
Questo libro non sarà una facile lettura per alcuni.
E non c’entra nulla lo stile e tutto quello che ci piace raccontare sui libri.
Ma è la tematica a far venire i brividi.
Perché dietro l’abile thriller il contenuto urla e vuole essere compreso e regalato a ognuno.
Antonella tenta di farci reagire di fronte alla mancanza d rispetto che abbiamo nei confronti dell’altro.
E’ il primo passo.
Tu diverso, tu spesso con una idea precisa diventi se ben accolto, ricchezza. Ma se caricato di ogni stereotipo e di ogni mia mancanza , ogni mia ossessione, divieni il nemico.
Non servono tanti discorsi sulla violenza di genere e non di genere.
L’uomo è specchio di se stesso.
Nell’altro noi ci ritroviamo.
La differenza la fa il ritrovare le parti migliori di noi, come una potenzialità o un sogno realizzato.
O cosa ci spaventa.
Così la persona viene privata di una sua identità e umanità.
E viene usata, derisa, vilipesa umiliata.
Nel caso delle donne è tutto più complesso.
Di fronte a anni di idea abbastanza pericolose quelle che volevano la donna senza anima ci siamo ritrovate improvvisamente a poter reclamare dei diritti.
Minimi diritti eppure cosi importanti, come votare, portare i pantaloni, ereditare.
O decidere persino chi sposare o se accettare la maternità.
Ma il retaggio non veniva toccato.
Nessuno, tranne Poullain De la Barre che ci provò a contestare un certo Jean Bodin che affermava l’inferiorità morale, intellettuale della donna, nessuno disse vediamo un po’ cosa possiamo fare.
Bisognava andare nel calderone dei valori e iniziare a far una sorta di selezione: questo si, questo no.
E cosi i diritti sono arrivati. Tanto che persino la donna ne è stata sopraffatta.
Adesso poteva persino lavorare o indossare la minigonna senza sentirsi, per dirla alla Cardella, una bottana.
Ma anche lei si sentiva fragile davanti a un innovazione che spesso camminava accanto all’involuzione.
A braccetto, dipendenti uno dall’altro.
Che se un passo avanti doveva essere compensato da cento indietro.
Seppur apparentemente libera ella restava oggetto.
Soggetto rarissime volte.
Tanto che per provarci è stato pensato all’istituzione del concetto di pari opportunità.
Tutte felici allora.
Eppure…
Nessuno se non filosofi pratici hanno detto: ma se dobbiamo ribadire la pari opportunità, questo progresso dove mai può stare?
Se il lavoro è legato la merito, a cosa servono le quote rosa?
Sono piccoli cavilli che si risolvono con uno scrollone.
Chi li evidenzia è polemico e pesante.
E cosi abbiamo, cosi come nel caso della Cacciatrice, donne bellissime, sensuali, predatrici che però alla fine non sono che meri oggetti.
Non importa se sessuali o decorativi.
Importante è che nel momento in cui loro abbassano lo sguardo esse riportano a galla una memoria atavica.
Che abbiamo perso.
Abbiamo perso il ricordo di stupri di massa e di botte.
Abbiamo perso quel ricordo di orrori, quello che alla fine ci salva.
Perché restituisce dignità a uno strano dolore sopito e mai elaborato.
Barattato con un grammo di finta ammirazione.
E allora dietro il thriller, la cacciatrice vi parla proprio di questa atrocità: la perdita della memoria che rende la libertà femminile ancora un miraggio lontano.
Solo ricostruendo la storia con il suo pagamento di sangue e violenza, si può tornare a riprovare a vivere.
Altrimenti siamo bellissime prede, cacciatrici, decorazioni, oggetti.
Ma mai persone.
Questo libro non sarà una facile lettura per alcuni.
E non c’entra nulla lo stile e tutto quello che ci piace raccontare sui libri.
Ma è la tematica a far venire i brividi.
Perché dietro l’abile thriller il contenuto urla e vuole essere compreso e regalato a ognuno.
Antonella tenta di farci reagire di fronte alla mancanza d rispetto che abbiamo nei confronti dell’altro.
E’ il primo passo.
Tu diverso, tu spesso con una idea precisa diventi se ben accolto, ricchezza. Ma se caricato di ogni stereotipo e di ogni mia mancanza , ogni mia ossessione, divieni il nemico.
Non servono tanti discorsi sulla violenza di genere e non di genere.
L’uomo è specchio di se stesso.
Nell’altro noi ci ritroviamo.
La differenza la fa il ritrovare le parti migliori di noi, come una potenzialità o un sogno realizzato.
O cosa ci spaventa.
Così la persona viene privata di una sua identità e umanità.
E viene usata, derisa, vilipesa umiliata.
Nel caso delle donne è tutto più complesso.
Di fronte a anni di idea abbastanza pericolose quelle che volevano la donna senza anima ci siamo ritrovate improvvisamente a poter reclamare dei diritti. Minimi diritti eppure cosi importanti, come votare, portare i pantaloni, ereditare.
O decidere persino chi sposare o se accettare la maternità.
Ma il retaggio non veniva toccato.
Nessuno, tranne Poullain De la Barre che ci provò a contestare un certo Jean Bodin che affermava l’inferiorità morale, intellettuale della donna, nessuno disse vediamo un po’ cosa possiamo fare.
Bisognava andare nel calderone dei valori e iniziare a far una sorta di selezione: questo si, questo no.
E cosi i diritti sono arrivati. Tanto che persino la donna ne è stata sopraffatta.
Adesso poteva persino lavorare o indossare la minigonna senza sentirsi, per dirla alla Cardella, una bottana.
Ma anche lei si sentiva fragile davanti a un innovazione che spesso camminava accanto all’involuzione.
A braccetto, dipendenti uno dall’altro.
Che se un passo avanti doveva essere compensato da cento indietro.
Seppur apparentemente libera ella restava oggetto.
Soggetto rarissime volte.
Tanto che per provarci è stato pensato all’istituzione del concetto di pari opportunità.
Tutte felici allora.
Eppure…
Nessuno se non filosofi pratici hanno detto: ma se dobbiamo ribadire la pari opportunità, questo progresso dove mai può stare?
Se il lavoro è legato la merito, a cosa servono le quote rosa?
Sono piccoli cavilli che si risolvono con uno scrollone.
Chi li evidenzia è polemico e pesante.
E cosi abbiamo, cosi come nel caso della Cacciatrice, donne bellissime, sensuali, predatrici che però alla fine non sono che meri oggetti.
Non importa se sessuali o decorativi.
Importante è che nel momento in cui loro abbassano lo sguardo esse riportano a galla una memoria atavica.
Che abbiamo perso.
Abbiamo perso il ricordo di stupri di massa e di botte.
Abbiamo perso quel ricordo di orrori, quello che alla fine ci salva.
Perché restituisce dignità a uno strano dolore sopito e mai elaborato.
Barattato con un grammo di finta ammirazione.
E allora dietro il thriller, la cacciatrice vi parla proprio di questa atrocità: la perdita della memoria che rende la libertà femminile ancora un miraggio lontano.
Solo ricostruendo la storia con il suo pagamento di sangue e violenza, si può tornare a riprovare a vivere.
Altrimenti siamo bellissime prede, cacciatrici, decorazioni, oggetti.
Ma mai persone.