regala un viaggio è davvero un artista.

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